Molti si domandano come sia possibile che la Torà, promotrice dei valori universali di sensibilità e compassione verso il prossimo, consideri la macellazione rituale ebraica detta shechittà l’unico metodo di macellazione possibile, escludendone qualunque altro.
La domanda acquisisce ulteriore peso se si considera che la Torà vieta esplicitamente la provocazione di dolore inutile agli animali1, fatto che emerge, ad esempio, dal precetto che richiede di sollevare l’onere di una bestia crollata sotto il proprio carico, anche qualora l’animale appartenga al nemico2.
A questo proposito, il Talmud afferma che, nel caso di un animale in pena, è vietato porgere aiuto in cambio di denaro, in quanto la sofferenza della creatura deve essere alleviata con la massima urgenza3.
Gli esempi che si potrebbero citare in proposito sono innumerevoli.
Emerge di nuovo la domanda: se la Torà considera la compassione un valore tanto essenziale, per quale motivo essa richiede di uccidere gli animali con un coltello, vietando qualunque altro sistema fra i più diffusi, quale lo sparo di un chiodo alla testa dell’animale per mezzo di una pistola, che – pare – assicuri una morte più rapida e meno dolorosa? La Torà vieta, inoltre, di stordire l’animale in qualunque maniera prima di ucciderlo: né colpendolo con un oggetto pesante né per mezzo di una scossa elettrica (elettroshock), ad esempio, entrambi sistemi adottati ormai in tutto il mondo al fine di ridurre la sofferenza degli animali.●
Di seguito ci si inoltrerà esclusivamente nella questione concernente il metodo più opportuno per macellare bestiame e volatili, tralasciando intenzionalmente la questione della legittimità della consumazione della carne.