“Voi avete visto ciò che ho fatto all’Egitto: portandovi [come] su ali d’aquila, vi ho condotti a me. E ora, se ascolterete la Mia voce e osserverete il Mio patto, sarete per Me il tesoro [più amato] tra tutti i popoli, poiché tutta la terra Mi appartiene. E voi sarete per me un regno di prìncipi e una nazione santa!” (Esodo 19, 4-6)
La definizione di “popolo eletto” pesa sugli ebrei, da secoli. Molta gente considera questa definizione un chiaro segno del razzismo ebraico: “un popolo che si sente superiore agli altri, ma chi si crede di essere?”; questo potrebbe essere, in linea di massima, il pensiero diffuso in molte persone a riguardo.
Una definizione, quella di “popolo eletto”, che talvolta arriva a riguardare persino la questione mediorientale tra israeliani e palestinesi: capita frequentemente che le operazioni militari israeliane atte a prevenire il terrorismo o a replicare ad un attacco subìto, vengano commentate da qualcuno con parole del tipo: “beh, loro sono il popolo eletto quindi si sentono giustificati a fare qualsiasi cosa”. Quasi come a volere, in un certo senso, depistare (forse involontariamente o forse no) dalle reali motivazioni dietro a queste operazioni (che sono evidentemente tutto tranne che a fini religiosi).
Si guardi ad esempio l’immagine sottostante.
Questo è un post tratto da Facebook come se ne possono incontrare a migliaia: riguarda le vittime siriane in seguito al tentativo di forzare il confine israeliano. Un evento di cui avevo già analizzato qui le cause scatenanti, ma che per qualcuno è semplicemente dovuto al fatto che gli ebrei si sentono il “popolo eletto”, quindi giustificati a fare qualsiasi cosa.
Non è rara la sovrapposizione di questo tema, prettamente religioso, a quello dell’attualità mediorientale, e purtroppo non solo tra gli utenti occasionali che possono commentare una notizia su Facebook. Anche i media più importanti a volte non si sottraggono a questo facile quanto superficiale stereotipo.
Si legga ad esempio questo articolo tratto dal Manifesto (24 giugno 2010, pag. 9).
A Shalit il Colosseo, a 11mila ostaggi il nulla
Leggiamo che questa sera alle 11 si spegneranno le luci del Colosseo per ricordare il caporale israeliano Gilad Shalit da 4 anni prigioniero di Hamas. Un’iniziativa promossa dall’Unione dei giovani ebrei d’Italia e l’associazione Benè Berith giovani. Adesioni a pioggia (alcune un po’ sospette): il sindaco Alemanno, il governatore Polverini, il ministro Ronchi (tutti ex-post-fascisti), il Foglio e via a scendere. Benissimo. Noi speriamo che Shalit sia presto libero e restituito ai suoi genitori e al suo esercito. Solo una nota a margine. Perché spegnere le luci solo per un israeliano e tenerle accese (ossia tacere) per i più di 11 mila palestinesi chiusi da anni nelle carceri israeliane in detenzione amministrativa (cioè senza accuse specifiche), fra cui donne e bambini? Non sono anche loro «sequestrati»? Sarà che un esponente del «popolo eletto» e cittadino dello «stato eletto» pesa di più di 11 mila dannati della terra?
Fate attenzione all’ultima frase, evidenziata in grassetto. Anche in questo caso l’allusione è chiara: gli ebrei (e chi per loro) in quanto “popolo eletto” considerano più importante la vita di un solo ebreo rapito dai palestinesi piuttosto che 11 mila palestinesi sequestrati (leggasi “arrestati”) da Israele. Tralasciando il paragone inappropriato (che avevo già analizzato qui), la cosa vergognosa è alludere sempre a questo fantomatico popolo eletto anche trattando argomenti che nulla hanno a che vedere con la religione!
Praticamente è anche per questo che molte persone sono contrarie all’esistenza di Israele inteso come Stato per gli ebrei: per molti questo significa Stato che fa la preferenza per una fede sopra le altre – cioè per la fede ebraica – che a sua volta, ergendosi ad “eletta dal Sign-re”, sarebbe per forza di cose una fede razzista e discriminatoria per gli altri popoli.
Chi la pensa così ignora (più o meno deliberatamente) due aspetti fondamentali.
Innanzitutto per Stato ebraico, inteso nella definizione del Sionismo (movimento laico fondato da Theodor Herzl nel 1897), non si intende uno Stato confessionale e teocratico, bensì uno Stato che sia semplicemente un rifugio per gli ebrei dall’antisemitismo, da secoli diffuso in Europa e non solo. Che sia, inoltre, uno Stato per il popolo ebraico che ha preso coscienza di se stesso, ed ogni popolo ha diritto ad averne uno. Una sorta di Risorgimento ebraico dunque.
A tutto ciò aggiungiamo poi che Israele negli anni non ha dato aiuto solo agli ebrei sparsi per il mondo: si veda a titolo esemplificativo l’accoglienza riservata ai profughi fuggiti dal Darfur. Gli ebrei dunque in Israele hanno maggiori diritti di salvarsi dalle persecuzioni rispetto ad altri popoli? Assolutamente no!
Ma ciò che viene ignorato dalla maggioranza delle persone è soprattutto il reale significato che l’espressione “popolo eletto” ha per gli ebrei stessi! Vediamo di approfondirlo.
Popolo eletto: in che senso?
Riprendiamo nuovamente la citazione di apertura di questo articolo, perché è molto importante. La riporto nuovamente qui sotto per comodità.
“Voi avete visto ciò che ho fatto all’Egitto: portandovi [come] su ali d’aquila, vi ho condotti a me. E ora, se ascolterete la Mia voce e osserverete il Mio patto, sarete per Me il tesoro [più amato] tra tutti i popoli, poiché tutta la terra Mi appartiene. E voi sarete per me un regno di prìncipi e una nazione santa!” (Esodo 19, 4-6)
Questo passaggio precede, nella Torah, la rivelazione di D-o sul monte Sinai. Per l’ebraismo è molto importante lo studio e la ricerca del reale significato di ciò che è scritto nei testi sacri. Se si presta attenzione a ciò che è scritto è possibile notare nel testo la funzione del popolo eletto: “regno di principi” e “nazione santa”.
Cosa significa tutto ciò? E’ semplice: gli ebrei sono una “nazione santa” in quanto scelti da D-o per essere detentori del dono della Torah, che avrebbero dovuto custodire e che sono tenuti a studiare ed osservare continuamente. Gli ebrei, insomma, sono stati eletti come popolo di sacerdoti, popolo che deve concentrarsi soprattutto sulla preghiera. Il concetto di “santità” indica separazione ed elevazione. Una persona santa si distingue infatti dalle altre perché si allontana dalle tentazioni1.
In parole semplici: gli ebrei sono “popolo eletto” in quanto è l’unico popolo che è tenuto a rispettare tutte le regole e i precetti stabiliti dalla Torah. Niente di più, niente di meno. Si legga anche questo esauriente testo a conferma di ciò.
L'elezione [degli ebrei] non implica alcuna superiorità etnica; Israele non è il popolo di Dio per i propri meriti o per una presunta purità di sangue, questo sarebbe razzismo. L'elezione è un mandato, una missione da compiere che non è stata affidata a nessun altro.
Anche i non-Ebrei (ovvero i Goym, cioè le altre nazioni) possono vivere secondo giustizia ed avere una relazione con il Creatore. Per loro infatti sono stati rivelati sette precetti che andrebbero osservati da tutti i popoli.
Inoltre, i Goym hanno la possibilità di diventare Ebrei unendosi al popolo eletto attraverso la Conversione. Coloro che scelgono di farlo sono poi obbligati ad osservare tutta la Torah per entrare nel Patto.
La parola goyim, termine molto aborrito tra i denigratori di Israele e degli ebrei, in realtà non è una parola dispregiativa: significa “nazioni”, il termine indica semplicemente i non-ebrei, senza toni discriminatori.
Perché allora proprio gli ebrei sono il popolo eletto?
Se è vero (come è vero) che “popolo eletto” in realtà non è un’espressione razzista, perché proprio gli ebrei sono stati scelti per essere detentori della Torah? Perché non un altro popolo? Su quali basi, insomma, sono stati scelti proprio loro da D-o? La Torah dà qualche motivazione?
E’ una domanda molto interessante. Si legga a tal proposito quanto scritto sulla Torah (Deuteronomio 7, 6-9):
Te scelse il Sign-re tuo D-o per essergli un popolo, possesso particolare fra tutti gli altri popoli che sono sulla terra. Non certo perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli vi ha prediletto il Sign-re vi ha scelto, perché voi siete i meno numerosi di tutti, ma solo per l’amore che Egli portava per voi e per osservare il giuramento fatto ai vostri padri.
La risposta a questa domanda è dunque questa: amore incondizionato, non dovuto dunque ad una ragione a cui si può risalire. Non dovuto alla numerosità, non dovuto alla maggiore fede rispetto agli altri popoli, nulla.
Una risposta che può venir confermata anche in un altro passaggio, molto famoso nell’ebraismo.
[Mosè] prese il libro dell’Alleanza e lo lesse alle orecchie del popolo. E dissero: “Faremo e ascolteremo tutto ciò che ha detto D-o!” (Esodo 24, 7)
Nello studio della Torah nulla viene considerato casuale: con l’espressione “faremo e ascolteremo” (in questa precisa disposizione dei termini), gli ebrei dichiararono la loro determinazione a eseguire e obbedire a tutto ciò che D-o avrebbe comandato, ancor prima che fossero stati dati i comandamenti e che ne fossero state comprese le ragioni (osservare prima di capire le ragioni è un atto di fede totale). Una promessa di amore incondizionato del popolo nei confronti di D-o, in risposta all’amore incondizionato del Sign-re nei confronti degli ebrei. “Incondizionato”: cioè al di fuori della logica e oltre la comprensione umana.
Questo significa “popolo eletto”. Solo questo e nient’altro che questo. Nessuna superiorità razziale o etnica. Per la pace degli accusatori di razzismo, che farebbero meglio a sforzarsi di capire le vere ragioni dietro le operazioni di difesa israeliane.
NOTE
1 Tratto da Khumash – Esodo, Milano 2010, Edizioni Mamash