Le associazioni dei pacifisti, a quanto pare, non parteciperanno alla manifestazione di sostegno alla liberazione di Gilad Shalit. Il motivo? Anche Israele detiene tanti palestinesi: se Hamas deve liberare il suo prigioniero anche lo Stato ebraico deve fare altrettanto con i palestinesi nelle carceri israeliane, perché non ci sono prigionieri di serie A e di serie B. Un ragionamento che fila… almeno fino a quando andiamo ad analizzare le differenti modalità di arresto e di detenzione. Fa specie dover spiegare ancora una volta le caratteristiche che differenziano il modus operandi di un paese civile come Israele da quello di una organizzazione terroristica come Hamas, ma dato che anche le cose ovvie vengono ancora messe in dubbio da qualcuno facciamo un po’ di chiarezza.
In realtà è inappropriato mettere sullo stesso piano Israele e Hamas sotto questo punto di vista: un conto infatti è detenere prigionieri in carceri situate in locazioni specifiche e conosciute, nel rispetto delle leggi; un altro è rapire una persona e detenerla in un luogo segreto senza che nessuno, nemmeno la Croce Rossa Internazionale, possa visitarla.
Giusto per citare qualche esempio, Marwan Barghouti, il capo delle brigate Tanzim arrestato nel 2002, dal carcere ha spesso avuto modo di rilasciare dichiarazioni e interviste; Samir Kuntar, il criminale arrestato e poi rilasciato da Israele in cambio dei corpi dei due soldati rapiti da Hezbollah nel 2006, quando era in prigione si è sposato, ha conseguito una laurea e, ovviamente, poteva ricevere visite. Giusto per avere l’idea della disparità dei due tipi di prigionìa. La detenzione nelle carceri israeliane, fino a prova contraria, avviene nel rispetto della legalità e dei diritti dell’uomo; e se anche si accertasse qualche violazione si aprirebbe un’inchiesta, un po’ come avverrebbe anche in Italia, così come in qualsiasi paese democratico. Niente a che vedere con la situazione di Shalit, la cui modalità di detenzione non può neppure essere giudicata dal momento che nessuno può verificare lo stato di salute del prigioniero. Una situazione che può essere paragonata casomai a quella subìta dalle persone rapite in Iraq, come Giuliana Sgrena. Trattasi infatti di veri e propri rapimenti effettuati in cambio di qualcosa e non su una base in qualche modo legale. D’altronde da un’organizzazione terroristica non ci si potrebbe aspettare niente di diverso.
Arresti senza processo?
Molti però fanno notare che gli arresti effettuati dai soldati di Tsahal avvengono senza processo: in realtà questo è vero solo parzialmente: i processi in realtà ci sono, anche se non sempre. Su che basi l’esercito israeliano si riserva il diritto di detenere un palestinese? Talvolta sulla base di informazioni di intelligence, altre sulla base di arresti “in flagranza di reato”: vale a dire che vengono arrestate persone per aver in qualche modo opposto resistenza violenta ai soldati, oppure per essere state colte in flagranza di preparare un attentato o un atto terroristico. Il che basta come prova per incriminarle, rendendole passibili di prigione. Con una modalità di giudizio, se vogliamo fare un paragone giusto per rendere l’idea, molto simile a quello “per direttissima” previsto anche dalla nostra legislazione. So che il paragone non calza a pennello (anche perché Israele è in una situazione di guerra e noi no), ma, ripeto, è solo per rendere l’idea. Di cosa si tratta? Leggiamolo su Wikipedia:
Il processo per direttissima è un procedimento penale non ordinario cui si ricorre in caso di arresto in flagranza di reato o confessione dell'imputato e consiste in un iter molto accelerato: dal momento che si suppone che ulteriori indagini siano pleonastiche in presenza di prove così evidenti, si saltano alcune tappe preliminari (udienza e/o indagine) del processo.
Dunque, per esempio, se una persona o un gruppo di persone viene scoperto mentre si accinge ad effettuare un atto terroristico, i militari possono procedere con gli arresti sulla base del fatto che li hanno colti in flagrante. Ecco che allora le fasi del processo vengono ridotte praticamente ai minimi termini. Non è più o meno la stessa cosa che accadrebbe qui in Italia ad una persona che lancia una pietra o che punta un fucile ad un gruppo di Carabinieri? Poi ovviamente, se si tratta di questioni più complesse (si veda ad esempio l'arresto di Barghouti) i processi in Israele ci sono, anche se spesso, in attesa di questi si procede, per questioni di sicurezza, alla detenzione amministrativa (come quella effettuata nei CPT nostrani), di cui per la legge militare israeliana non c'è un limite massimo: come ovvio dato che se non fosse così si sarebbe costretti a rispedire anzitempo le persone arrestate in patria, dove non vi sarebbe nessuna garanzia per il processo di avere luogo.
Detto questo però, c’è da precisare che in ogni caso sarebbe da verificare singolarmente l’opportunità e le motivazioni dietro ogni arresto per giudicare correttamente l’operato delle autorità israeliane: non si può escludere aprioristicamente che potrebbero esserci stati degli abusi di potere da parte dei soldati di Tsahal; ma contemporaneamente questi non si possono neppure dare per scontati. Bisognerebbe valutare ogni singolo caso, riprendendosela con gli eventuali responsabili delle singole vicende, senza generalizzare e senza accusare o criminalizzare un intero sistema e, con esso, un intero Stato. Più facile a dirsi che a farsi: ma affermare genericamente che i detenuti palestinesi nelle carceri israeliane sono tutti detenuti illegalmente è solo retorica spiccia; considerarli addirittura alla stregua di veri e propri rapimenti è pura propaganda.
Detto questo, valutiamo il singolo caso di Gilad Shalit: rapito nel suo paese da guerriglieri entrati illegalmente in un territorio non loro, detenuto senza la possibilità per la Croce Rossa Internazionale di visitarlo e di valutarne la stato, senza la possibilità di vedere i suoi familiari e soprattutto senza essere colpevole di nulla se non di essere israeliano. Che sia tenuto in ostaggio senza motivo e che i suoi diritti fondamentali siano violati è un dato di fatto. Allora tutti dovrebbero essere uniti nella pretesa del suo rilascio; o perlomeno coloro che ritengono di stare dalla parte del rispetto dei diritti dell’uomo.