Il legame fra Risorgimento italiano e Sionismo

Risorgimento italiano, risorgimento ebraico, unità d’Italia, stato d’Israele. E’ possibile immaginare un cammino condiviso, in un secolo, l’ottocento, che ha visto la nascita di molte nazioni? Lo chiedo ad Alberto Cavaglion, studioso e storico dell’ebraismo italiano, quanto ha influito sulla rinascita di Israele il secolo XIX ?

“Moltissimo. La rinascita di Israele è figlia dei movimenti nazionali dell’Ottocento. La cultura dei padri fondatori si sviluppa in Europa. Essendo arrivato cronologicamente per ultimo, il Risorgimento ebraico del XIX° ha potuto unire idealità nazionali con idealità sociali e dunque s’è arricchito mettendo a contatto la tradizione con la modernità, per esempio, del socialismo.   La sola differenza è nell’afflato religioso che nutrì una parte del movimento sionista alle origini, ma non fu preponderante. Il nesso fra origini del sionismo e costruzione dello Stato italiano è stretto, di solito si dimentica di ricordare la simpatia con cui in Italia, sul finire dell’Ottocento, la stampa repubblicana e mazziniana) e poi soprattutto socialista ha accolto il sionismo.

Come giudichi il sionismo paragonandolo ai vari movimenti nazionali dell' '800? E con il Risorgimento italiano?

Diciamo pure che ci sono dei tabù da infrangere su questo tema, come su tutta quanta la memoria del Risorgimento italiano. Circolano molte amnesie in Italia sia sulle origini del sionismo sia sul Risorgimento. Troppo comodo attribuire la colpa alla Lega. Se soltanto si pensa al silenzio di qualche anno fa, viene da sorridere. Il povero Spadolini tentò di sottolineare questo legame, purtroppo invano: penso alla solitudine in cui venne a trovarsi e con lui isolati si trovarono molti studiosi gravitanti intorno ai Musei del Risorgimento e alla Domus Mazziniana quando tentarono di rigettare l’assurdo paragone che Craxi instaurò fra Mazzini e Arafat. Ricordo che Rosario Romeo e la sua eccellente biografia di Cavour erano vilipesi forse anche più della biografia di Mussolini scritta da Renzo De Felice. Non dobbiamo mai dimenticare che fino a non molti anni fa dominavano in Italia due forze sovranazionali: la democrazia cristiana e il partito comunista. Con rare eccezioni l’identità nazionale italiana, nel ’68, era considerato un disvalore rispetto agli ideali internazionalistici del momento.  

Può aver influito la partecipazione degli ebrei italiani al Risorgimento al formarsi di una coscienza sionista successiva?  

In Italia una coscienza sionista inizia a concretizzarsi soltanto nei primi anni dei Novecento, ma questo avviene in un differente clima politico-culturale. Con il periodico “L’idea sionista” la discussione diventa ampia e culmina nel 1910, poi inizia una crisi, dovuta al sorgere e all’affermarsi del movimento nazionalista italiano, nel quale militeranno non pochi ebrei italiani fedeli alle memorie risorgimentali, ma ostili al sionismo.  Credo che l’eredità risorgimentale sia stata decisiva nell’adesione al Sionismo di molti ebrei italiani sul finire dell’Ottocento.  L’Ottocento ebraico-italiano è davvero una terra troppo poco esplorata e piena di sorprese. La sintonia sarà perfetta alla fine dell’Ottocento, quando il giovane movimento sionista guarderà con ammirazione all’Italia “sognata” dagli uomini del Risorgimento italiano. Per lunghi secoli anche l’identità ebraica è stata esclusivamente riconducibile a un sogno , come il ritorno a Sion e come dimostra la popolarità del coro verdiano del Nabucco. La sintonia con il sionismo è stata più forte che ai tempi delle guerre d’indipendenza. Gli ebrei italiani, nel loro insieme, non erano preparati all’emancipazione, perché non avevano un’adeguata consapevolezza politica. 

Perché secondo te Israele è l'unico paese al mondo al quale viene negato il riconoscimento del suo movimento nazionale, cioè il sionismo?

La storia del sionismo in quanto tale viene rimossa dal discorso pubblico italiano. Ciò accade da molto tempo. Viene rimosso tutto quanto il discorso sul sionismo, non soltanto il riconoscimento della sua radice ottocentesca, di movimento nazionale. Nella storiografia in Italia al sionismo capita oggi quello che per lungo tempo è accaduto alla storia degli ebrei. O non viene studiato e quindi viene rimosso- con le conseguenze che si possono immaginare – oppure viene relegato ai margini, per così dire “ghettizzato”, lasciato in mano soltanto a storici ebrei, come se non fossero argomenti che possono essere studiati al pari di altri. In Italia dal 1989 in avanti, cioè dopo il crollo del muro di Berlino molte cose sono cambiate – in meglio, per fortuna – con la storia degli ebrei in Italia, che è diventata patrimonio di tutti. Con il sionismo continua invece una situazione di generale rimozione, di persistenti forme di manicheismo ideologico. Credo che sia diffuso ancora un generico, irenico universalismo ostile a qualsiasi forma di idea nazionale: del resto lo si vede in questi giorni, nell’indifferenza generale che accompagna il discorso pubblico sul Risorgimento. Il movimento nazionale dell’Ottocento non scalda gli animi di nessuno. Che Israele sia il frutto di un movimento di indipendenza nazionale è un dato di fatto, da taluni, certo, dimenticato. Con astuzia, soprattutto quando si fa avanti la tesi dello stato bi-nazionale. Le menzogne su Israele più vergognosamente si costruiscono intorno alla storia più recente che non quella ottocentesca.

In Italia scriviamo Risorgimento con la R maiuscola, ne celebriamo le ricorrenze, perché allora non scriviamo Sionismo con la S maiuscola?

Non credo vi sia un legame così stretto fra idee e abitudini di scrittura. Sulla miopia con cui in Italia si guarda al passato avrei delle riflessioni da svolgere; sulla celebrazione delle ricorrenze ci sarebbe molto da dire e lo si vedrà assai bene in questo 2011 appena iniziato. Viviamo in un paese molto distratto. Le maiuscole in Italia si sprecano, la conoscenza storica è assai debole.  C’è pure una inclinazione diffusa a trasformare in puro nominalismo il discorso storico, che richiede serenità di giudizio e predisposizione a scavare nei problemi del passato. Mi preoccupano di più le definizioni strumentali e maliziose del sionismo, la volgare sua equiparazione al razzismo, quello dell’uso della scrittura può essere un falso problema, marginale e minuscolo rispetto alle voragini di ignoranza che si spalancano davanti a nostri occhi quando affrontiamo il discorso nel mondo della scuola e anche nel livello di preparazione di molti giornalisti che senza mai essersi recati “sui luoghi”, disconoscendo la geografia, si fanno portatori di concetti sbagliati e mistificano la realtà.

Puoi ricordare brevemente qualche nome di ebreo italiano che sia stato protagonista del Risorgimento, e come ne prese parte?

Isacco Artom, segretario di Cavour, Salvatore De Benedetti, chiamato poi da De Sanctis a ricoprire a Pisa la prima cattedra di lingua ebraica, poi David Levi, socialista sansimoniano, che farà in tempo a comporre un solenne inno al Sionismo. Il primo documento ufficiale del Sionismo italiano è un telegramma inviato al congresso di Basilea del 1898. Lo firma un ebreo ungherese trasferitosi in Italia per combattere con Garibaldi, Marcou Baruch. Il telegramma reca una firma che oggi mi sembra notevole: “I prigionieri di Tito”. Penso ad Alberto Cantoni che scrisse il romanzo L’Illustrissimo per esortare i proprietari a capire i mezzadri e i villici, penso a Achille Loria, laico materialista nipote di rabbino. A Torino Angelo Brofferio promosse la collaborazione di ebrei ai suoi giornali. In Toscana bisogna ricordare Alessandro D’Ancona e rileggere nelle sue memorie una altissima testimonianza di tolleranza religiosa che trae origini dalla lotta dei patrioti. Ebrei militarono nella Giovine Italia e nel Partito d’Azione. Una figura caratteristica di nutrimento mazziniano fu Davide Levi. I suoi libri testimoniano le tappe del Risorgimento e il pathos, con cui ha descritto la prova musicale dell’inno nazionale, vale di essere ricordato nell’evento celebrativo del 17 marzo, con o senza la chiusura di uffici, stabilimenti e scuole.  Un ruolo di organizzatore e amministratore, nel comitato per il milione di fucili fu svolto da Giuseppe Finzi, personaggio di spessore politico, con politico spostamento, deputato dal 1861 al 1886, di cui s’è occupato il professor Bruno Di Porto, che qui dobbiamo ricordare, tessendone le lodi, perché su questi temi , nel periodo del silenzio generale, ha condotto in perfetta solitudine studi pionieristici di altissimo valore. Ma non dobbiamo dimenticare, a Trieste, Giuseppe Revere, e fra gli amici ebrei di Mazzini, i fratelli Angelo ed Enrico Usiglio, modenesi: Angelo soprattutto, detto amichevolmente da Mazzini «il mio Angelo custode». Mazzini parla di lui e degli antenati dei Rosselli che conosce a Londra come di «stolidi buoni». Stolidi, non perfidi. E, soprattutto, «buoni». Nel clima, spesso avvelenato del dialogo fra ebrei e italiani che caratterizzerà la storia del Novecento, la definizione di Mazzini non ha perso smalto. Non mi offenderei se qualcuno dicesse di me che sono uno stolido buono.


Fonte: Shalom n.3 (2011) – Tratto da Liberali Per Israele