L'archeologia conferma: la Bibbia ha ragione e questa è terra nostra

Gli scavi documentano la permanente presenza ebraica nella Terra d’Israele. Emozione a Masada. Le prime scoperte di Robinson. L’importanza della sinagoga di Bet Alfa. Il rapporto fra attività archeologiche e sionismo. Il negazionismo antisraeliano.

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1. Area nord degli scavi di Masada. Una stanza che fungeva da passaggio fra i depositi e la reggia di Erode. Siamo nel 1965. Nella stanza, insieme ai due volontari con cui lavoravo, trovo quelle che sembravano tessere per il razionamento del cibo. Capisco che poteva essere una stanza importante. Lavo immediatamente ogni più piccolo oggetto estratto dalla terra per vedere se vi sia scritto qualcosa. Alla fine della giornata, insieme a diversi altri reperti, avevo accumulato undici bossoli con undici nomi che tutti tranne uno – ben Yair – sembravano nomignoli. Yigael Yadin, che era a capo della campagna di scavi, non ebbe il minimo dubbio: avevamo riportato alla luce la testimonianza di uno dei momenti più drammatici della storia d’Israele: l’estrazione a sorte dei dieci uomini i quali, unitamente al capo della rivolta Eleazar ben Yair, avrebbero dovuto portare a termine il suicidio di massa, per non far cadere vivo nelle mani della X Legione romana nessuno degli assediati. Esattamente come descritto da Giuseppe Flavio nella sua Guerra giudaica. Una scoperta che non cambiava forse il quadro sostanziale dei risultati della ricerca archeologica a Masada, ma che provocò fortissime emozioni in me e in tutto il mondo ebraico: un altro evento considerato da molti un mito assumeva definiti contorni storici.

Il Gran Muftì e Hitler (e Netanyahu)



Muḥammad Amīn al-Ḥusaynī ebbe un ruolo importante nell’Olocausto, incitando i vertici del Terzo Reich a sterminare gli ebrei per scongiurarne l’esodo in Palestina. Gli incontri con il Führer. Il ruolo di Prüfer e von Oppenheim. Per Bibi il passato non passa.


di Wolfgang G. SCHWANITZ - Tratto da Limes (ottobre 2015)

1. A metà del 1943 il diplomatico nazista Curt M. Prüfer annotò nel suo diario di essersi incontrato con Max von Oppenheim, riferendosi a lui, ottantatreenne, come allo «Zio Max». Prüfer aveva incontrato la notte prima il gran mufti Muḥammad Amīn al-Ḥusaynī. L’ambasciatore, che nel 1915 aveva spiato gli arabi per lo «Zio Max» e il sovrano ottomano di Siria e Palestina Cemal Paşa, fungeva da ponte tra Oppenheim e al-Ḥusaynī. I due giocavano un ruolo chiave nei legami tra la Germania e il Medio Oriente.