A distanza di giorni continua il martellamento incrociato di media e politica nei confronti dello Stato di Israele per la nota questione dell'abbordaggio della Mavi Marmara, la nave di attivisti pro-palestinesi che voleva forzare il blocco navale su Gaza attraverso la missione Freedom Flotilla. In particolare i media italiani insistono nel ritrarre la vicenda come un errore madornale e inspiegabile dell'esercito israeliano che ha provocato l'isolamento dello Stato ebraico dalla Comunità Internazionale. Quasi ad intendere che sia normale una simile reazione degli altri paesi.
Anche se tutti sembrano concordare nel pretendere maggiore chiarezza e, come è giusto, un'inchiesta obiettiva da parte di una commissione indipendente per far comprendere a tutti cosa effettivamente sia successo a bordo della Mavi Marmara, in realtà cosa sia accaduto sembra già abbastanza chiaro. Questo grazie soprattutto ai video rilasciati dall'IDF attraverso il suo canale YouTube.
Ma andiamo con ordine. Cerchiamo di non fermarci alle apparenze e di indagare a fondo, non lo si potrà fare in due parole ma è necessario per avere un quadro veramente chiaro della vicenda. Cerchiamo innanzitutto di ricostruire i vari fatti antecedenti la tragedia.
La missione
In cosa consisteva l'operazione Freedom Flotilla? Il suo scopo, riconosciuto dagli stessi suoi promotori e sostenitori, era rompere il blocco del traffico marittimo verso Gaza, imposto da Israele, importando via mare degli aiuti umanitari destinati alla popolazione palestinese "ridotta allo stremo". Non dimentichiamo che questo blocco navale, sostenuto peraltro anche dall'Egitto, non solo è come una sorta di sanzione economica per tentare di indurre l'organizzazione di Hamas a scendere a patti con il governo di Gerusalemme (che tutt'ora non riconosce), ma ha anche l'obiettivo di rafforzare i controlli sulle merci che giungono nei territori palestinesi, dietro le quali spesso si nascondono anche armi.
Principale promotrice della missione era l'organizzazione non governativa turca IHH, che secondo alcune fonti affidabili avrebbe anche dei legami con la stessa organizzazione di Hamas. Per capire più nel dettaglio chi fosse a bordo della nave guardate questo interessante servizio andato in onda sulla TV pubblica tedesca dopo i tragici eventi. Il video è sottotitolato in italiano.
Al minuto 3:01 di questo video si faceva riferimento al leader dell’IHH Bulent Yildrim. Ecco a voi il suo discorso all’equipaggio della Mavi Marmara registrato il 30 maggio 2010, cioè il giorno precedente all’intervento dell’esercito israeliano. Il video è stato diffuso dal ministero degli affari esteri israeliano. Credo che ogni commento sia superfluo.
Dunque, i sospetti e la pretesa delle autorità israeliane di controllare il carico contenuto dalle navi della Freedom Flotilla non erano campati in aria, anzi. Si trattava semplicemente di far rispettare le regole: la nave, anziché arrivare direttamente a Gaza sarebbe dovuta prima passare al porto di Ashdod dove sarebbe stata sottoposta ad un controllo; in seguito, il carico di viveri e medicinali contenuto nelle navi sarebbe stato trasportato via terra a Gaza e consegnato alle autorità locali per darle alla popolazione. Come d’altra parte già avviene da tempo.
Ma evidentemente lo scopo degli attivisti sin da principio non era semplicemente quello di aiutare la popolazione di Gaza. Il senso della loro "missione" era più che altro politico. Ulteriore prova di ciò è il fatto che anche dopo la partenza delle navi il governo di Israele ha provato ad intavolare delle trattative, proponendo dei compromessi, invano: d'altronde si trattava semplicemente di controllare il carico trasportato dalla nave, per una semplice questione di garanzia. Ma la missione avrebbe in questo modo perso il suo senso, dato che il suo reale obiettivo principale era proprio quello di rompere il blocco marittimo: non interessavano le motivazioni fornite dalle autorità israeliane per giustificarlo, il blocco era considerato illegale ed illegittimo, senza se e senza ma. L’intera missione dunque era una provocazione, che in molti già si domandavano in quale modo sarebbe stata affrontata dalle autorità israeliane.
Gilad Shalit
C’è un’ulteriore prova del carattere più politico che umanitario della missione Freedom Flotilla: i genitori di Gilad Shalit, il caporale israeliano rapito e tuttora tenuto in ostaggio da Hamas da circa quattro anni, hanno chiesto ai partecipanti della missione, in quanto “pacifisti”, di consegnare una lettera e un pacchetto al figlio (che non può neppure ricevere le visite della Croce Rossa). Gli "umanitari" hanno respinto la richiesta. Il che dovrebbe rendere ben chiaro quanto questi “pacifisti” avevano a cuore il rispetto per i diritti umani, malgrado l'operazione che si accingevano a compiere.
L'abbordaggio
Il 31 maggio accade l'irreparabile. Le sei navi della "Freedom Flotilla" vengono intercettate in acque internazionali e l'esercito israeliano intima loro di fermarsi e di dirigersi verso il porto di Ashdod, come da prassi. Il video riportato qui sotto, rilasciato dall'IDF, ne è la prova.
Ogni Stato esercita in via esclusiva la giurisdizione sulle proprie navi, ma in alcuni casi uno Stato può esercitare la propria giurisdizione su navi straniere in navigazione nelle acque internazionali:
lo Stato può fermare e abbordare navi straniere al fine di accertarne la nazionalità, o per verificare che la nave non compia atti di pirateria, di commercio di schiavi o altre attività illecite stabilite dall'articolo 110 Convenzione di Montego Bay; tuttavia, se il sospetto sull'attività svolta dalla nave o sulla sua nazionalità si rivela infondato, lo Stato che ha proceduto all'abbordaggio deve risarcire i danni e le perdite provocate;
ogni Stato può catturare qualsiasi nave, mercantile o da guerra, impegnata in atti di pirateria o di commercio di schiavi, ed esercitare la propria giurisdizione penale sull'equipaggio;
ogni Stato può inseguire e catturare navi sospettate di aver violato le proprie leggi nelle sue acque interne, nel suo mare territoriale o nella sua zona contigua, nei modi stabiliti dall'articolo 111 Convenzione di Montego BayA parte queste ipotesi, uno Stato non può fermare o abbordare navi battenti bandiera straniera; inoltre, ogni qual volta si esercitano operazioni coercitive su navi straniere, l'uso della forza può avvenire solo in ultima istanza e in misura ragionevole sulla base delle circostanze del caso.
A questo punto i soldati dell'IDF (Israeli Defence Force) si calano dagli elicotteri a bordo della nave: non appena toccano il pavimento vengono letteralmente assaliti dai "pacifisti" con spranghe, ma anche coltelli. Il video riportato qui sotto riprende la scena dall’alto.
Ecco più o meno la stessa scena ripresa da un'altra angolazione (più ravvicinata). Si vede anche un soldato scaraventato oltre la ringhiera verso il piano di sotto della nave. La furia con cui i "pacifisti" picchiano i soldati è assurda: considerando poi che erano quasi 600 persone è chiaro che, nonostante i soldati fossero meglio addestrati ed equipaggiati (anche se da queste immagini sembra che i primi a mettere piede sulla nave fossero disarmati, a quanto pare avevano solo fucili con proiettili di gomma) erano stati comunque colti di sorpresa e hanno rischiato grosso per la loro vita.
Certo, da questi video appare veramente difficile credere che i soldati israeliani abbiano deliberatamente ucciso i militanti di Freedom Flotilla come i media sembrano voler suggerire: anzi, pare più che i disordini siano avvenuti a causa della violenza premeditata degli attivisti a bordo della nave, ma anche da una grave sottovalutazione del pericolo da parte dei soldati dell'IDF: possibile che questi non si aspettassero una simile reazione da parte dell’equipaggio? Possibile che si siano calati come polli sulla nave e si siano fatti prendere a legnate in faccia? Ecco tutto l'armamentario ritrovato sulle navi di Freedom Flotilla una volta trasportate ad Ashdod.