Di seguito un reportage di TV7 a cura di Claudio Pagliara, andato in onda il 4 giugno 2010.
Israele, 60 anni mille storie – Speciale Sky TG24
Reportage di Sky TG24 a cura di Renato Coen. Un viaggio tra la popolazione israeliana, tra integrazione e fanatismo, tra modernità e tradizioni religiose. Il servizio è andato in onda il 20 luglio 2008 in occasione dell'anniversario dei 60 anni dalla nascita dello Stato d'Israele.
Il servizio è composto da due video, visualizzabili in successione nel riquadro qui sotto.
I volti di Israele - TG2 Dossier
Ecco a voi un interessantissimo reportage del TG2 Dossier, a cura di Claudio Pagliara. E’ andato in onda il 4 ottobre 2008 ma è ancora molto attuale: vi consiglio caldamente di vederlo, è veramente ben fatto.
Il dossier è suddiviso in cinque video, visualizzabili in successione nel riquadro qui sotto.
Un velo tra noi – Speciale Sky TG24
Viaggio nell'islam italiano. Un'inchiesta condotta dalla trasmissione Controcorrente di Corrado Formigli, approfondimento di SKY TG24, dal titolo "Un velo di noi" ci svela cosa realmente pensano gli italiani sul velo islamico e cosa consigliano gli iman di alcune tra le più importanti moschee italiane. Per scoprirlo due inviati di SKY, lei somala, lui iracheno, si sono finti marito e moglie e con una telecamera nascosta si sono introdotti in alcune moschee "calde" di tre città Italiane, quella di Centocelle a Roma, di Varese e di viale Jenner a Milano. Lo hanno fatto camuffandosi da coppia che rispetta integralmente le leggi coraniche, lei con il niqab, il velo integrale islamico, lui con la barba incolta da integralista ortodosso.
Il servizio, andato in onda nel febbraio del 2007, è suddiviso in due video, visualizzabili in successione nel riquadro qui sotto.
Si spengono le luci del Colosseo per Gilad Shalit
Ieri sera a Roma, tra il Colosseo e l’arco di Costantino si è tenuta la manifestazione a favore del rilascio del soldato israeliano Gilad Shalit, rapito quattro anni fa dal braccio armato di Hamas.
Circa cinquemila presenze, almeno stando a quanto riportato su Repubblica (anche se personalmente non mi sembravano così tanti). Sul palco si sono presentate personalità istituzionali come il sindaco di Roma Gianni Alemanno, il presidente della provincia Nicola Zingaretti e il presidente della regione Lazio Renata Polverini. Presenti all’evento, tra gli altri, anche Giuliano Ferrara (del quotidiano Il Foglio), Andrea Ronchi e Lorenzo Cesa (UDC), oltre alle personalità della comunità ebraica di Roma come Riccardo Pacifici e il rabbino capo Riccardo Di Segni.
Perché è sbagliato paragonare il rapimento di Shalit con gli arresti effettuati dalle autorità israeliane
Le associazioni dei pacifisti, a quanto pare, non parteciperanno alla manifestazione di sostegno alla liberazione di Gilad Shalit. Il motivo? Anche Israele detiene tanti palestinesi: se Hamas deve liberare il suo prigioniero anche lo Stato ebraico deve fare altrettanto con i palestinesi nelle carceri israeliane, perché non ci sono prigionieri di serie A e di serie B. Un ragionamento che fila… almeno fino a quando andiamo ad analizzare le differenti modalità di arresto e di detenzione. Fa specie dover spiegare ancora una volta le caratteristiche che differenziano il modus operandi di un paese civile come Israele da quello di una organizzazione terroristica come Hamas, ma dato che anche le cose ovvie vengono ancora messe in dubbio da qualcuno facciamo un po’ di chiarezza.
In realtà è inappropriato mettere sullo stesso piano Israele e Hamas sotto questo punto di vista: un conto infatti è detenere prigionieri in carceri situate in locazioni specifiche e conosciute, nel rispetto delle leggi; un altro è rapire una persona e detenerla in un luogo segreto senza che nessuno, nemmeno la Croce Rossa Internazionale, possa visitarla.
Gilad Shalit: ostaggio di Hamas dal 2006
Domani saranno esattamente quattro anni che il caporale israeliano Gilad Shalit, allora diciottenne e oggi ventiduenne, è tenuto in ostaggio dai militanti di Hamas in un luogo non ben precisato della Striscia di Gaza.
Chiarimento dell’IDF su uno dei video della Freedom Flotilla
E’ sempre più difficile districarsi tra la marea di informazioni che circolano su internet. Spesso si possono scoprire dettagli e retroscena molto importanti su un avvenimento non cercando nei soliti siti di notizie ma conversando nei forum o nei gruppi dei social network (come Facebook) con altra gente. E’ proprio leggendo una conversazione su internet tra due persone che sono giunti alla mia attenzione questi interessanti dettagli che vado a raccontarvi.
Il video rilasciato dall’IDF su YouTube che riportava la comunicazione via radio tra l’equipaggio della Mavi Marmara e le autorità israeliane, alle quali era stato risposto “zitti, tornatevene ad Auschwitz” effettivamente poteva destare qualche perplessità. Era facile avere dubbi sulla veridicità della registrazione, dato che non era integrale ma che, al contrario, si trattava di un montaggio.
Il giorno successivo la diffusione del video, il 5 giugno, l’IDF ha pubblicato un chiarimento attraverso il suo blog oltre che la versione integrale della comunicazione tra le navi. Leggiamolo insieme.
Volantini “pacifisti” distribuiti a Torino contro Israele
Questo è uno dei volantini propagandistici che sono stati distribuiti per le strade di Torino da pacifisti pro-palestinesi. Leggiamolo insieme.
Andiamo ad analizzare punto per punto quanto scritto.
La protesta degli ebrei ortodossi a Gerusalemme
La rivolta degli ashkenaziti:
'Prima la Torah, poi lo Stato'
Di Aldo Baquis
Al grido di «No alla Corte Suprema, il Signore è il nostro Re», oltre centomila zeloti trascinati dai più importanti rabbini ortodossi fra cui il centenario e carismatico Shalom Yossef Elyashiv hanno inscenato ieri una gigantesca prova di forza a Gerusalemme e a Bené Braq (Tel Aviv) per chiarire che in casi estremi essi non sono disposti a sottostare alle strutture laiche di Israele. In prospettiva, hanno posto sul tavolo la richiesta di una autonomia rabbinica all’interno dello Stato per i loro fedeli, quasi il 10% della popolazione.
Sentenza Ue, contributo per l'acquisto del decoder DTT fu aiuto di stato
Una conferma, semmai ce ne fosse il bisogno, del fatto che in Italia c’è un conflitto di interessi enorme per quanto riguarda la televisione. Terremo spesso d’occhio questo argomento, a cui solitamente viene data meno importanza di quanto meriti.
Corte Ue, contributo italiano per l'acquisto del decoder DTT fu aiuto di stato
Secondo il Tribunale dell'Unione europea il contributo italiano concesso per l'acquisto o la locazione di decoder digitali terrestri costituisce un aiuto di Stato e deve essere recuperato.
La misura, spiega una nota, "non è neutra dal punto di vista tecnologico e attribuisce alle emittenti digitali terrestri un vantaggio diretto a danno delle emittenti satellitari".
Nella sentenza pronunciata oggi il Tribunale ha respinto in toto il ricorso presentato da Mediaset per ottenere l'annullamento della decisione della Commissione europea che - qualificando il contributo come aiuto di Stato a favore delle emittenti digitali terrestri che offrivano servizi di televisione a pagamento, in particolare servizi "pay per view", nonché di operatori via cavo fornitori di servizi televisivi digitali a pagamento - imponeva all'Italia di procedere al recupero, nei confronti dei beneficiari, dell'aiuto e dei relativi interessi.
Antisionismo e antisemitismo: la sottile linea rossa
"Io sono antisionista, non antisemita". Quante volte vi sarà capitato di sentire o leggere questa frase in una discussione, o magari la avete pronunciata voi stessi, sul web o dal vivo. "Io non sono antisemita, io semplicemente critico la politica israeliana nei confronti dei palestinesi", ecco un'altra frase ricorrente.
Il diritto di critica ovviamente, non c'è bisogno neppure di precisarlo, è sacrosanto: nella stessa Israele, come in qualsiasi altro paese democratico, i governi sono da sempre appoggiati o criticati in ciò che fanno in base alle opinioni dei singoli, eppure non sempre chi critica si autodefinisce antisionista. La domanda allora sorge spontanea: qual è la differenza tra critica e antisionismo? Ma soprattutto, è lecito autodefinirsi antisionisti pretendendo di non essere tacciati per questo di antisemitismo? Per spiegarlo non basteranno quattro parole, ma occorre fare un ragionamento articolato. Vediamo di fare un po' di chiarezza.
La guerra dei Sei Giorni
Il 5 giugno del 1967 ebbe inizio la cosiddetta Guerra dei Sei Giorni, che portò Israele a conquistare Gerusalemme est, le alture del Golan, la penisola del Sinai, la Striscia di Gaza e la Cisgiordania.
Questo documentario della BBC parla del conflitto in maniera estremamente approfondita raccontandolo in tutte le sue fasi, dalle scintille che lo hanno provocato alla conquista di Gerusalemme da parte di Israele.
Di seguito la cronologia degli avvenimenti della Guerra dei Sei Giorni attraverso i flash dell'agenzia ANSA, tratti dal sito Cronologia.it.
Questo è uno degli eventi chiave, per comprendere a fondo le cause del conflitto in corso.
Tarocchi giornalistici
La vera pulizia etnica perpetrata in Medioriente

Voglia di emulare la Freedom Flotilla
Freedom Flotilla: proviamo a capire cosa è successo veramente
A distanza di giorni continua il martellamento incrociato di media e politica nei confronti dello Stato di Israele per la nota questione dell'abbordaggio della Mavi Marmara, la nave di attivisti pro-palestinesi che voleva forzare il blocco navale su Gaza attraverso la missione Freedom Flotilla. In particolare i media italiani insistono nel ritrarre la vicenda come un errore madornale e inspiegabile dell'esercito israeliano che ha provocato l'isolamento dello Stato ebraico dalla Comunità Internazionale. Quasi ad intendere che sia normale una simile reazione degli altri paesi.
Anche se tutti sembrano concordare nel pretendere maggiore chiarezza e, come è giusto, un'inchiesta obiettiva da parte di una commissione indipendente per far comprendere a tutti cosa effettivamente sia successo a bordo della Mavi Marmara, in realtà cosa sia accaduto sembra già abbastanza chiaro. Questo grazie soprattutto ai video rilasciati dall'IDF attraverso il suo canale YouTube.
Ma andiamo con ordine. Cerchiamo di non fermarci alle apparenze e di indagare a fondo, non lo si potrà fare in due parole ma è necessario per avere un quadro veramente chiaro della vicenda. Cerchiamo innanzitutto di ricostruire i vari fatti antecedenti la tragedia.
La missione
In cosa consisteva l'operazione Freedom Flotilla? Il suo scopo, riconosciuto dagli stessi suoi promotori e sostenitori, era rompere il blocco del traffico marittimo verso Gaza, imposto da Israele, importando via mare degli aiuti umanitari destinati alla popolazione palestinese "ridotta allo stremo". Non dimentichiamo che questo blocco navale, sostenuto peraltro anche dall'Egitto, non solo è come una sorta di sanzione economica per tentare di indurre l'organizzazione di Hamas a scendere a patti con il governo di Gerusalemme (che tutt'ora non riconosce), ma ha anche l'obiettivo di rafforzare i controlli sulle merci che giungono nei territori palestinesi, dietro le quali spesso si nascondono anche armi.
Principale promotrice della missione era l'organizzazione non governativa turca IHH, che secondo alcune fonti affidabili avrebbe anche dei legami con la stessa organizzazione di Hamas. Per capire più nel dettaglio chi fosse a bordo della nave guardate questo interessante servizio andato in onda sulla TV pubblica tedesca dopo i tragici eventi. Il video è sottotitolato in italiano.
Al minuto 3:01 di questo video si faceva riferimento al leader dell’IHH Bulent Yildrim. Ecco a voi il suo discorso all’equipaggio della Mavi Marmara registrato il 30 maggio 2010, cioè il giorno precedente all’intervento dell’esercito israeliano. Il video è stato diffuso dal ministero degli affari esteri israeliano. Credo che ogni commento sia superfluo.
Dunque, i sospetti e la pretesa delle autorità israeliane di controllare il carico contenuto dalle navi della Freedom Flotilla non erano campati in aria, anzi. Si trattava semplicemente di far rispettare le regole: la nave, anziché arrivare direttamente a Gaza sarebbe dovuta prima passare al porto di Ashdod dove sarebbe stata sottoposta ad un controllo; in seguito, il carico di viveri e medicinali contenuto nelle navi sarebbe stato trasportato via terra a Gaza e consegnato alle autorità locali per darle alla popolazione. Come d’altra parte già avviene da tempo.
Ma evidentemente lo scopo degli attivisti sin da principio non era semplicemente quello di aiutare la popolazione di Gaza. Il senso della loro "missione" era più che altro politico. Ulteriore prova di ciò è il fatto che anche dopo la partenza delle navi il governo di Israele ha provato ad intavolare delle trattative, proponendo dei compromessi, invano: d'altronde si trattava semplicemente di controllare il carico trasportato dalla nave, per una semplice questione di garanzia. Ma la missione avrebbe in questo modo perso il suo senso, dato che il suo reale obiettivo principale era proprio quello di rompere il blocco marittimo: non interessavano le motivazioni fornite dalle autorità israeliane per giustificarlo, il blocco era considerato illegale ed illegittimo, senza se e senza ma. L’intera missione dunque era una provocazione, che in molti già si domandavano in quale modo sarebbe stata affrontata dalle autorità israeliane.
Gilad Shalit
C’è un’ulteriore prova del carattere più politico che umanitario della missione Freedom Flotilla: i genitori di Gilad Shalit, il caporale israeliano rapito e tuttora tenuto in ostaggio da Hamas da circa quattro anni, hanno chiesto ai partecipanti della missione, in quanto “pacifisti”, di consegnare una lettera e un pacchetto al figlio (che non può neppure ricevere le visite della Croce Rossa). Gli "umanitari" hanno respinto la richiesta. Il che dovrebbe rendere ben chiaro quanto questi “pacifisti” avevano a cuore il rispetto per i diritti umani, malgrado l'operazione che si accingevano a compiere.
L'abbordaggio
Il 31 maggio accade l'irreparabile. Le sei navi della "Freedom Flotilla" vengono intercettate in acque internazionali e l'esercito israeliano intima loro di fermarsi e di dirigersi verso il porto di Ashdod, come da prassi. Il video riportato qui sotto, rilasciato dall'IDF, ne è la prova.
Ogni Stato esercita in via esclusiva la giurisdizione sulle proprie navi, ma in alcuni casi uno Stato può esercitare la propria giurisdizione su navi straniere in navigazione nelle acque internazionali:
lo Stato può fermare e abbordare navi straniere al fine di accertarne la nazionalità, o per verificare che la nave non compia atti di pirateria, di commercio di schiavi o altre attività illecite stabilite dall'articolo 110 Convenzione di Montego Bay; tuttavia, se il sospetto sull'attività svolta dalla nave o sulla sua nazionalità si rivela infondato, lo Stato che ha proceduto all'abbordaggio deve risarcire i danni e le perdite provocate;
ogni Stato può catturare qualsiasi nave, mercantile o da guerra, impegnata in atti di pirateria o di commercio di schiavi, ed esercitare la propria giurisdizione penale sull'equipaggio;
ogni Stato può inseguire e catturare navi sospettate di aver violato le proprie leggi nelle sue acque interne, nel suo mare territoriale o nella sua zona contigua, nei modi stabiliti dall'articolo 111 Convenzione di Montego BayA parte queste ipotesi, uno Stato non può fermare o abbordare navi battenti bandiera straniera; inoltre, ogni qual volta si esercitano operazioni coercitive su navi straniere, l'uso della forza può avvenire solo in ultima istanza e in misura ragionevole sulla base delle circostanze del caso.
A questo punto i soldati dell'IDF (Israeli Defence Force) si calano dagli elicotteri a bordo della nave: non appena toccano il pavimento vengono letteralmente assaliti dai "pacifisti" con spranghe, ma anche coltelli. Il video riportato qui sotto riprende la scena dall’alto.
Ecco più o meno la stessa scena ripresa da un'altra angolazione (più ravvicinata). Si vede anche un soldato scaraventato oltre la ringhiera verso il piano di sotto della nave. La furia con cui i "pacifisti" picchiano i soldati è assurda: considerando poi che erano quasi 600 persone è chiaro che, nonostante i soldati fossero meglio addestrati ed equipaggiati (anche se da queste immagini sembra che i primi a mettere piede sulla nave fossero disarmati, a quanto pare avevano solo fucili con proiettili di gomma) erano stati comunque colti di sorpresa e hanno rischiato grosso per la loro vita.
Certo, da questi video appare veramente difficile credere che i soldati israeliani abbiano deliberatamente ucciso i militanti di Freedom Flotilla come i media sembrano voler suggerire: anzi, pare più che i disordini siano avvenuti a causa della violenza premeditata degli attivisti a bordo della nave, ma anche da una grave sottovalutazione del pericolo da parte dei soldati dell'IDF: possibile che questi non si aspettassero una simile reazione da parte dell’equipaggio? Possibile che si siano calati come polli sulla nave e si siano fatti prendere a legnate in faccia? Ecco tutto l'armamentario ritrovato sulle navi di Freedom Flotilla una volta trasportate ad Ashdod.