Se c'è qualcosa in cui la missione Freedom Flotilla è riuscita, oltre a isolare Israele nello scenario internazionale, sicuramente è nel dare lo spunto ai nemici, storici e non, di minacciare in modo differente e "originale" lo Stato ebraico.
Il primo è stato Erdogan, il Presidente turco. Ricordiamo che la Turchia è stato il primo Stato arabo a riconoscere formalmente Israele: il rapporto tra i due paesi è sempre stato buono, anzi fondamentale dal punto di vista economico e strategico. Già da mesi c'erano state delle crepe, ma dopo i fatti della Freedom Flotilla i rapporti sembrano essersi incrinati del tutto.
Oltre a parlare senza mezzi termini di terrorismo di Stato, il premier Erdogan ha persino rincarato la dose, arrivando addirittura ad affermare che sarebbe intenzionato ad andare a Gaza su una nave carica di aiuti umanitari scortata dalla marina militare turca.
Anche il nemico e pericolo numero uno per Israele, Mahmoud Ahmadinejad, ha minacciato di inviare una sua flottiglia umanitaria verso Gaza composta da due navi. In questo caso molto probabilmente sarà l'Egitto, che teme l'affermarsi dell'egemonia iraniana nella regione, a non permettere alle navi di attraversare il Canale di Suez.
In ogni caso queste provocazioni, semmai saranno messe in pratica o da Erdogan o da Ahmadinejad, potrebbero minare veramente la pace nella regione, con Israele sempre al centro del pericolo per la sua stessa esistenza. Però è chiaro che questo episodio della Freedom Flotilla continuerà ancora per molto a lasciare degli strascichi e non sarà archiviato così facilmente.
Si spera che quella dei due Premier arabi resti solo una provocazione a parole: perché se veramente mettessero in pratica i loro propositi sarebbe quasi inevitabile una risposta israeliana. Senza contare che, nel caso fosse l'Iran ad inviare le navi, potrebbero intervenire anche gli USA, con scenari a cui è meglio non pensare.