Perché l’Occidente deve fermare l’Iran

Gerusalemme. Invece di trincerarsi dietro vuote frasi, come la lapalissiana costatazione del ministro degli Esteri francese, Alain Juppé – “Un attacco all’Iran destabilizzerebbe l’intera regione” (sic) – Stati Uniti e ciò che resta dell’Unione Europea dovrebbero fare fronte comune con Israele e accompagnare nuove draconiane sanzioni economiche con la minaccia tangibile e certa di un intervento militare se l’Iran non rinuncerà al suo programma nucleare. Solo così, forse, si scongiurerebbe il peggio: un attacco preventivo e solitario di Israele, che a Gerusalemme è visto ancora come un’estrema, pericolosa spiaggia, ma che il premier Benjamin Netanyahu e il ministro degli Esteri Ehud Barak considerano la loro missione storica per scongiurare un secondo olocausto.

Goldstone: “Ingiusta e infondata l’accusa di apartheid a Israele”

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Innanzitutto bisogna ricordare, semmai vi fosse bisogno, chi è Richard Goldstone: il giudice che in seguito all’operazione israeliana “Piombo Fuso”, volta a sradicare l’organizzazione Hamas dalla Striscia di Gaza, ha redatto un dettagliato rapporto con cui ha criticato duramente l’operato dell’esercito israeliano.

Lo stesso Goldstone in seguito ha ritrattato il suo stesso rapporto, ecco infatti le sue parole pubblicate in un articolo sul Washington Post: «Oggi sappiamo molto di più su quanto avvenne nella guerra di Gaza del 2008-2009 rispetto al periodo nel quale condussi l’inchiesta per conto del Consiglio Onu sui Diritti umani; se avessi saputo allora ciò che sappiamo oggi, il Rapporto Goldstone sarebbe stato differente».

Oggi è lo stesso Goldstone che sfata l’ennesima voce discriminatoria nei confronti dello Stato di Israele, anche se la situazione era già fin troppo chiara a chi in Israele ci vive o ci va abitualmente: definire l’unico Stato democratico del Medioriente “Stato di apartheid” era palesemente infondato.

Di seguito l’articolo dettagliato, tratto da FocusOnIsrael.

Goldstone: “Ingiusta e infondata l’accusa di apartheid a Israele”

“Quella mossa a Israele di essere unostato da apartheid è un’accusa falsa e malevola che preclude, anziché promuovere, la pace e l’armonia”. Lo scrive il giudice Richard Goldstone in un editoriale pubblicato sul New York Times. Goldstone, il cui rapporto Onu sull’operazione anti-Hamas a Gaza del gennaio 2009 divenne in tutto il mondo un emblema della polemica anti-israeliana, ha pubblicato un secondo editoriale a difesa di Israele dopo quello firmato in aprile sul Washington Post in cui sembrava ritrattare il suo stesso rapporto dicendo che avrebbe redatto un documento assai differente “se avessi saputo allora quello che so adesso”.

Goldstone, che è stato giudice nella Corte Suprema del Sudafrica negli anni in cui era in vigore il sistema di discriminazione razziale dell’apartheid, scrive: “Sebbene la parola apartheid possa avere un significato più ampio, la si usa per indicare la situazione che c’era in Sudafrica prima del 1994. Contro Israele, costituisce una calunnia ingiusta e infondata, studiata per ritardare anziché far avanzare i negoziati di pace. In Israele – continua Goldstone – non c’è apartheid. Nulla, in Israele, si avvicina alla definizione di apartheid in base allo Statuto di Roma [sulla Corte Penale Internazionale] del 1998”.

Nell’articolo, Goldstone distingue fra arabi israeliani e palestinesi dei territori. “Gli arabi israeliani votano, hanno partiti politici e rappresentanti alla Knesset, e ricoprono posizioni di prestigio, anche nella Corte Suprema. I pazienti arabi sono ricoverati insieme ai pazienti ebrei negli ospedali israeliani e ricevono identico trattamento”.

Goldstone non ignora i problemi ed anche le situazioni di discriminazione denunciate dai cittadini arabi d’Israele. “Ma – sottolinea – tutto questo non è apartheid, che invece consiste nel sancire consapevolmente la separazione come ideale”.
Circa la Cisgiordania, Goldstone afferma che la situazione naturalmente è più complessa. “Ma anche qui – scrive – non vi è alcuna intenzione di mantenere un sistema istituzionalizzato di sistematica oppressione e dominazione da parte di un gruppo razziale. Si tratta di una distinzione che rimane fondamentale anche quando Israele agisce in modo repressivo verso i palestinesi”.

Goldstone si schiera persino a difesa delle misure anti-terrorismo israeliane. “Finché i cittadini israeliani rimangono sotto la minaccia di attentati originati in Cisgiordania e striscia di Gaza – osserva – Israele considererà necessari per la propria auto-difesa i posti di blocco e altre misure analoghe, anche se i palestinesi si sentono oppressi da tali misure”. E quello che tanti anti-israeliani hanno definito “il muro dell’apartheid” è in realtà, ammette Goldstone, “una barriera di sicurezza costruita per fermare inesorabili attentati terroristici, mentre la stessa Corte Suprema israeliana in parecchi casi ha ordinato allo stato di ritracciarne il percorso per minimizzare disagi eccessivi”.

(Fonte: YnetNews, 1.11.11)
Israele.net
Nella foto in alto: Richard Goldstone

Croce Rossa: Israele, nessun uso improprio di bombe al fosforo nell’operazione “Piombo Fuso”

Riporto di seguito la traduzione di questo vecchio ma sempre utile articolo del Jerusalem Post, da mostrare a chi accusa troppo semplicisticamente Israele di violazioni del diritto internazionale. Peccato che la notizia non abbia avuto grande risalto sui media nostrani, come ha scritto anche Informazione Corretta.

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IDF, nessun uso improprio di bombe al fosforo

La Croce Rossa Internazionale dice che l’arma incendiaria è stata utilizzata solo per creare fumo o illuminare gli obiettivi.

Martedì la Croce Rossa Internazionale ha dichiarato che Israele ha utilizzato bombe al fosforo bianco nella sua offensiva nella Striscia di Gaza, ma che non esiste alcuna prova che siano state utilizzate impropriamente o illegalmente. La dichiarazione è arrivata dopo l’accusa di un’organizzazione umanitaria rivolta allo Stato ebraico di aver fatto uso dell’arma incendiaria, che si accende quando colpisce la pelle e continua a bruciare fino a quando non viene interrotto con l’ossigeno. Può causare ferite spaventose.

Il Comitato Internazionale della Croce Rossa aveva avvisato Israele di esercitare “estrema attenzione” nell’utilizzo dell’arma incendiaria, che viene usata per illuminare gli obiettivi militari nella notte o creare una cortina di fumo negli attacchi diurni, stando alle dichiarazioni di Peter Herby, a capo della sezione armi e mine dell’organizzazione. “In alcuni degli attacchi a Gaza è abbastanza evidente che il fosforo è stato usato” Herby ha dichiarato all’Associated Press. “Ma non è insolito utilizzarlo per creare fumo o illuminare obiettivi. Non abbiamo nessuna prova che ci dimostri che sia stato utilizzato in altro modo”.

In risposta, l’IDF martedì ha dichiarato di “augurarsi che sia riconosciuto da tutti che l’utilizzo delle armi era in linea con la legge internazionale, osservando che erano utilizzate in base al tipo di combattimento e alle loro caratteristiche”. Herby ha dichiarato che utilizzare il fosforo per illuminare un obiettivo o creare fumo è consentito dal diritto internazionale, e non c’è alcuna prova del fatto che lo Stato ebraico abbia intenzionalmente usato l’arma in modi illeciti, ad esempio incendiando edifici o mettendo consapevolmente a rischio.

Tuttavia Herby ha aggiunto che le certezze sono ancora limitate a causa delle difficoltà di accedere a Gaza, dove le fonti mediche palestinesi hanno parlato di oltre 900 morti e 4250 feriti da quando Israele ha lanciato la sua offensiva alla fine del mese scorso. L’operazione mira ad interrompere il lancio di razzi palestinesi oltre il loro confine. L’associazione Human RightsWatch ha accusato Israele di sparare bombe al fosforo e ha avvisato circa il pericolo di gravi ustioni sui feriti. Vi sono 10 casi sospetti di vittime bruciate che avevano la pelle che si staccava dal viso e dal corpo. Il fosforo bianco non è considerato un’arma chimica.

Articolo del 13/01/2009
Fonte: JPost

La verità sulla West Bank

Il West Bank, in precedenza Giudea e Samaria

Questo video molto interessante è stato pubblicato sulla pagina YouTube di Danny Ayalon, vice-ministro degli esteri israeliano. Vi consiglio caldamente di vederlo perché è veramente molto interessante e ben fatto. I sottotitoli si possono tradurre in italiano, tuttavia riporto qui sotto il testo integrale del video. E’ dedicato a chi troppo semplicisticamente giudica Israele colpevole di occupare una terra (anche se ad ogni modo ribadisco di essere a favore di uno Stato palestinese, ovviamente ottenuto attraverso il negoziato tra Israele ed arabi e non unilateralmente).

Per tradurre automaticamente i sottotitoli del video in italiano: cliccate su Play e mettete il video in pausa. Cliccate sull’icona CC posta in basso nel riquadro, selezionate “Traduci sottotitoli” e nell’elenco trovate “italiano”; cliccateci sopra e poi confermate con OK. La traduzione non sarà perfetta perché è effettuata automaticamente da Google, però il video sarà molto più comprensibile. Per una traduzione più accurata leggete sotto il riquadro.

Spesso nelle notizie si sente parlare di “territori occupati”, “confini del 1967” e “insediamenti illegali”; inoltre, spesso la storia che si sente raccontare risulta essere molto semplice da riassumere: “durante la guerra dei Sei Giorni Israele ha rubato la West Bank ai palestinesi, rifiutando la richiesta dell’ONU di restituirlo e costruendoci insediamenti illegali”. Ma le cose andarono veramente così? Cerchiamo di comprendere meglio la situazione.

Iniziamo con una questione semplice ma fondamentale: da chi Israele conquistò la West Bank? Dai palestinesi? No… nel 1967 non esisteva nessuno Stato che si chiamasse Palestina. Israele strappò la West Bank dalla Giordania in un atto di auto-difesa, dopo che la questa si era alleata con Egitto e Siria in una guerra con lo scopo di distruggere Israele. Ah, a proposito… distruggere paesi è piuttosto illegale.

Le Nazioni Unite nel 1967 respinsero le ripetute richieste arabe e sovietiche di considerare Israele come aggressore. La risoluzione 242 del consiglio di sicurezza dell’ONU non chiese il disimpegno unilaterale dello Stato ebraico dai territori conquistati; piuttosto, pretese la negoziazione di una soluzione che prevedesse “confini sicuri e riconosciuti ad Israele”, insomma “confini difendibili”.

Ma aspettiamo un attimo, perché la West Bank prima della guerra era territorio giordano? Qual era la giustificazione legale di ciò? Bene, la Giodania aveva… sapete cosa? Non aveva una giustificazione legale! La Giordania semplicemente occupò la regione nel 1948 con lo scopo di distruggere il neonato Stato di Israele, modificandone il nome comunemente accettato (che era Giudea e Samaria) in West Bank (o Cisgiordania). Ma nessuno fu veramente convinto di questa occupazione; infatti nessuno ne riconobbe la legalità, nemmeno gli Stati arabi.

Allora, se la Giordania non aveva alcun diritto legale sulla zona e uno Stato chiamato “Palestina” non esisteva, di chi era quel territorio? Torniamo ancora più indietro nel tempo. Tranquilli, non arriviamo ai tempi della Bibbia, ma solo a circa 100 anni fa.

Fino al 1917 l’intera regione apparteneva all’impero Ottomano. Dopo aver perso la prima guerra mondiale questo perse il controllo della regione, che andò agli Stati Alleati (Francia e Inghilterra), che decisero di dividere il vecchio impero in Stati. Il ministro degli esteri inglese, Lord Balfour, riconobbe il diritto storico degli ebrei ad una loro patria. Una piccola zona, equivalente a metà dell’1% dell’intero Medio Oriente, fu designata per questo scopo. La Gran Bretagna ricevette il mandato dalla Società delle Nazioni per promuovere la fondazione di una patria ebraica.

Ma aspettate un secondo: avete capito cosa è accaduto? La patria ebraica inizialmente non comprendeva solo la zona ad ovest del fiume Giordano, ma anche la zona ad est (l’attuale Giordania, ndt). Credo che non si possa dire che il popolo ebraico non abbia accettato alcuni compromessi dolorosi già all’epoca.

Ad ogni modo, il riconoscimento della patria ebraica – anche sulla West Bank – da parte della Società delle Nazioni fu ribadito dalle Nazioni Unite dopo la seconda guerra mondiale. Con la fine del mandato britannico la risoluzione 181 dell’Assemblea Generale dell’ONU raccomandava la fondazione di due Stati: uno ebraico e l’altro arabo. Gli ebrei accettarono il compromesso e dichiararono la loro indipendenza, mentre gli arabi lo rifiutarono e iniziarono una guerra per distruggere il nuovo Stato ebraico. La risoluzione 181 – una raccomandazione di primo grado non vincolante – rimase senza alcuna base legale.

Alla fine della guerra fu creata una linea armistiziale laddove le forze arabe ed israeliane interruppero i combattimenti. Ad insistenza dei leader arabi a questa linea non fu attribuito alcun significato politico. Così, anche se questa linea è comunemente indicata come “confini del '67” questa non era del '67 e non fu mai riconosciuta come un confine internazionale.

Ecco perché la definizione più esatta per la West Bank secondo la legge internazionale è in realtà la stessa che si usa in molte altre zone del mondo dove vi sono (o vi erano) dispute territoriali, ma che NON sono definite “occupate”. Per esempio: Zubarah, Isole Tumbs, Sahara Occidentale, Isola Abu Musa, Kashmir, ecc. che non sono “territori occupati” bensì “territori contesi”.

Allora, torniamo per un attimo alla nostra illustrazione ed esaminiamo la catena completa degli eventi. La presenza di Israele nella West Bank è il risultato di una guerra di difesa. La West Bank non si può considerare territorio “occupato” perché non vi era un precedente sovrano legale e quindi la vera definizione dovrebbe essere “territorio conteso”. Il piano di spartizione del 1947 non ha oramai alcun valore giuridico, mentre la pretesa di Israele ad una sua terra è stata chiaramente riconosciuta dalla comunità internazionale durante il 20° secolo. Ecco perché la presenza e la costruzione di insediamenti israeliani in Cisgiordania non dovrebbe essere considerata illegale.

Queste non sono solo mie opinioni; sono basate sulle conclusioni fatte dai giuristi rinomati nel mondo, come il Professore Eugene Rostow, i giudici Arthur Goldberg e Stephen Schwebel che presenziarono la Corte di Giustizia Internazionale.

Allora, qual è la soluzione per la disputa sul West Bank? Sfortunatamente non esiste una risposta assoluta. Ma l’unica via con cui una soluzione può essere trovata è basando i negoziati su fatti storici e giuridici. Allora, basta di usare i termini “territori occupati” e “confini del 1967”… semplicemente non sono “politically correct”.


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Ulteriori approfondimenti selezionati dal sito Storia di Israele:
La dichiarazione di Balfour
Conflitto tra arabi ed ebrei e risoluzione ONU n. 181
Nascita di Israele
Gerusalemme sotto assedio
Guerra del 1948 e armistizio del 1949
Guerra dei Sei Giorni
Dopo la guerra dei Sei Giorni

Il concetto di ebrei popolo eletto: razzismo o no?

Il Monte Sinai, dove gli ebrei ricevettero i Dieci Comandamenti e la Torah 

“Voi avete visto ciò che ho fatto all’Egitto: portandovi [come] su ali d’aquila, vi ho condotti a me. E ora, se ascolterete la Mia voce e osserverete il Mio patto, sarete per Me il tesoro [più amato] tra tutti i popoli, poiché tutta la terra Mi appartiene. E voi sarete per me un regno di prìncipi e una nazione santa!” (Esodo 19, 4-6)

La definizione di “popolo eletto” pesa sugli ebrei, da secoli. Molta gente considera questa definizione un chiaro segno del razzismo ebraico: “un popolo che si sente superiore agli altri, ma chi si crede di essere?”; questo potrebbe essere, in linea di massima, il pensiero diffuso in molte persone a riguardo.

Una definizione, quella di “popolo eletto”, che talvolta arriva a riguardare persino la questione mediorientale tra israeliani e palestinesi: capita frequentemente che le operazioni militari israeliane atte a prevenire il terrorismo o a replicare ad un attacco subìto, vengano commentate da qualcuno con parole del tipo: “beh, loro sono il popolo eletto quindi si sentono giustificati a fare qualsiasi cosa”. Quasi come a volere, in un certo senso, depistare (forse involontariamente o forse no) dalle reali motivazioni dietro a queste operazioni (che sono evidentemente tutto tranne che a fini religiosi).

Iniziamo a togliere i libri

In Scozia vengono banditi i libri stampati in Israele, una decisione che ricorda i roghi dei libri durante il periodo nazista. Sarà per l’islamofobia?

Fahrenheit 451

Come in una sorta di romanzo orwelliano, se da domani uno studente scozzese si recherà nella locale biblioteca pubblica per chiedere i romanzi di Agnon e Appelfeld si vedrebbe rispondere che quei libri sono stati banditi.

E’ successo che un consiglio provinciale in Scozia, il West Dunbartonshire (centomila abitanti), con una semplice ordinanza è diventata la prima regione in Europa a bandire libri israeliani dalle biblioteche pubbliche. Un portavoce del West Dunbartonshire ha spiegato che non verranno fatti sparire “i libri israeliani stampati in Gran Bretagna, ma solo quelli stampati in Israele”. Ha poi ammesso che soltanto lo stato ebraico è stato colpito dal provvedimento, mancando qualunque limitazione per i testi stampati in Iran o Siria. Lo scrittore israeliano Amos Oz parla di decisione “vergognosa”.

“Dove oggi si boicottano libri – ha commentato l’ambasciatore israeliano a Londra, Ron Prosor – in futuro potremmo assistere anche al loro rogo”, richiamando alla memoria il falò di libri ordinato da Joseph Goebbels. Altri hanno ricordato le parole del poeta Heinrich Heine: “Là dove si bruciano i libri si finisce per bruciare anche gli uomini”. Circola uno strano veleno antiebraico nelle classi abbienti e pensanti europee. La settimana scorsa il famoso regista Lars von Trier aveva definito Israele “un dito nel culo”.

In questa fase critica per la sopravvivenza d’Israele, sotto minaccia e disagio prenucleare, torna ad agitarsi una vecchia conoscenza dell’Europa. Il disprezzo per gli ebrei. Ne sono espressione queste nuove biblioteche judenrein.

IL FOGLIO 26/05/2011
Fonte: Kolòt

Le esigenze di sicurezza di Israele per la pace

Perché Israele oggi come oggi non può tornare ai confini del 1967? Quali sono i presupposti necessari perché Israele possa accettare di cedere i territori conquistati nella guerra dei Sei Giorni? Questo video cerca di fare chiarezza in merito.

Non dimenticate di vedere, a completamento di questo video, anche quest’altro filmato (se non lo avete già fatto).

Si consiglia di diffondere questi video, per far capire alla gente che le pretese di Israele non sono campate in aria ma sono strategicamente vitali per la sua sopravvivenza. Troppo facile gridare “pace” invocando la cessione di porzioni di territorio senza valutare la conformazione geografica e la nuova situazione geopolitica della regione, ben diversa da quella del 1967.

Perché Israele non può tornare entro le linee del 1967

Un video preciso e sintetico che spiega i motivi per cui la dirigenza israeliana esita nel concedere ai palestinesi il controllo della Cisgiordania, ritirandosi entro i confini antecedenti la guerra dei Sei Giorni.

Come può Rai3 dare voce e risalto ad un simile schifo antisemita?

Guardate il servizio andato in onda su Mi manda RaiTre del 6 maggio 2011. All’inizio sembra soltanto un povero pazzo con una concezione disgustosa della vita: alla fine si scopre che, oltre tutto ciò, il tizio è anche un puro antisemita. Purtroppo ci sarà sicuramente chi darà credito alle parole di questo pazzoide, allora perché dargli visibilità in TV? Soprattutto considerando che è un personaggio già abbastanza noto? Complimenti al servizio pubblico.

Ulteriori informazioni su questo tale dottor Ryke Geerd Hamer le trovate su Wikipedia.

Ryke Geerd Hamer

Perché i palestinesi vogliono che questo video venga rimosso?

E’ questa la domanda che si pone il creatore di questo video che evidentemente ha toccato un argomento scottante. Lo riporto qui perché è realizzato molto bene e merita. Forse un giorno lo tradurrò anche in italiano, nel frattempo lo riporto da YouTube in versione originale (è di facile comprensione comunque).

Ne consiglio caldamente la visione a tutti!

L’esodo ebraico dalla Libia: racconti, documenti, testimonianze

Il pogrom e l’esodo dei
40 mila ebrei libici

Furono 40 mila gli ebrei libici espulsi nel 1970, assieme agli italiani. Come gli ebrei di Djerba, di fronte alla città tunisina di Gabès, dove una comunità ebraica fu creata nel 586 a.C. da profughi di Gerusalemme in fuga dopo la distruzione del primo Tempio da parte del babilonese Nabucodonosor. Come gli ebrei della bellissima Casablanca, dove c’è la seconda sinagoga più grande del mondo e dove al Qaeda ha colpito tre anni fa. Come gli ebrei d’Algeria, che erano 200 mila ebrei nel 1962 e si sono ridotti a un centinaio scarso. Come gli ebrei di Siria, che dai 45 mila del 1948 sono passati ai 5.000 del 1987 e ai 63 del 2001.

Cronologia delle principali persecuzioni subite dagli ebrei nei paesi arabi

L'operazione Salomone, che condusse in Israele gli ebrei yemeniti dopo la fondazione dello Stato ebraico.

Benché molti dicano il contrario, gli ebrei non furono perseguitati solo in Europa ma anche in moltissimi paesi arabi. Di seguito la cronologia delle principali persecuzioni.

No comment

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Un conto è piangere e addolorarsi per una persona, come ho fatto anche io, un altro è martirizzarla e considerarla addirittura un eroe come stanno facendo molti in questo periodo.

I seguenti post sono tratti dalla pagina Facebook di Vittorio Arrigoni. Li riporto qui sotto, senza commentarli. Lascio ogni giudizio a voi che leggete.

Cliccando su alcune di queste immagini è possibile risalire al post originario (salvo cancellazioni o modifiche dei nuovi gestori della pagina).

Cronologia delle principali persecuzioni subite dagli Ebrei nell'Europa “cristiana”

Negozio ebreo distrutto nella "Notte dei cristalli" (1938)

Di seguito un resoconto delle principali persecuzioni subite nei secoli dagli ebrei. L’elenco comprende solo quelle avvenute in Europa, senza menzionare le varie discriminazioni avvenute in altri paesi, in particolare arabi, come ad esempio l’Iraq dove si consumò il Farhud (giusto per citare un esempio).

Un pensiero per Vittorio Arrigoni

Sinceramente non avrei mai pensato che sarebbe finita così: Vittorio Arrigoni è stato rapito da un gruppo salafita palestinese e assassinato brutalmente poche ore dopo. Solo qualche ora prima ci stavo combattendo virtualmente sul web a suon di post su Facebook: niente avrebbe potuto far presagire un finale così tragico.

Arrigoni solo qualche giorno fa era un quasi sconosciuto, con una sua nutrita schiera di fans ma lontano dai riflettori dei media. Oggi domina le cronache nazionali e anche internazionali. Anche io, insieme ad altri amici, lo conoscevo (non direttamente) e mi ci confrontavo su internet (a distanza, dato che la sua pagina era chiusa a chi la pensava diversamente da lui). Oggi tutto questo è già passato.

Per quanto avessi potuto criticarlo, per quanto ancora oggi possa confermare in toto tutte le critiche che gli muovevo insieme ai miei compagni di viaggio di “Sionismo: informazione e controinformazione”, mi dispiace profondamente per lui e faccio le condoglianze ai suoi familiari e a chi lo amava.

Eh sì, anche a chi dopo la sua uccisione ha continuato e continua a sparare a zero contro Israele. Quasi come a voler rimuovere dalla memoria della gente che la sua morte non è stata provocata dallo Stato ebraico ma da una cellula terroristica della stessa gente che Vittorio difendeva in vita. A volte non basta l’esperienza per modificare un’idea profondamente radicata: chissà se Vittorio durante il rapimento avrà ripensato minimamente alla “propaganda sionista” contro il fondamentalismo islamico; chissà se la considerava ancora “propaganda”…

Il video di rivendicazione del rapimento remixato dopo la sua morte (per sottolineare le scuse da parte del popolo palestinese)

Ma per quanto una persona possa avere delle idee sbagliate o non condivisibili, niente di tutto ciò può prevalere di fronte a degli eventi così tragici. Nessuno può meritare tutto ciò solo per delle idee, per quanto errate possano essere.

E allora, che la terra ti sia lieve Vittorio.

I funerali di Arrigoni a Gaza

Arafat: un bilancio politico

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di Giovanni De Sio Cesari
(articolo scritto poco dopo la morte di Arafat)


Punto di vista e parametri di giudizio
La morte di Arafat è stata seguita da tutto il mondo con generale partecipazione umana per la fine di un uomo che nel bene e nel male aveva per tanto tempo rappresentato tutto un popolo. Come ben raramente è avvenuto nella storia tutto il mondo finiva con l’identificare l’intero popolo palestinese nella sua persona.

La sua vita si è spenta in una asettica clinica straniera: qualche gruppo ebraico mostrava un indecoroso spettacolo di giubilo ma tutto il suo popolo lo ha pianto sinceramente: una folla immensa si è impadronita del suo corpo e come nelle antiche usanze della sua gente, è stato seppellito fra le grida e gli spari come si addice a un eroe, a un grande capo. Per tanti anni è stato uno dei primi attori della scena internazionale (da più tempo di tutti, escluso Castro) ed ora non si sa chi prenderà il suo posto ma si sa pure che nessuno, qualunque sia il successore, riuscirà ad avere il suo carisma e il suo ruolo.

Il divieto di macellazione rituale e la libertà religiose delle minoranze

Breve recensione del libro di Lerner P. – Rabello A. M. ”Quaderni del Dipartimento N. 88, 2010″ , Università di Trento; Dipartimento Scienze Giuridiche

Da veterinario quale sono mi ha affascinato in modo particolare un libro, anzi un manuale, stampato a Livorno nel 1832, ed intitolato “Zivchè cohen”, scritto da Isach Coen. Si tratta di un manuale per “shochatìm” (macellatori rituali), corredato di tavole anatomiche di rara bellezza e precisione per l’epoca e per gli scopi prefissati, ovvero “istruire” un macellatore!

“Sul Sionismo”, Martin Luther King

Martin Luther King

“Pace per Israele significa sicurezza, e dobbiamo con tutti i nostri mezzi proteggere il suo diritto a esistere. Israele è uno degli importanti avamposti della democrazia nel mondo, è un meraviglioso esempio di come una terra arida può essere trasformata in un’oasi di fratellanza e democrazia. Pace per Israele significa sicurezza, e la sicurezza deve essere reale.”

“Il popolo negro, amici miei, sa bene che cosa vuol dire soffrire il tormento della tirannia sotto un tiranno che non ci siamo scelti. I nostri fratelli in Africa hanno mendicato, implorato, supplicato, chiedendo che venisse riconosciuto ed attuato il nostro congenito diritto a vivere in pace sotto la nostra sovranità e nel nostro paese.”

“Come dovrebbe essere facile, per chiunque abbia a cuore questo inalienabile diritto umano, comprendere e sostenere il diritto del popolo ebraico a vivere nell’antica terra d’Israele. Gli uomini di buona volontà esultano nel vedere la promessa di Dio realizzata, nel vedere il suo popolo che torna gioiosamente a ricostruire la sua terra devastata. Questo è il Sionismo, niente di più e niente di meno.”

“Cos'è invece l'anti-sionismo? E’ il negare al popolo ebraico quel diritto fondamentale che giustamente oggi riconosciamo ai popoli dell'Africa e che siamo pronti a concedere a tutte le altre nazioni del mondo. Si tratta, amici miei, di discriminazione contro gli ebrei, a causa della loro ebraicità. Si tratta cioè di antisemitismo.”

L’antisemita gode di ogni opportunità che gli consente di esprimere il suo pregiudizio. Al giorno d'oggi però, in Occidente, proclamare che si odiano gli ebrei è diventato molto impopolare. Di conseguenza, l’antisemita deve costantemente inventare nuove forme e nuove sedi per il suo veleno. Deve camuffarsi. E allora non dice più di odiare gli Ebrei, ma solo di "essere anti-Sionista.”

“Cari amici, non vi accuso di essere deliberatamente antisemiti. So che, al pari di me, siete contrari al razzismo, al pregiudizio e alla discriminazione. So però anche che siete stati sviati - al pari di altri - dall'idea che è possibile essere “antisionisti” pur rimanendo fedeli ai principi che assieme condividiamo. Spero che le mie parole vi riecheggino nell’anima: quando la gente critica il Sionismo vuole dire che ce l’ha con gli ebrei; non facciamoci ingannare.”


(Da M.L. King Jr., "Lettera a un amico antisionista" Saturday Review, n. XLVII, agosto 1967, p. 76. Ristampata in M.L. King Jr., "This I Believe: Selections from the Writings of Dr. Martin Luther King Jr.", New York, 1971, pp. 234-235.) - Tratto da qui.


Letture consigliate:
Antisionismo e antisemitismo: la sottile linea rossa
Herzl e la "National Home" ebraica: il Sionismo
"Der Judenstaat": lo Stato ebraico
Estratto dal diario di Theodor Herzl: il primo Congresso Sionista
Il Programma di Basilea

Il pacifista che predica bene e razzola male

Vittorio Arrigoni nel suo videomessaggio a Roberto Saviano pubblicato su YouTube. Nel video, il "pacifista" rimproverava all'autore di "Gomorra" di essere sionista. Ci siamo finalmente: l’attivista italiano Vittorio Arrigoni ha bannato anche me dalla sua pagina Facebook: cominciavo quasi a sentirmi escluso! Volete sapere il motivo? Semplice: aver detto che un suo video non costituiva la prova che fosse avvenuto un bombardamento e che dalle immagini non mi sembrava che Gaza fosse un lager a cielo aperto, come molti dei suoi “adepti” spesso la definiscono. Stop. Qualche ora più tardi mi sono riconnesso e non potevo più commentare ciò che scriveva; e nel post dove avevo scritto non c’erano più i miei commenti (però quelli degli altri utenti che mi rispondevano, anche insultandomi, erano ancora lì). Assurdo. Anche io ora faccio parte della nutrita schiera di persone cacciate da quella pagina solo per aver espresso la propria opinione personale. Una cosa scandalosa se consideriamo che Arrigoni è uno dei personaggi più seguiti sul web dai sostenitori della “pace senza Israele”. Proprio in virtù di questi ban indiscriminati è nata già da tempo una pagina apposita per replicare a ciò che scrive, essendo impossibile farlo sulla sua pagina.

Libia, tutte le paure (giustificate?) di Israele

“Sarà Israele a pagare il conto per l’attacco alla Libia?”. E’ la domanda ricorrente che apre le prime pagine dei quotidiani israeliani in questi giorni. Le grandi firme del Jerusalem Post, di Haaretz e delle testate ebraiche si interrogano – e si dividono - sugli imprevedibili sviluppi di questo strano conflitto.

Il coraggio di dire che l’antisionismo è antisemitismo

Il nuovo saggio di Pierluigi Battista affronta di petto tutti i pregiudizi contro il popolo e lo Stato ebraico. Chi "spara" su Tel Aviv poi non dice nulla per ciò che accade in Cina e nel Darfur

È un evento straordinario il nuovo libro di Pierluigi Battista Lettera a un amico antisionista (Rizzoli, pagg. 120, euro 17,50). Le élite europee e americane si sono contagiate le une con le altre in un demente biasimo per Israele, in cui non esiste né logica né storia, ma da cui, paludata di studi, numeri, belle parole e mezze parole, esce l’idea che Israele sia un Paese che sarebbe meglio non esistesse. Anzi, che forse domani non esisterà. Anzi, che verrà distrutto. Battista distrugge invece la perversione intellettual-politica di massa dell’odio antisionista in cinque brucianti capitoli e la rivela per quello che è: antisemitismo.

Il legame fra Risorgimento italiano e Sionismo

Risorgimento italiano, risorgimento ebraico, unità d’Italia, stato d’Israele. E’ possibile immaginare un cammino condiviso, in un secolo, l’ottocento, che ha visto la nascita di molte nazioni? Lo chiedo ad Alberto Cavaglion, studioso e storico dell’ebraismo italiano, quanto ha influito sulla rinascita di Israele il secolo XIX ?

“Moltissimo. La rinascita di Israele è figlia dei movimenti nazionali dell’Ottocento. La cultura dei padri fondatori si sviluppa in Europa. Essendo arrivato cronologicamente per ultimo, il Risorgimento ebraico del XIX° ha potuto unire idealità nazionali con idealità sociali e dunque s’è arricchito mettendo a contatto la tradizione con la modernità, per esempio, del socialismo.   La sola differenza è nell’afflato religioso che nutrì una parte del movimento sionista alle origini, ma non fu preponderante. Il nesso fra origini del sionismo e costruzione dello Stato italiano è stretto, di solito si dimentica di ricordare la simpatia con cui in Italia, sul finire dell’Ottocento, la stampa repubblicana e mazziniana) e poi soprattutto socialista ha accolto il sionismo.

Rubbia: "L'errore nucleare, il futuro è nel sole"

Carlo Rubbia
Parla il Nobel per la Fisica: "Inutile insistere su una tecnologia che crea solo problemi e ha bisogno di troppo tempo per dare risultati". La strada da percorrere? "Quella del solare termodinamico. Spagna, Germania e Usa l'hanno capito. E noi..."

di ELENA DUSI

ROMA - Come Scilla e Cariddi, sia il nucleare che i combustibili fossili rischiano di spedire sugli scogli la nave del nostro sviluppo. Per risolvere il problema dell'energia, secondo il premio Nobel Carlo Rubbia, bisogna rivoluzionare completamente la rotta. "In che modo? Tagliando il nodo gordiano e iniziando a guardare in una direzione diversa. Perché da un lato, con i combustibili fossili, abbiamo i problemi ambientali che minacciano di farci gran brutti scherzi. E dall'altro, se guardiamo al nucleare, ci accorgiamo che siamo di fronte alle stesse difficoltà irrisolte di un quarto di secolo fa. La strada promettente è piuttosto il solare, che sta crescendo al ritmo del 40% ogni anno nel mondo e dimostra di saper superare gli ostacoli tecnici che gli capitano davanti. Ovviamente non parlo dell'Italia. I paesi in cui si concentrano i progressi sono altri: Spagna, Cile, Messico, Cina, India Germania. Stati Uniti".

L’indifendibile tesi del ritiro immediato sulle linee del ‘67

Ari Harow, autore di questo articolo

Di Ari Harow

Il Medio Oriente si trova nel mezzo di uno sconvolgimento storico. Ma, nonostante quello che chiedono le piazze arabe sia chiaramente il cambiamento dei loro regimi, c’è ancora chi sostiene che il ritiro d’Israele dalla Cisgiordania sarebbe la ricetta giusta per ristabilire la stabilità nella regione. Nulla potrebbe essere più lontano dal vero.

In realtà, proprio in questo momento un affrettato ritiro di Israele sulle linee armistiziali del 1949-67 si dimostrerebbe catastrofico per le speranze di democrazia in Medio Oriente. Se passi avanti devono esservi, devono essere fondati piuttosto sul concetto di confini difendibili.

Spunta il burqa fra ebree ultra-osservanti

Nel comune di Beit Shemesh donne coperte dalla testa ai piedi da burqa neri:
sono adepte d’una setta ebraica ultrà che accompagnano le figlie a scuola.
Perché i rabbini tacciono?

I talebani sono arrivati alle porte di Gerusalemme. Ogni mattina i residenti del comune di Beit Shemesh vedono arrivare donne coperte dalla testa ai piedi da burqa neri, ma l’Islam stavolta non c’entra nulla: sono adepte d’una setta ebraica ultrà, che accompagnano le figlie a scuola. E anche le bambine indossano cappe scure, con i volti rigorosamente coperti. La stampa laica s’inquieta e ne parla come di “ebree talebane”. La loro è una forma estrema di religiosità, che in Israele ha iniziato a prendere piede nel 2006 e oggi conta già svariate centinaia di fedeli in giro per il Paese.

I muri del mondo

Si sente parlare spesso della barriera costruita tra Israele e i territori palestinesi con lo scopo di arginare l'ingresso illegale di terroristi nel territorio dello Stato ebraico. Molte persone contestano questa barriera, ma ignorano che nel mondo ci sono numerosi casi analoghi, molti dei quali che non hanno neppure una ragione veramente giustificabile.

Naturalmente le ragioni dell’esistenza della barriera israeliana prescindono da ciò che avviene altrove nel mondo: ma perché allora chi lo contesta non fa altrettanto con gli altri muri sparsi nel pianeta?

Il Talmud vive nonostante tutti i roghi

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Fa paura la sua democraticità di opinioni in aperta dissonanza con l’interpretazione univoca e dogmatica dei testi biblici di altre religioni.

di SCIALOM BAHBOUT

Tutta colpa di Gutenberg! Se non avesse inventato la stampa, forse, la chiesa non avrebbe trovato l'occasione buona per mandare al rogo centinaia di copie del Talmud e di altri libri ebraici. Le due più importanti case editrici veneziane di libri ebraici del XVI secolo, Marcantonio Giustiniani e Aloise Bragadin, avevano stampato contemporaneamente nel 1550 il Mishnè Torà di Maimonide: i due tipografi si accusavano a vicenda, sostenendo che la parte avversa aveva usurpato il proprio diritto in merito alla stampa dell’opera. Con la complicità di alcuni ebrei apostati, la disputa fu portata davanti alla corte papale, ma con l’accusa che i libri ebraici, stampati in quelle tipografie, contenevano offese e attacchi contro il cristianesimo.

Il Talmud siamo noi

Il Talmud non è un’opera unitaria ma è una raccolta di detti di molti Maestri diversi, esposti nel corso di varie generazioni, quasi sempre in contrasto l’uno con l’altro. E' un testo religioso, giuridico, scientifico, filosofico, letterario, esegetico, omiletico. E’ talmente vasto che non a caso viene chiamato il “mare”

Cos’è il Talmud? E’ l’anima del popolo ebraico. E’ la sua essenza, è il fondamento della sua esistenza. Gli ebrei sono ebrei grazie al Talmud. Sono nati con la Torà (e il resto della bibbia), ma sono cresciuti e sono diventati quello che sono con il Talmud. Eppure, il Talmud non è un’entità separata e avulsa dalla Torà, tutt’altro. Il Talmud, una parola che significa “studio”, è infatti lo studio della Torà. Il testo scritto, come è per definizione la Torà, deve necessariamente essere accompagnato da una tradizione orale che indirizzi e determini come il testo va capito, interpretato, applicato. E poiché gli ebrei sono tanti, e notoriamente hanno opinioni diverse gli uni dagli altri, hanno da sempre discusso su quale debba essere l’interpretazione esatta di una norma o di un verso della Torà. Il Talmud è l’elaborazione della “registrazione” di queste discussioni nelle yeshivòt (accademie), protrattesi per circa cinque secoli e messe infine per scritto in due fasi: la prima con la Mishnà, che rabbi Yehudà Hanasì redasse alla fine del II secolo; la seconda, due-tre secoli più tardi, con la Ghemarà (un termine aramaico che significa anch’esso studio), che raccoglie le discussioni dei maestri sulla Mishnà, diventata essa stessa oggetto di studio. Il Talmud è l’insieme della Mishnà e della Ghemarà e se ne hanno due redazioni distinte, una proveniente dalla terra d’Israele (il Talmud Yerushalmì), l’altra dalla Babilonia (il Talmud Bavlì). Uniti, i due Talmudim ammontano a quasi 30 volumi di dimensioni enciclopediche.

In Italia cresce l’antisemitismo virtuale e l’uso delle parole ‘malate’

Shalom pubblica in anteprima l’allarme lanciato dallo studio del CDEC:
aumento sensibile dei siti e dei blog negazionisti e giudeofobici.

GIACOMO KAHN

“Siti negazionisti, antisionisti, o giudeofobici, siti di destra e sinistra estreme, islamisti, o cattolici integristi, cospirativi. E’ difficile quantificare il numero di contatti, ossia quante persone entrano in relazione con questi contenuti, ma è certo che attraverso internet la propaganda e la diffusione di idee intolleranti diventa più facile. Internet informa, organizza, conferisce struttura relazionale e sistema di comunicazione a gruppi estremisti e tra questi anche quelli antisemiti. Il rischio dell’antisemitismo on line è la sua capacità di influenzare i valori sociali, soprattutto tra i più giovani. La tecnologia crea un ambiente dove l’antisemitismo o altre forme di odio, diventano accettabili all’interno della società.