La tolleranza politica moderna che nasce dal Talmud

William Blake in un ritratto di Thomas Phillips

La Torah, la letteratura talmudica e il giudaismo medievale hanno un ruolo decisivo per la formazione dell’idea repubblicana

di Giulio Busi

«Religione e politica non sono forse la stessa cosa?». Agli inizi dell’Ottocento, quando quell’inguaribile testa calda di William Blake poneva questa domanda ai (pochissimi) lettori del suo Jerusalem, la frase aveva ormai un valore soprattutto provocatorio. Erano quasi due secoli che gli intellettuali europei si scagliavano contro la vecchia alleanza tra Stato e Religione, e le rivoluzioni settecentesche avevano sancito la separazione tra i due domini.

Il distacco tra cosa pubblica e istituzione di fede è generalmente considerato il risultato di un lento cammino di laicizzazione della società occidentale. In un nuovo libro, destinato a far discutere, Eric Nelson dell’Università di Harvard prova a smontare questa vulgata e per farlo non esita a gettare nella mischia pii teologi protestanti del Seicento e, cosa ancora più inaspettata, un bel numero di rabbini tradizionalisti. Il volume s’intitola eloquentemente La Repubblica ebraica (The Hebrew Republic), e cerca di dimostrare che non solo la Bibbia ma anche la letteratura talmudica e le fonti del giudaismo medievale giocarono un ruolo decisivo nell’emergere della tolleranza religiosa e di una rigorosa idea repubblicana.

La macellazione rituale ebraica

Molti si domandano come sia possibile che la Torà, promotrice dei valori universali di sensibilità e compassione verso il prossimo, consideri la macellazione rituale ebraica detta shechittà l’unico metodo di macellazione possibile, escludendone qualunque altro.

La domanda acquisisce ulteriore peso se si considera che la Torà vieta esplicitamente la provocazione di dolore inutile agli animali1, fatto che emerge, ad esempio, dal precetto che richiede di sollevare l’onere di una bestia crollata sotto il proprio carico, anche qualora l’animale appartenga al nemico2.

A questo proposito, il Talmud afferma che, nel caso di un animale in pena, è vietato porgere aiuto in cambio di denaro, in quanto la sofferenza della creatura deve essere alleviata con la massima urgenza3.

Gli esempi che si potrebbero citare in proposito sono innumerevoli.

Emerge di nuovo la domanda: se la Torà considera la compassione un valore tanto essenziale, per quale motivo essa richiede di uccidere gli animali con un coltello, vietando qualunque altro sistema fra i più diffusi, quale lo sparo di un chiodo alla testa dell’animale per mezzo di una pistola, che – pare – assicuri una morte più rapida e meno dolorosa? La Torà vieta, inoltre, di stordire l’animale in qualunque maniera prima di ucciderlo: né colpendolo con un oggetto pesante né per mezzo di una scossa elettrica (elettroshock), ad esempio, entrambi sistemi adottati ormai in tutto il mondo al fine di ridurre la sofferenza degli animali.●

Di seguito ci si inoltrerà esclusivamente nella questione concernente il metodo più opportuno per macellare bestiame e volatili, tralasciando intenzionalmente la questione della legittimità della consumazione della carne.

I metodi subdoli del negazionismo della Shoah

Valentina PisantySentir parlare di negazionismo della Shoah è un qualcosa già di per sé assurdo: ma avete mai avuto a che fare direttamente con un convinto assertore delle teorie negazioniste? Spero proprio per voi di no, è un’esperienza sgradevole che vi costringe a dover sottolineare delle cose ovvie già risapute da chiunque, ma che vengono messe continuamente in discussione. Non basta infatti citare tutte le numerose testimonianze dell’esistenza dei campi di concentramento, tutte le foto, i video, i documenti, ma soprattutto i campi stessi che sono ancora lì, che attestano senza ombra di dubbio la veridicità storica della Shoah: ognuna di queste prove appena citate è da considerarsi una mistificazione, una falsità, una messa in scena creata a puntino dagli ebrei per giustificare l’esistenza dello Stato di Israele (come se questa potesse essere giustificata solo in questo modo). Una messa in scena evidenziata, secondo le teorie negazioniste, da numerose evidenze ed incongruenze nei numeri e nelle informazioni che tutt’oggi abbiamo a testimonianza dell’Olocausto e che fanno del complotto ebraico la sua origine principale.

Di seguito un piccolo saggio scritto dall’accademica e semiologa italiana Valentina Pisanty, dedicato alle metodologie subdole utilizzate dai negazionisti per supportare le loro teorie. Non c’è miglior modo di combattere i nemici della verità se non conoscendo le armi da loro utilizzate. Il testo è abbastanza lungo, ma vale la pena leggerlo perché è molto interessante e completo, pur risalendo a parecchi anni fa.

Israele ha fatto dei passi avanti verso la pace. Adesso tocca al mondo arabo

netanyahu-benjamin1

di Claudio Pagliara

Gerusalemme. Dieci anni sono passati dal fallimento dei negoziati di Camp David, dalla V, segno di vittoria, disegnata dalle dita di Arafat al rientro in patria, dalla passeggiata di Ariel Sharon sulla Spianata delle Moschee, dall’inizio della lunga stagione degli attentati suicidi, della controffensiva israeliana contro le infrastrutture del terrore. E’ stata senza alcun dubbio, la fase più sanguinosa del conflitto israelo palestinese – oltre mille morti israeliani, oltre 3000 palestinesi, battezzata come la “Seconda Intifada”, che come spesso accade nell’era delle guerre non convenzionali, non ha né una data di inizio unanimemente accettata né tantomeno una data certa finale.

La distorsione delle notizie provenienti dalla Palestina

Guardate questo video: mostra chiaramente, ancora una volta, come buona parte delle notizie che provengono dai territori palestinesi siano completamente deformate rispetto alla realtà.

Guardate in particolare come una notizia possa assumere una luce completamente differente quando si celano volutamente alcune parti della stessa.

Se vi foste trovati voi all’interno di quell’auto, cosa avreste fatto?

La circoncisione: quando religione e medicina vanno d’accordo

La circoncisione ebraicaRiguardo la circoncisione la Torà si esprime in questi termini: “all’ottavo giorno si circonciderà la carne del prepuzio1.

Quello della circoncisione, in ebraico brit milà, rientra indubbiamente tra i precetti più noti dell’ebraismo. Di importanza fondamentale, esso verrà osservato dal popolo ebraico in eterno e con gioia anche nei periodi di persecuzioni2.

La Torà ordina esplicitamente e senza lasciare spazio ad equivoci di effettuare la circoncisione proprio all’ottavo giorno. Non un giorno prima, non un giorno dopo. [Salvo problemi di salute che costringano a posticiparne la data, ndt]

Benché non ci sia possibile entrare nel merito delle reali motivazioni che giacciono alla base dei precetti della Torà, rimane opportuno soffermarsi su alcune sorprendenti scoperte scientifiche riguardo ai mutamenti fisiologici che si verificano proprio all’ottavo giorno di vita del neonato.

L’apertura del Mar Rosso: riscontri storici ed archeologici dell’evento

Numerosi ricercatori hanno tentato per anni di reperire l’esatta località in cui si svolse il miracolo dell’Apertura del Mar Rosso. Per secoli, nessuno di essi fu in grado di spiegare dove fosse scomparso il possente esercito del faraone, finché alla fine del XX secolo, avvenne una notevole svolta in questo senso.

Il seguente approfondimento espone dati di notevole interesse riguardo ai risultati delle nuove ricerche.


L’itinerario dell’Esodo
All’epoca della schiavitù, gli ebrei vivevano nella regione del delta del Nilo, in una località denominata Ra’msès.

I figli di Israel partirono da Ra’msès verso Sukkòt, circa seicentomila uomini a piedi, oltre ai bambini. (Shemòt 12, 37)

Usciti dall’Egitto, gli ebrei sostarono nella località di Sukkòt, situata all’estremità settentrionale dello Stretto di Suez.


Fotografia ripresa dal satellite, dove è segnato l'itinerario percorso dagli ebrei, dall'Egitto fino a Etàm. La localizzazione di Sukkòt
Esiste una località denominata “Tharu”, “T’aru” o “Takut” che corrisponde precisamente alla descrizione di Sukkòt. Da alcuni antichi manoscritti emerge che “Tharu era situata presso il delta” o Ra’msès, “dove gli ebrei avevano risieduto. Era anche il luogo dove l’esercito egizio si preparava per uscire verso il nord”.

Giuseppe Flavio, nella sua opera Antichità (libro II, cap. X) scrive: “In quanto guida militare, Moshè conosceva Tharu; fu lì che preparò il suo enorme esercito all’Esodo. Da lì partirono per Etàm”.

Gandhi sulla questione palestinese: un pensiero attuale?

Gandhi1

Questo è il pensiero di Gandhi sulla questione arabo-ebraica. Dico “arabo-ebraica” perché nell’anno in cui è stato da lui espresso, il 1938, ancora non esisteva Israele. Leggiamolo insieme.

Ho ricevuto numerose lettere in cui mi si chiede di esprimere il mio parere sulla controversia tra arabi ed ebrei in Palestina e sulla persecuzione degli ebrei in Germania. Non è senza esitazione che mi arrischio a dare un giudizio su problemi tanto spinosi.

Le mie simpatie vanno tutte agli ebrei. In Sud Africa sono stato in stretti rapporti con molti ebrei. Alcuni di questi sono divenuti miei intimi amici. Attraverso questi amici ho appreso molte cose sulla multisecolare persecuzione di cui gli ebrei sono stati oggetto.

[...]

Ma la simpatia che nutro per gli ebrei non mi chiude gli occhi alla giustizia. La rivendicazione degli ebrei di un territorio nazionale non mi pare giusta. A sostegno di tale rivendicazione viene invocata la Bibbia e la tenacia con cui gli ebrei hanno sempre agognato il ritorno in Palestina. Perché, come gli altri popoli della terra, gli ebrei non dovrebbero fare la loro patria del Paese dove sono nati e dove si guadagnano da vivere?

La Palestina appartiene agli arabi come l'Inghilterra appartiene agli inglesi e la Francia appartiene ai francesi. È ingiusto e disumano imporre agli arabi la presenza degli ebrei. Ciò che sta avvenendo oggi in Palestina non può esser giustificato da nessun principio morale. I mandati non hanno alcun valore, tranne quello conferito loro dall'ultima guerra. Sarebbe chiaramente un crimine contro l'umanità costringere gli orgogliosi arabi a restituire in parte o interamente la Palestina agli ebrei come loro territorio nazionale. La cosa corretta è di pretendere un trattamento giusto per gli ebrei, dovunque siano nati o si trovino. Gli ebrei nati in Francia sono francesi esattamente come sono francesi i cristiani nati in Francia. Se gli ebrei sostengono di non avere altra patria che la Palestina, sono disposti ad essere cacciati dalle altre parti del mondo in cui risiedono? Oppure vogliono una doppia patria in cui stabilirsi a loro piacimento?

[...]

Sono convinto che gli ebrei stanno agendo ingiustamente. La Palestina biblica non è un'entità geografica. Essa deve trovarsi nei loro cuori. Ma ammesso anche che essi considerino la terra di Palestina come loro patria, è ingiusto entrare in essa facendosi scudo dei fucili. Un'azione religiosa non puo' essere compiuta con l'aiuto delle baionette e delle bombe (oltre tutto altrui). Gli ebrei possono stabilirsi in Palestina soltanto col consenso degli arabi.

[...]

Non intendo difendere gli eccessi commessi dagli arabi. Vorrei che essi avessero scelto il metodo della nonviolenza per resistere contro quella che giustamente considerano un'aggressione del loro Paese. Ma in base ai canoni universalmente accettati del giusto e dell'ingiusto, non può essere detto niente contro la resistenza degli arabi di fronte alle preponderanti forze avversarie.

Gandhi antisionista? Sicuramente. Antisemita? Non esageriamo. Innanzitutto bisogna contestualizzare il suo pensiero.

Hitler aveva origine ebraiche: la prova sarebbe nel suo DNA

La notizia dei risultati di questi studi sarebbe da considerarsi interessante se non fosse facilmente strumentalizzabile dai soliti noti negazionisti, pronti ad impugnare queste “rivelazioni” per avallare la tesi secondo cui la Shoah sarebbe un’invenzione o una montatura degli ebrei per raggiungere il fine della fondazione dello Stato d’Israele. Purtroppo di gente malata che arriva a pensare queste cose ce n’è, allora attenzione a questo genere di notizie, interessanti sotto il punto di vista storiografico, ma che rischiano di diffondere inutili e dannosi sospetti di cui si farebbe volentieri a meno.

__________

Studio shock su Hitler: aveva origini ebraiche

e la prova è nel suo Dna

Uno studio genetico condotto sui parenti del Führer dimostra in modo scientifico che il dittatore non era affatto ariano. Ben 39 discendenti del fondatore del Reich sono stati sottoposti a esami

hitler Ebreo e pure nordafricano. Algerino, magrebino, come uno dei tanti poveracci che oggi la povertà spinge verso l’Europa. Popoli «inferiori» che non devono contaminare la purezza della «superiore razza ariana». Se qualcuno avesse voluto immaginare un «contrappasso» per Adolf Hitler nello sconosciuto girone infernale in cui si trova, non ne avrebbe potuto trovare uno più crudele. Per lui, ovviamente.
Che Hitler avesse sangue ebreo nelle vene era voce da tempo circolante, con svariate e talvolta fantasiose ipotesi. Ma ora sembra che sia la scienza a dimostrare, senza possibilità di confutazione, l’origine ebraica e forse anche nordafricana del Führer. Lo dimostrerebbe l’analisi del Dna.

A indagare sono stati due belgi, il giornalista Jean-Paul Mulders e lo storico Marc Vermeeren che, con somma pazienza hanno rintracciato ben 39 discendenti di Hitler (cosa non facile dato che tutti costoro cercano in ogni modo di nascondere l’imbarazzante parentela) dai quali hanno ottenuto altrettanti campioni di saliva. Rigorose analisi di laboratorio - scrive l’inglese Daily Telegraph che riprende la notizia dalla rivista belga Knack - avrebbero rintracciato il cromosoma Aplogruppo Eib 1b1, rarissimo fra gli occidentali e comune invece fra gli ebrei ashkenaziti e sefarditi, nonché fra i berberi del Marocco, dell’Algeria e della Tunisia. I risultati hanno ottenuto l’avallo della prestigiosa Università Cattolica di Lovanio.

Io sono Israele (video)

Vi segnalo questo video, invitandovi a diffonderlo. Un video sicuramente di parte, ma che secondo me illustra bene la situazione attuale e passata.

Gerusalemme, il luogo più sacro del mondo

Il luogo più sacro del mondo

(ma anche il più esplosivo)

A Gerusalemme c'è un monte sacro per più religioni.
Che vi aspettano il Messia, Gesù e il Profeta
Al centro delle tensioni. La cupola della roccia, alta 35 metri (come un palazzo di 12 piani) svetta sulla Spianata delle moschee. Fu costruita dal califfo Abd al Malik fra il 687 e il 691.

Una pietra, più significati. Da qui avvenne la creazione del mondo (per gli ebrei) e Maometto salì al cielo (per l'Islam)

Come ai tempi delle crociate, da decenni la tensione internazionale ha un centro nevralgico: Gerusalemme. E Gerusalemme ha un fulcro spirituale, che è anche un "detonatore" di conflitti religiosi. Gli ebrei lo definiscono Monte del tempio (Har ha-Bayt). Gli arabi la Spianata delle moschee (Haram al-Sharif).

Tensioni Israele-Libano, l’albero era sul suolo israeliano: lo afferma l’Unifil

Un chiarimento più che mai opportuno. Se poi a questo aggiungiamo che l’esercito israeliano ha avvisato l’Unifil riguardo l’operazione di manutenzione che si stava apprestando ad effettuare (definita “atto terroristico” dalla controparte) capiamo come fosse esagerata la reazione libanese. Siamo alle solite dunque…

__________

M.O.: UNIFIL, ALBERO AL CENTRO TENSIONI ERA SU SUOLO ISRAELIANO

(ASCA-AFP) - Beirut, 4 ago - Le Nazioni Unite hanno verificato che gli alberi abbattuti dalle truppe israeliane, che hanno provocato gli scontri con l'esercito libanese, erano sul territorio israeliano.
''L'Unifil (la forza Onu dispiegata nel sud del Paese) ha stabilito che gli alberi sradicati dall'esercito israeliano erano situati a sud della Linea Blu sul suolo israeliano'', hanno spiegato le Nazioni Unite in una nota.
Il Libano, pero', continua a rivendicare l'appartenenza di quel tratto di territorio, in particolare dell'area in cui ieri sono esplosi gli scontri tra truppe di Tel Aviv e quelle di Beirut.
''In questa particolare zona il governo libanese ha dei dubbi'' sui limiti rimarcati dalla Linea Blu (confine stabilito dall'Onu nel 2000), ha spiegato la nota sottolineando come anche il governo israeliano ha le medesime riserve su altre zone.

ghi/sam/lv

Fonte: Asca

I fantasmi della linea blu

L'ANALISI

I fantasmi della linea blu

libano_esercito_web--400x300

di SANDRO VIOLA

È probabile che la violenta sparatoria scatenatasi ieri tra le truppe libanesi e quelle israeliane sul confine tra i due paesi, con un bilancio di quattro morti (tre di nazionalità libanese e un ufficiale israeliano) non porti in tempi brevi ad una terza guerra del Libano. Il governo di Beirut non ha alcun interesse ad un conflitto con Israele.

E a Gerusalemme il governo Netanyahu si trova al momento con altre e più intricate matasse da sbrogliare che non l'eventualità d'una guerra in Libano. Dove, tra l'altro, incontrerebbe sulla strada tra la frontiera e il fiume Litani 10.000 uomini della forza internazionale Unifil inviata nella zona, quattro anni fa, dalle Nazioni Unite. E infatti, la maggior parte dei primi commenti a caldo dopo gli scontri di ieri, sembrano orientati a definirli un incidente per ora isolato.

Ma gli scambi d'artiglieria sulla "Linea Blu" (come si chiama la frontiera fissata dall'Onu tra Israele e il Libano), appaiono tuttavia preoccupanti. Essi sono giunti infatti dopo quattro giorni di eventi inattesi e sinora inspiegabili. I razzi Katyusha caduti sabato scorso su Ashkelon e Sderot nel Sinai israeliano, e i missili che domenica hanno colpito Eilat in Israele e Akaba in Giordania. Da dove siano partite quelle bordate, è ancora da stabilire. Hamas, che sulle prime era parsa responsabile di quel fuoco d'artiglieria a distanza, ha negato qualsiasi suo coinvolgimento: e la smentita è stata ritenuta, anche in Israele, credibile. Chi altro, dunque, può aver sparato nello scorso week end sul sud del Sinai e sui due porti del Mar Rosso affollati di turisti?

Israele accetta commissione d’inchiesta sui fatti della Flotilla

Inaspettatamente Netanyahu pare aver accettato le indagini da parte di una commissione d’inchiesta internazionale sui fatti della Freedom Flotilla. Non che una commissione interna israeliana sarebbe stata insufficiente nel fare chiarezza in merito (anzi), però questa decisione potrà (forse) convincere i soliti denigratori sulla buona fede del governo dello Stato ebraico a riguardo. Forse però: tanto se la commissione darà ragione alla versione dei soldati ci sarà sempre chi dirà che i “potenti” israeliani hanno pagato per una sentenza pilotata. Sempre le solite storie insomma. Senz’altro quella di Netanyahu è una mossa votata alla riappacificazione con la Turchia, alleato fondamentale nello scacchiere mediorientale.

__________

L'Onu vara commissione d'inchiesta
su blitz israeliano contro navi pacifisti

Netanyahu: nulla da nascondere. Razzi su Giordania e Israele, un morto.
Gaza, 33 palestinesi feriti da esplosione

Golfo dell'Aqaba ROMA (2 agosto) - Il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-Moon, ha annunciato oggi che una commissione d'inchiesta di quattro esperti, tra cui un israeliano ed un turco, indagheranno sul raid israeliano contro la Freedom Flotilla del 31 maggio, che provocò 9 morti. Ban ha precisato che la commissione verrà presieduta dall'ex premier neozelandese Geoffrey Palmer e dal presidente uscente colombiano Alvaro Uribe.

L'annuncio dopo l'ok del governo israeliano. Secondo Ynet News, il premier Benjamin Netanyahu si è riunito oggi con sei ministri del suo esecutivo per dare una risposta alla richiesta avanzata dal segretario generale delle Nazioni Unite. È la prima volta che Israele accetta di partecipare a un'indagine delle Nazioni Unite che riguarda l'operato delle proprie forze di difesa.

«Israele non ha nulla da nascondere - ha detto Netanyahu - L'interesse nazionale di Israele è che vengano alla luce tutti i fatti e la verità in relazione alla vicenda della flottiglia. È un principio che noi promuoviamo». L'assenso israeliano, a quanto pare, è dovuto al fatto che la commissione avrà anche il compito di accertare eventuali responsabilità del governo turco nella vicenda. Israele è convinto che l'Ong turca organizzatrice della flottiglia abbia operato d'intesa con il governo turco se non su sua istigazione.

Il via libera dell’UE: Sky può operare sul Digitale Terrestre

Dopo una lunga attesa è arrivata la sacrosanta decisione da parte dell’UE: Sky Italia potrà acquisire un multiplex sul Digitale terrestre e trasmettervi in chiaro. Finalmente si è conclusa una disparità che, se in origine era giustificabile, oggi con la nuova situazione di mercato delle TV, che vede Mediaset in posizione privilegiata, era completamente inadeguata.

Una decisione che porterà sicuramente una programmazione più varia nelle nostre TV, si spera anche un’informazione più completa e pluralista (Sky TG24 per tutti?) e quindi magari anche ad un adeguamento dell’offerta delle altre televisioni (Rai e Mediaset in primis) che dovranno guardarsi da un nuovo temibile concorrente. Il tutto, si spera, a favore di noi spettatori e consumatori.

__________

Via libera condizionato a Sky dalla Commissione UE
ad operare sul DTT

La Commissione europea ha autorizzato Sky Italia, filiale italiana di Newscorp, a partecipare alla gara per l'assegnazione delle frequenze per il digitale terrestre in Italia. In tal modo, la Commissione ha sollevato Sky Italia da uno degli impegni assunti nel 2003, quando Newscorp ha acquisito la società nata dalla fusione di Stream e Telepiù.

La decisione è stata presa dalla UE in considerazione dei cambiamenti significativi avvenuti nel mercato televisivo italiano nel corso degli ultimi anni. La Commissione ha dunque ritenuto opportuno accogliere la richiesta di Sky Italia, pur limitando la sua offerta ad una sola frequenza e di limitarne l'operatività ai soli canali in chiaro per un periodo di cinque anni.
La Commissione però "viste le condizioni cambiate sul mercato televisivo italiano" ha sollevato l'azienda dal rispettare questa condizione. Come ha spiegato il portavoce Jonathan Todd "Sky Italia può partecipare a questa opzione, a condizione che le frequenze siano utilizzate per trasmettere in chiaro". Quindi senza offrire servizi a pagamento per almeno cinque anni e con la limitazione di una sola frequenza. La decisione della Ue "è stata "collegiale e unanime", ha chiarito la portavoce dell'esecutivo Ue, Pia Ahrenkilde.

Gaza, attacco alla modernità

COSÌ, NEL SILENZIO INTERNAZIONALE, SI RAFFORZANO I DIKTAT DI HAMAS

Gaza, attacco alla modernità

Spiagge vietate alle donne, artisti sotto tiro. Ma anche frustate quotidiane e cantine diventate stanze di tortura

GAZA - Chiede ai pacifisti stranieri che promettono la ripresa dei loro viaggi sulle navi di portare, assieme agli aiuti per i palestinesi, anche un mixer per il suo gruppo musicale. Ma lo fa in contrasto con quello stesso regime nella striscia di Gaza che i pacifisti più o meno indirettamente aiutano contro l’embargo imposto da Israele. «Il nostro vecchio mixer è stato sequestrato dalla polizia di Hamas», spiega, con il timore che anche quello nuovo subisca la stessa sorte del primo. «Siamo vittime di una teocrazia repressiva che in nome della sua lettura distorta dell’Islam vieta la musica libera. Il loro Allah in verde non ci piace per nulla». E’ l’ironico paradosso vissuto dal ventenne Basher Bseiso, cantante molto popolare del “Gruppo della pace” (Fariq Salam) tra i giovani di Gaza amanti del “rap”. Ben riassunto dall’appello che lancia dalla sua casa Jamal Abu Al Qumsan, 43enne direttore della più nota galleria d’arte nella “striscia della disperazione”: «Grazie ai democratici di tutto il mondo che lottano contro l’embargo israeliano su Gaza. Però, per favore, potete in parallelo denunciare anche la repressione di Hamas contro le libertà intellettuali?».

Lo show umanitario: forse sono la Turchia, il Libano e l'Iran ad aver bisogno di flottiglie

Di BEN-DROR YEMINI

Foto di Ron FriedmanNuove flottiglie di aiuti umanitari da Libano, Iran, Libia e dall'Occidente potrebbero essere in rotta verso la Striscia di Gaza mentre parliamo. Ma sembra che la situazione di turchi, iraniani e palestinesi in Libano sia di gran lunga peggiore.

Ecco i fatti.

La Turchia è il paese più coinvolto nel caso della recente flottiglia diretta Gaza. La Mavi Marmara con a bordo i membri della IHH, un'organizzazione affiliata alla jihad globale, proveniva da quel paese.

Il Libano ha inviato una nave di cui è previsto l'arrivo, forse già nei prossimi giorni. Anche l'Iran, il bastione della giustizia umanitaria, aderisce a questo partito. Pertanto, è opportuno verificare ciò che sta accadendo in questi compassionevoli paesi che presentano tale generosità degna di nota nell'inviare aiuti umanitari ad una popolazione "oppressa".

Il senso della Libia per i diritti umani

di Valeria Pannuti

Una nave libica per Gaza in nome dei ”valori umanitari e morali”. Proprio di recente l’ultimo rapporto di Amnesty International ha tracciato un quadro assai fosco dei diritti umani in Libia. E la Libia e’ anche nella lista nera di Human Rights Watch, tra i paesi che compiono abusi e sopraffazioni.

Roma, 10 Luglio 2010 – Non ha firmato la Convenzione di Ginevra per i rifugiati, ma vuole mandare una nave di aiuti a Gaza. E’ ancora forte l’eco delle condanne per il trattamento disumano riservato a oltre 200 rifugiati eritrei, maltrattati e torturati in un centro di detenzione, e la Libia di Gheddafi annuncia una missione ”umanitaria”. Una iniziativa con “intenti provocatori”, quella libica, aveva commentato l’ambasciatrice di Israele Gabriela Shalev, in un incontro con il Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon.

L’annuncio dell’intenzione di far partire la nave con aiuti dalla Grecia, un cargo battente bandiera moldava, era stato dato dalla fondazione guidata da Seif Al-Islam Gheddafi, il figlio del leader libico Muhammar Gheddafi. Israele aveva chiesto alle Nazioni Unite di intervenire. Secondo quanto riporta il sito web del quotidiano Haaretz, l’ambasciatrice di Israele al Palazzo di Vetro, Gabriela Shalev, aveva inviato una lettera al segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, per chiedere “alla comunità internazionale di esercitare la sua influenza sul governo libico, affinché’ questo dimostri la sua responsabilità”, impedendo e impedisca la partenza della nave verso la Striscia di Gaza.

Incriminato soldato israeliano per omicidio in operazione “Piombo fuso”

Questa notizia è dedicata a chi non si fida delle indagini interne israeliane in merito ad operazioni militari. Per chi se lo fosse dimenticato (o si ostini a non capirlo), Israele è una democrazia: come in Italia è stata una commissione interna ad indagare sui fatti del G8 di Genova, anche lo Stato ebraico ha diritto ad indagini interne quando si tratta delle vicende che lo riguardano. Soprattutto se ci sono sufficienti garanzie che queste siano equilibrate ed obiettive.

__________

Gaza, incriminato soldato israeliano per l’operazione Piombo fuso

Il militare deve rispondere di omicidio durante l’offensiva nella Striscia

thumbnail_1161427

Roma, 6 lug (Il Velino) - Sarà incriminato per omicidio un soldato israeliano che durante l’operazione Piombo fuso aprì il fuoco e uccise due donne palestinesi, madre e figlia. Lo ha annunciato il procuratore capo delle Israeli Defence Force, Avihai Mandelblit, che ha anche disposto una procedura disciplinare contro un tenente colonnello e sanzionato un altro ufficiale per aver violato il protocollo stabilito per l’offensiva lanciata nella Striscia nel dicembre 2008. Secondo quanto precisa la stampa israeliana, il primo caso si riferisce a fatti avvenuti il 4 gennaio del 2009, quando alcuni soldati israeliani fermarono un gruppo di civili a Gaza City – composto da una trentina di persone, in maggioranza bambini -, pronti a intervenire in caso ci fossero stati militanti nascosti tra loro.

Uno dei militari, un sergente, ha aperto il fuoco contro le due donne – Raya Salama Abu Hajaj, di 64 anni, e la figlia Majda, di 35 -, poi decedute per le ferite riportate. Dalle ricostruzioni è emerso che nessuno dei suoi superiori gli avesse dato ordine di sparare. Ora, il soldato deve rispondere di omicidio. L’incriminazione arriva nel giorno dell’incontro alla Casa Bianca tra il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente americano Barack Obama. Al centro dei colloqui le prospettive di pace in Medio Oriente e le tensioni con la Turchia dopo il blitz a bordo della flottiglia di navi cariche di aiuti, bloccata in acque internazionali dai corpi speciali israeliani. Nell’operazione dello scorso 31 maggio sono rimasti uccisi nove attivisti turchi.

Fonte: Il Velino

Tel Aviv, la città che non si ferma mai – Tg2 Dossier

Questo reportage di Claudio Pagliara ci descrive dettagliatamente Tel Aviv, La città in assoluto più occidentale e moderna di Israele.

Il servizio è suddiviso in cinque video, visualizzabili in successione nel riquadro qua sotto.

Testimonianza dall’Exodus – TG2 Storie

Miriam Kleiman, una sopravvissuta dell'Olocausto, era sulla nave Exodus. Oggi dice: "Offensivo il paragone con la Flottiglia per Gaza". Video pubblicato da Claudio Pagliara, corrispondente Rai da Gerusalemme, sul suo canale YouTube.

Flee Market Gaza

Di seguito un reportage di TV7 a cura di Claudio Pagliara, andato in onda il 4 giugno 2010.

Israele, 60 anni mille storie – Speciale Sky TG24

Reportage di Sky TG24 a cura di Renato Coen. Un viaggio tra la popolazione israeliana, tra integrazione e fanatismo, tra modernità e tradizioni religiose. Il servizio è andato in onda il 20 luglio 2008 in occasione dell'anniversario dei 60 anni dalla nascita dello Stato d'Israele.

Il servizio è composto da due video, visualizzabili in successione nel riquadro qui sotto.

I volti di Israele - TG2 Dossier

Ecco a voi un interessantissimo reportage del TG2 Dossier, a cura di Claudio Pagliara. E’ andato in onda il 4 ottobre 2008 ma è ancora molto attuale: vi consiglio caldamente di vederlo, è veramente ben fatto.

Il dossier è suddiviso in cinque video, visualizzabili in successione nel riquadro qui sotto.

Un velo tra noi – Speciale Sky TG24

Viaggio nell'islam italiano. Un'inchiesta condotta dalla trasmissione Controcorrente di Corrado Formigli, approfondimento di SKY TG24, dal titolo "Un velo di noi" ci svela cosa realmente pensano gli italiani sul velo islamico e cosa consigliano gli iman di alcune tra le più importanti moschee italiane. Per scoprirlo due inviati di SKY, lei somala, lui iracheno, si sono finti marito e moglie e con una telecamera nascosta si sono introdotti in alcune moschee "calde" di tre città Italiane, quella di Centocelle a Roma, di Varese e di viale Jenner a Milano. Lo hanno fatto camuffandosi da coppia che rispetta integralmente le leggi coraniche, lei con il niqab, il velo integrale islamico, lui con la barba incolta da integralista ortodosso.

Il servizio, andato in onda nel febbraio del 2007, è suddiviso in due video, visualizzabili in successione nel riquadro qui sotto.

Si spengono le luci del Colosseo per Gilad Shalit

Bandiere israeliane davanti al Colosseo in occasione della manifestazione

Ieri sera a Roma, tra il Colosseo e l’arco di Costantino si è tenuta la manifestazione a favore del rilascio del soldato israeliano Gilad Shalit, rapito quattro anni fa dal braccio armato di Hamas.

Circa cinquemila presenze, almeno stando a quanto riportato su Repubblica (anche se personalmente non mi sembravano così tanti). Sul palco si sono presentate personalità istituzionali come il sindaco di Roma Gianni Alemanno, il presidente della provincia Nicola Zingaretti e il presidente della regione Lazio Renata Polverini. Presenti all’evento, tra gli altri, anche Giuliano Ferrara (del quotidiano Il Foglio), Andrea Ronchi e Lorenzo Cesa (UDC), oltre alle personalità della comunità ebraica di Roma come Riccardo Pacifici e il rabbino capo Riccardo Di Segni.

Perché è sbagliato paragonare il rapimento di Shalit con gli arresti effettuati dalle autorità israeliane

Gilad Shalit

Le associazioni dei pacifisti, a quanto pare, non parteciperanno alla manifestazione di sostegno alla liberazione di Gilad Shalit. Il motivo? Anche Israele detiene tanti palestinesi: se Hamas deve liberare il suo prigioniero anche lo Stato ebraico deve fare altrettanto con i palestinesi nelle carceri israeliane, perché non ci sono prigionieri di serie A e di serie B. Un ragionamento che fila… almeno fino a quando andiamo ad analizzare le differenti modalità di arresto e di detenzione. Fa specie dover spiegare ancora una volta le caratteristiche che differenziano il modus operandi di un paese civile come Israele da quello di una organizzazione terroristica come Hamas, ma dato che anche le cose ovvie vengono ancora messe in dubbio da qualcuno facciamo un po’ di chiarezza.

In realtà è inappropriato mettere sullo stesso piano Israele e Hamas sotto questo punto di vista: un conto infatti è detenere prigionieri in carceri situate in locazioni specifiche e conosciute, nel rispetto delle leggi; un altro è rapire una persona e detenerla in un luogo segreto senza che nessuno, nemmeno la Croce Rossa Internazionale, possa visitarla.

Gilad Shalit: ostaggio di Hamas dal 2006

Gilad Shalit

Domani saranno esattamente quattro anni che il caporale israeliano Gilad Shalit, allora diciottenne e oggi ventiduenne, è tenuto in ostaggio dai militanti di Hamas in un luogo non ben precisato della Striscia di Gaza.

Chiarimento dell’IDF su uno dei video della Freedom Flotilla

catturato-01

E’ sempre più difficile districarsi tra la marea di informazioni che circolano su internet. Spesso si possono scoprire dettagli e retroscena molto importanti su un avvenimento non cercando nei soliti siti di notizie ma conversando nei forum o nei gruppi dei social network (come Facebook) con altra gente. E’ proprio leggendo una conversazione su internet tra due persone che sono giunti alla mia attenzione questi interessanti dettagli che vado a raccontarvi.

Il video rilasciato dall’IDF su YouTube che riportava la comunicazione via radio tra l’equipaggio della Mavi Marmara e le autorità israeliane, alle quali era stato risposto “zitti, tornatevene ad Auschwitz” effettivamente poteva destare qualche perplessità. Era facile avere dubbi sulla veridicità della registrazione, dato che non era integrale ma che, al contrario, si trattava di un montaggio.

Il giorno successivo la diffusione del video, il 5 giugno, l’IDF ha pubblicato un chiarimento attraverso il suo blog oltre che la versione integrale della comunicazione tra le navi. Leggiamolo insieme.

Volantini “pacifisti” distribuiti a Torino contro Israele

Questo è uno dei volantini propagandistici che sono stati distribuiti per le strade di Torino da pacifisti pro-palestinesi. Leggiamolo insieme.

volantino pacifista

Andiamo ad analizzare punto per punto quanto scritto.

La protesta degli ebrei ortodossi a Gerusalemme

La rivolta degli ashkenaziti:

'Prima la Torah, poi lo Stato'

Gerusalemme, 17 giugno 2010. Manifestazione di ebrei ultraortodossi (Uriel Sinai, Getty Images)

Di Aldo Baquis

Al grido di «No alla Corte Suprema, il Signore è il nostro Re», oltre centomila zeloti trascinati dai più importanti rabbini ortodossi fra cui il centenario e carismatico Shalom Yossef Elyashiv hanno inscenato ieri una gigantesca prova di forza a Gerusalemme e a Bené Braq (Tel Aviv) per chiarire che in casi estremi essi non sono disposti a sottostare alle strutture laiche di Israele. In prospettiva, hanno posto sul tavolo la richiesta di una autonomia rabbinica all’interno dello Stato per i loro fedeli, quasi il 10% della popolazione.

Sentenza Ue, contributo per l'acquisto del decoder DTT fu aiuto di stato

Una conferma, semmai ce ne fosse il bisogno, del fatto che in Italia c’è un conflitto di interessi enorme per quanto riguarda la televisione. Terremo spesso d’occhio questo argomento, a cui solitamente viene data meno importanza di quanto meriti.

Corte Ue, contributo italiano per l'acquisto del decoder DTT fu aiuto di stato

Secondo il Tribunale dell'Unione europea il contributo italiano concesso per l'acquisto o la locazione di decoder digitali terrestri costituisce un aiuto di Stato e deve essere recuperato.

La misura, spiega una nota, "non è neutra dal punto di vista tecnologico e attribuisce alle emittenti digitali terrestri un vantaggio diretto a danno delle emittenti satellitari".

Nella sentenza pronunciata oggi il Tribunale ha respinto in toto il ricorso presentato da Mediaset per ottenere l'annullamento della decisione della Commissione europea che - qualificando il contributo come aiuto di Stato a favore delle emittenti digitali terrestri che offrivano servizi di televisione a pagamento, in particolare servizi "pay per view", nonché di operatori via cavo fornitori di servizi televisivi digitali a pagamento - imponeva all'Italia di procedere al recupero, nei confronti dei beneficiari, dell'aiuto e dei relativi interessi.

Antisionismo e antisemitismo: la sottile linea rossa

11111

"Io sono antisionista, non antisemita". Quante volte vi sarà capitato di sentire o leggere questa frase in una discussione, o magari la avete pronunciata voi stessi, sul web o dal vivo. "Io non sono antisemita, io semplicemente critico la politica israeliana nei confronti dei palestinesi", ecco un'altra frase ricorrente.

Il diritto di critica ovviamente, non c'è bisogno neppure di precisarlo, è sacrosanto: nella stessa Israele, come in qualsiasi altro paese democratico, i governi sono da sempre appoggiati o criticati in ciò che fanno in base alle opinioni dei singoli, eppure non sempre chi critica si autodefinisce antisionista. La domanda allora sorge spontanea: qual è la differenza tra critica e antisionismo? Ma soprattutto, è lecito autodefinirsi antisionisti pretendendo di non essere tacciati per questo di antisemitismo? Per spiegarlo non basteranno quattro parole, ma occorre fare un ragionamento articolato. Vediamo di fare un po' di chiarezza.

La guerra dei Sei Giorni

Il 5 giugno del 1967 ebbe inizio la cosiddetta Guerra dei Sei Giorni, che portò Israele a conquistare Gerusalemme est, le alture del Golan, la penisola del Sinai, la Striscia di Gaza e la Cisgiordania.

Questo documentario della BBC parla del conflitto in maniera estremamente approfondita raccontandolo in tutte le sue fasi, dalle scintille che lo hanno provocato alla conquista di Gerusalemme da parte di Israele.

Di seguito la cronologia degli avvenimenti della Guerra dei Sei Giorni attraverso i flash dell'agenzia ANSA, tratti dal sito Cronologia.it.

Questo è uno degli eventi chiave, per comprendere a fondo le cause del conflitto in corso.

Tarocchi giornalistici


Se avete un minimo di esperienza su internet e vi è capitato qualche volta di volervi informare da soli circa un avvenimento o una notizia, anche solo per approfondire un argomento, sicuramente avrete notato quanta monnezza giri in rete. Basta inserire una parola chiave (un esempio a caso: "Israele") e cercare su Google: centinaia di pagine, in varie lingue, tra enciclopedie online, siti di news, blog...

Ecco, di solito sono proprio i blog - che contengono news fai-da-te (come anche il presente) e dove spesso si segue un ben preciso orientamento politico (non è il caso di questo blog, anche se il punto di vista dell'autore traspare) - che nascondono al loro interno la quantità maggiore di informazioni "spazzatura". Di solito per portare avanti la propria ideologia o la propria opinione si sceglie di pubblicare notizie parziali, tratte a loro volta da altri blog, spesso senza precisare chiaramente la fonte da cui le notizie sono tratte. Un consiglio che mi sento di darvi, anche quando leggete questo blog (perché no), è di confutare sempre le notizie che trovate su internet in altri siti: guardate bene chi ha pubblicato la notizia, guardate se la stessa informazione si trova in più di un sito; solo se la fonte è affidabile merita la vostra attenzione, altrimenti molto probabilmente si tratta di bufale o di informazioni scorrette.

Purtroppo la vita per la gente che ha voglia di informarsi diventa ogni giorno più difficile, perché è sempre più complicato districarsi tra le informazioni spazzatura e quelle veritiere. Oggi giorno purtroppo non basta cercare informazioni nei siti apparentemente più affermati perché anche le fonti più affidabili potrebbero nascondere dei tarocchi.

Un esempio lampante è l'agenzia di stampa Reuters.

La vera pulizia etnica perpetrata in Medioriente



Probabilmente Israele è il meno efficiente artefice di “pulizia etnica” della storia dell’umanità, nonostante quel che dice la propaganda avversaria.

Nel 1947 vivevano nella Palestina sotto Mandato Britannico circa 740.000 arabi palestinesi. Oggi gli arabi che vivono in Cisgiordania e striscia di Gaza più gli arabi che sono cittadini israeliani ammontano a più di cinque milioni (in tutto, nel mondo,sono più di nove milioni le persone che si definiscono palestinesi). Da un semplice calcolo emerge che il tasso di crescita della popolazione palestinese è stato quasi il doppio di quello in Africa e in Asia in un analogo lasso di tempo.

Il croato Drazen Petrovic definiva la “pulizia etnica” come “una ben precisa politica di un particolare gruppo di persone intesa ad eliminare sistematicamente la presenza di un altro gruppo da un dato territorio”. Sulla base di questa definizione, il lungo conflitto arabo-israeliano ha visto la realizzazione di una sola, vera pulizia etnica: quella degli ebrei che vivevano da secoli in Asia e nord Africa. Mentre, prima del 1948, c’erano quasi 900.000 ebrei che vivevano in terre a maggioranza araba, nel 2001 ne rimanevano non più di 6.500.

Coloro che sostengono che Israele avrebbe perpetrato una pulizia etnica a danno degli arabi non sono in grado di citare una sola ordinanza o disposizione in questo senso. La pulizia etnica degli ebrei dalle terre arabe, invece, fu una politica ufficiale di stato.

Voglia di emulare la Freedom Flotilla


Se c'è qualcosa in cui la missione Freedom Flotilla è riuscita, oltre a isolare Israele nello scenario internazionale, sicuramente è nel dare lo spunto ai nemici, storici e non, di minacciare in modo differente e "originale" lo Stato ebraico.

Il primo è stato Erdogan, il Presidente turco.

Freedom Flotilla: proviamo a capire cosa è successo veramente

A distanza di giorni continua il martellamento incrociato di media e politica nei confronti dello Stato di Israele per la nota questione dell'abbordaggio della Mavi Marmara, la nave di attivisti pro-palestinesi che voleva forzare il blocco navale su Gaza attraverso la missione Freedom Flotilla. In particolare i media italiani insistono nel ritrarre la vicenda come un errore madornale e inspiegabile dell'esercito israeliano che ha provocato l'isolamento dello Stato ebraico dalla Comunità Internazionale. Quasi ad intendere che sia normale una simile reazione degli altri paesi.

Anche se tutti sembrano concordare nel pretendere maggiore chiarezza e, come è giusto, un'inchiesta obiettiva da parte di una commissione indipendente per far comprendere a tutti cosa effettivamente sia successo a bordo della Mavi Marmara, in realtà cosa sia accaduto sembra già abbastanza chiaro. Questo grazie soprattutto ai video rilasciati dall'IDF attraverso il suo canale YouTube.

Ma andiamo con ordine. Cerchiamo di non fermarci alle apparenze e di indagare a fondo, non lo si potrà fare in due parole ma è necessario per avere un quadro veramente chiaro della vicenda. Cerchiamo innanzitutto di ricostruire i vari fatti antecedenti la tragedia.


La missione
In cosa consisteva l'operazione Freedom Flotilla? Il suo scopo, riconosciuto dagli stessi suoi promotori e sostenitori, era rompere il blocco del traffico marittimo verso Gaza, imposto da Israele, importando via mare degli aiuti umanitari destinati alla popolazione palestinese "ridotta allo stremo". Non dimentichiamo che questo blocco navale, sostenuto peraltro anche dall'Egitto, non solo è come una sorta di sanzione economica per tentare di indurre l'organizzazione di Hamas a scendere a patti con il governo di Gerusalemme (che tutt'ora non riconosce), ma ha anche l'obiettivo di rafforzare i controlli sulle merci che giungono nei territori palestinesi, dietro le quali spesso si nascondono anche armi.

Principale promotrice della missione era l'organizzazione non governativa turca IHH, che secondo alcune fonti affidabili avrebbe anche dei legami con la stessa organizzazione di Hamas. Per capire più nel dettaglio chi fosse a bordo della nave guardate questo interessante servizio andato in onda sulla TV pubblica tedesca dopo i tragici eventi. Il video è sottotitolato in italiano.

Al minuto 3:01 di questo video si faceva riferimento al leader dell’IHH Bulent Yildrim. Ecco a voi il suo discorso all’equipaggio della Mavi Marmara registrato il 30 maggio 2010, cioè il giorno precedente all’intervento dell’esercito israeliano. Il video è stato diffuso dal ministero degli affari esteri israeliano. Credo che ogni commento sia superfluo.

Dunque, i sospetti e la pretesa delle autorità israeliane di controllare il carico contenuto dalle navi della Freedom Flotilla non erano campati in aria, anzi. Si trattava semplicemente di far rispettare le regole: la nave, anziché arrivare direttamente a Gaza sarebbe dovuta prima passare al porto di Ashdod dove sarebbe stata sottoposta ad un controllo; in seguito, il carico di viveri e medicinali contenuto nelle navi sarebbe stato trasportato via terra a Gaza e consegnato alle autorità locali per darle alla popolazione. Come d’altra parte già avviene da tempo.

Ma evidentemente lo scopo degli attivisti sin da principio non era semplicemente quello di aiutare la popolazione di Gaza. Il senso della loro "missione" era più che altro politico. Ulteriore prova di ciò è il fatto che anche dopo la partenza delle navi il governo di Israele ha provato ad intavolare delle trattative, proponendo dei compromessi, invano: d'altronde si trattava semplicemente di controllare il carico trasportato dalla nave, per una semplice questione di garanzia. Ma la missione avrebbe in questo modo perso il suo senso, dato che il suo reale obiettivo principale era proprio quello di rompere il blocco marittimo: non interessavano le motivazioni fornite dalle autorità israeliane per giustificarlo, il blocco era considerato illegale ed illegittimo, senza se e senza ma. L’intera missione dunque era una provocazione, che in molti già si domandavano in quale modo sarebbe stata affrontata dalle autorità israeliane.


Gilad Shalit
C’è un’ulteriore prova del carattere più politico che umanitario della missione Freedom Flotilla: i genitori di Gilad Shalit, il caporale israeliano rapito e tuttora tenuto in ostaggio da Hamas da circa quattro anni, hanno chiesto ai partecipanti della missione, in quanto “pacifisti”, di consegnare una lettera e un pacchetto al figlio (che non può neppure ricevere le visite della Croce Rossa). Gli "umanitari" hanno respinto la richiesta. Il che dovrebbe rendere ben chiaro quanto questi “pacifisti” avevano a cuore il rispetto per i diritti umani, malgrado l'operazione che si accingevano a compiere.


L'abbordaggio
Il 31 maggio accade l'irreparabile. Le sei navi della "Freedom Flotilla" vengono intercettate in acque internazionali e l'esercito israeliano intima loro di fermarsi e di dirigersi verso il porto di Ashdod, come da prassi. Il video riportato qui sotto, rilasciato dall'IDF, ne è la prova.

Dopo diversi tentativi di avvertimento è stata registrata una risposta dell’equipaggio della Mavi Marmara che si commenta da sola: “zitti, tornatevene ad Auschwitz”. Almeno stando a quanto riportato da questa registrazione audio, rilasciata sempre dall'IDF.


Il video qui sopra riporta solo un riassunto della comunicazione via radio tra l’IDF e l’equipaggio delle navi. Per completezza, qui di seguito trovate la registrazione audio integrale. Per ulteriori chiarimenti a riguardo cliccate qui.
A quanto pare, a questo punto l'equipaggio della Mavi Marmara, una delle sei navi degli attivisti, spara dei colpi di arma da fuoco verso l'esercito israeliano. E’ da tener conto che per le altre navi della Freedom Flotilla non è accaduto nulla di simile, solo per la Mavi Marmara. Il video che abbiamo a disposizione, rilasciato dall’IDF su YouTube, non mostra evidentemente gli spari, ma i soldati che danno l'allarme.

Quando una barca dell'esercito israeliano prova ad avvicinarsi alla Mavi Marmara questi reagiscono lanciando una granata stordente e altri oggetti contundenti. Alla faccia del pacifismo e del dialogo! Per chi non lo sapesse, il diritto marittimo internazionale prevede anche la possibilità per una nave di un paese di ispezionare altre navi di altre nazionalità in acque internazionali, ovviamente se sussistono alcune condizioni ben precise.
In particolare, su Wikipedia leggiamo:

Ogni Stato esercita in via esclusiva la giurisdizione sulle proprie navi, ma in alcuni casi uno Stato può esercitare la propria giurisdizione su navi straniere in navigazione nelle acque internazionali:

  • lo Stato può fermare e abbordare navi straniere al fine di accertarne la nazionalità, o per verificare che la nave non compia atti di pirateria, di commercio di schiavi o altre attività illecite stabilite dall'articolo 110 Convenzione di Montego Bay; tuttavia, se il sospetto sull'attività svolta dalla nave o sulla sua nazionalità si rivela infondato, lo Stato che ha proceduto all'abbordaggio deve risarcire i danni e le perdite provocate;
  • ogni Stato può catturare qualsiasi nave, mercantile o da guerra, impegnata in atti di pirateria o di commercio di schiavi, ed esercitare la propria giurisdizione penale sull'equipaggio;
  • ogni Stato può inseguire e catturare navi sospettate di aver violato le proprie leggi nelle sue acque interne, nel suo mare territoriale o nella sua zona contigua, nei modi stabiliti dall'articolo 111 Convenzione di Montego Bay
A parte queste ipotesi, uno Stato non può fermare o abbordare navi battenti bandiera straniera; inoltre, ogni qual volta si esercitano operazioni coercitive su navi straniere, l'uso della forza può avvenire solo in ultima istanza e in misura ragionevole sulla base delle circostanze del caso.
Dunque la pretesa dei soldati israeliani di salire a bordo delle navi di Freedom Flotilla non sembra affatto campata in aria, ma basata sulla normativa internazionale, almeno stando a quanto scritto su Wikipedia. Poi ovviamente starà a chi di dovere giudicare il caso specifico in base al codice marittimo, però non si può nemmeno dire che la marina israeliana abbia fatto una cosa fuori dal mondo. Il video qui sotto invece testimonia l'accoglienza dei cosiddetti "pacifisti" appena gli israeliani si avvicinano alla nave con le loro imbarcazioni.

Nel frattempo, altri manifestanti si preparano ad accogliere a bordo della nave i soldati israeliani con bastoni e bottiglie rotte. Guardate cosa accade attraverso l’occhio delle telecamere interne alla Mavi Marmara.


A questo punto i soldati dell'IDF (Israeli Defence Force) si calano dagli elicotteri a bordo della nave: non appena toccano il pavimento vengono letteralmente assaliti dai "pacifisti" con spranghe, ma anche coltelli. Il video riportato qui sotto riprende la scena dall’alto.


Ecco più o meno la stessa scena ripresa da un'altra angolazione (più ravvicinata). Si vede anche un soldato scaraventato oltre la ringhiera verso il piano di sotto della nave. La furia con cui i "pacifisti" picchiano i soldati è assurda: considerando poi che erano quasi 600 persone è chiaro che, nonostante i soldati fossero meglio addestrati ed equipaggiati (anche se da queste immagini sembra che i primi a mettere piede sulla nave fossero disarmati, a quanto pare avevano solo fucili con proiettili di gomma) erano stati comunque colti di sorpresa e hanno rischiato grosso per la loro vita.

Il risultato di tutto ciò è quello che tutti conosciamo: 9 attivisti pro-palestinesi morti. Inizialmente se ne vociferavano circa venti, ma poi il bilancio fu confermato.

Certo, da questi video appare veramente difficile credere che i soldati israeliani abbiano deliberatamente ucciso i militanti di Freedom Flotilla come i media sembrano voler suggerire: anzi, pare più che i disordini siano avvenuti a causa della violenza premeditata degli attivisti a bordo della nave, ma anche da una grave sottovalutazione del pericolo da parte dei soldati dell'IDF: possibile che questi non si aspettassero una simile reazione da parte dell’equipaggio? Possibile che si siano calati come polli sulla nave e si siano fatti prendere a legnate in faccia? Ecco tutto l'armamentario ritrovato sulle navi di Freedom Flotilla una volta trasportate ad Ashdod.


Osservazioni finali
Violenze degli attivisti a parte, non si può negare che l'esercito israeliano abbia gestito male la situazione: come ha potuto farsi cogliere impreparato, a tal punto da mandare i soldati a bordo delle navi completamente disarmati o, nella migliore delle ipotesi, armati insufficientemente? Nei video si vedono chiaramente i soldati salire sulle imbarcazioni praticamente all’avanscoperta, per essere subito presi a sprangate dai cosiddetti “pacifisti”: ok, ci sono le leggi internazionali che prevedono un certo comportamento, ma è possibile che non fossero preparati all'agguato? Probabilmente è stato un difetto di intelligence: normalmente è possibile prevedere certe cose.

Ad ogni modo comunque, non bisogna escludere nemmeno l'ipotesi secondo cui in realtà tutti questi video potrebbero benissimo anche essere dei falsi: appare alquanto improbabile, essendo rilasciati direttamente dall'Israeli Defence Force, che comunque è un ente ufficiale di Stato ed è, di conseguenza, nell'occhio del ciclone; se si scoprisse che anche uno solo di questi documenti è stato taroccato ne nascerebbe uno scandalo senza fine e lo stesso ufficio stampa dell'esercito perderebbe qualsiasi credibilità.
Più plausibile pensare che le autorità israeliane siano in possesso anche di altri video più compromettenti per i soldati che non sono mai stati rilasciati. Ovviamente, se ci sarà una inchiesta tutti gli elementi saranno supervisionati, si spera, da una commissione indipendente e imparziale. Solo il tempo potrà darci risposte certe su questo.

Ma nonostante tutto ciò, da tutti questi video e dalle informazioni trapelate già finora si capisce benissimo che per giudicare correttamente questo episodio non ci si deve ridurre a guardare con occhi miopi il bilancio delle vittime. “L’esercito israeliano attacca una nave di pacifisti: nove morti tra gli attivisti e nessuno tra i soldati”: la notizia, data in questo modo, non spiega affatto come sono andate le cose, benché guardando la tv o leggendo i giornali i torti sembrino tutti da parte israeliana.

In realtà bisogna tenere conto di tutto il contesto: della necessità dell'esercito di controllare ciò che entra a Gaza, per l'incolumità della sua popolazione (il passato purtroppo insegna); che lo scopo, nemmeno troppo celato, degli attivisti consisteva proprio nel provocare; che i “pacifisti” (o presunti tali), benchè predichino la pace a parole, sulla Mavi Marmara non si sono affatto risparmiati in quanto a violenza; ma soprattutto, che quelli a bordo della Mavi Marmara non erano semplici “pacifisti” ma veri e propri attivisti estremisti. Ovviamente i dettagli sulla vicenda non finiranno di arrivare: sicuramente ci saranno nuove testimonianze (vere o presunte tali) che si succederanno, nuovi sviluppi che andranno verificati e che potranno forse fornirci dettagli più significativi riguardo l'accaduto.

Ad ogni modo pare difficile che gli stessi attivisti della nave non si aspettassero un epilogo così tragico considerando lo scopo che si erano prefissati. Non a voler giustificare l'accaduto (i morti non si giustificano mai), ma non potevano non prevederlo, anche considerando l'accoglienza che avevano preparato.
Ma alla fine, forse, bilancio delle vittime a parte, hanno ottenuto proprio ciò che volevano: oggi Israele infatti sembra uno Stato ancora più solo.

Benvenuti nel nuovo blog!



In questo blog pubblicherò tutte le notizie più interessanti riguardo gli argomenti più variegati dell'attualità, ma anche della storia passata.

Spero che questo sito sia di vostro gradimento!

Ovviamente siete invitati a seguirci e ad interagire con noi sia sul blog che sulla nostra pagina Facebook!

Se pensate che qualcuno possa essere interessato alla pagina suggeritegliela!

Grazie mille! A Presto!