La macellazione rituale ebraica

Molti si domandano come sia possibile che la Torà, promotrice dei valori universali di sensibilità e compassione verso il prossimo, consideri la macellazione rituale ebraica detta shechittà l’unico metodo di macellazione possibile, escludendone qualunque altro.

La domanda acquisisce ulteriore peso se si considera che la Torà vieta esplicitamente la provocazione di dolore inutile agli animali1, fatto che emerge, ad esempio, dal precetto che richiede di sollevare l’onere di una bestia crollata sotto il proprio carico, anche qualora l’animale appartenga al nemico2.

A questo proposito, il Talmud afferma che, nel caso di un animale in pena, è vietato porgere aiuto in cambio di denaro, in quanto la sofferenza della creatura deve essere alleviata con la massima urgenza3.

Gli esempi che si potrebbero citare in proposito sono innumerevoli.

Emerge di nuovo la domanda: se la Torà considera la compassione un valore tanto essenziale, per quale motivo essa richiede di uccidere gli animali con un coltello, vietando qualunque altro sistema fra i più diffusi, quale lo sparo di un chiodo alla testa dell’animale per mezzo di una pistola, che – pare – assicuri una morte più rapida e meno dolorosa? La Torà vieta, inoltre, di stordire l’animale in qualunque maniera prima di ucciderlo: né colpendolo con un oggetto pesante né per mezzo di una scossa elettrica (elettroshock), ad esempio, entrambi sistemi adottati ormai in tutto il mondo al fine di ridurre la sofferenza degli animali.●

Di seguito ci si inoltrerà esclusivamente nella questione concernente il metodo più opportuno per macellare bestiame e volatili, tralasciando intenzionalmente la questione della legittimità della consumazione della carne.

I metodi subdoli del negazionismo della Shoah

Valentina PisantySentir parlare di negazionismo della Shoah è un qualcosa già di per sé assurdo: ma avete mai avuto a che fare direttamente con un convinto assertore delle teorie negazioniste? Spero proprio per voi di no, è un’esperienza sgradevole che vi costringe a dover sottolineare delle cose ovvie già risapute da chiunque, ma che vengono messe continuamente in discussione. Non basta infatti citare tutte le numerose testimonianze dell’esistenza dei campi di concentramento, tutte le foto, i video, i documenti, ma soprattutto i campi stessi che sono ancora lì, che attestano senza ombra di dubbio la veridicità storica della Shoah: ognuna di queste prove appena citate è da considerarsi una mistificazione, una falsità, una messa in scena creata a puntino dagli ebrei per giustificare l’esistenza dello Stato di Israele (come se questa potesse essere giustificata solo in questo modo). Una messa in scena evidenziata, secondo le teorie negazioniste, da numerose evidenze ed incongruenze nei numeri e nelle informazioni che tutt’oggi abbiamo a testimonianza dell’Olocausto e che fanno del complotto ebraico la sua origine principale.

Di seguito un piccolo saggio scritto dall’accademica e semiologa italiana Valentina Pisanty, dedicato alle metodologie subdole utilizzate dai negazionisti per supportare le loro teorie. Non c’è miglior modo di combattere i nemici della verità se non conoscendo le armi da loro utilizzate. Il testo è abbastanza lungo, ma vale la pena leggerlo perché è molto interessante e completo, pur risalendo a parecchi anni fa.

Israele ha fatto dei passi avanti verso la pace. Adesso tocca al mondo arabo

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di Claudio Pagliara

Gerusalemme. Dieci anni sono passati dal fallimento dei negoziati di Camp David, dalla V, segno di vittoria, disegnata dalle dita di Arafat al rientro in patria, dalla passeggiata di Ariel Sharon sulla Spianata delle Moschee, dall’inizio della lunga stagione degli attentati suicidi, della controffensiva israeliana contro le infrastrutture del terrore. E’ stata senza alcun dubbio, la fase più sanguinosa del conflitto israelo palestinese – oltre mille morti israeliani, oltre 3000 palestinesi, battezzata come la “Seconda Intifada”, che come spesso accade nell’era delle guerre non convenzionali, non ha né una data di inizio unanimemente accettata né tantomeno una data certa finale.

La distorsione delle notizie provenienti dalla Palestina

Guardate questo video: mostra chiaramente, ancora una volta, come buona parte delle notizie che provengono dai territori palestinesi siano completamente deformate rispetto alla realtà.

Guardate in particolare come una notizia possa assumere una luce completamente differente quando si celano volutamente alcune parti della stessa.

Se vi foste trovati voi all’interno di quell’auto, cosa avreste fatto?

La circoncisione: quando religione e medicina vanno d’accordo

La circoncisione ebraicaRiguardo la circoncisione la Torà si esprime in questi termini: “all’ottavo giorno si circonciderà la carne del prepuzio1.

Quello della circoncisione, in ebraico brit milà, rientra indubbiamente tra i precetti più noti dell’ebraismo. Di importanza fondamentale, esso verrà osservato dal popolo ebraico in eterno e con gioia anche nei periodi di persecuzioni2.

La Torà ordina esplicitamente e senza lasciare spazio ad equivoci di effettuare la circoncisione proprio all’ottavo giorno. Non un giorno prima, non un giorno dopo. [Salvo problemi di salute che costringano a posticiparne la data, ndt]

Benché non ci sia possibile entrare nel merito delle reali motivazioni che giacciono alla base dei precetti della Torà, rimane opportuno soffermarsi su alcune sorprendenti scoperte scientifiche riguardo ai mutamenti fisiologici che si verificano proprio all’ottavo giorno di vita del neonato.

L’apertura del Mar Rosso: riscontri storici ed archeologici dell’evento

Numerosi ricercatori hanno tentato per anni di reperire l’esatta località in cui si svolse il miracolo dell’Apertura del Mar Rosso. Per secoli, nessuno di essi fu in grado di spiegare dove fosse scomparso il possente esercito del faraone, finché alla fine del XX secolo, avvenne una notevole svolta in questo senso.

Il seguente approfondimento espone dati di notevole interesse riguardo ai risultati delle nuove ricerche.


L’itinerario dell’Esodo
All’epoca della schiavitù, gli ebrei vivevano nella regione del delta del Nilo, in una località denominata Ra’msès.

I figli di Israel partirono da Ra’msès verso Sukkòt, circa seicentomila uomini a piedi, oltre ai bambini. (Shemòt 12, 37)

Usciti dall’Egitto, gli ebrei sostarono nella località di Sukkòt, situata all’estremità settentrionale dello Stretto di Suez.


Fotografia ripresa dal satellite, dove è segnato l'itinerario percorso dagli ebrei, dall'Egitto fino a Etàm. La localizzazione di Sukkòt
Esiste una località denominata “Tharu”, “T’aru” o “Takut” che corrisponde precisamente alla descrizione di Sukkòt. Da alcuni antichi manoscritti emerge che “Tharu era situata presso il delta” o Ra’msès, “dove gli ebrei avevano risieduto. Era anche il luogo dove l’esercito egizio si preparava per uscire verso il nord”.

Giuseppe Flavio, nella sua opera Antichità (libro II, cap. X) scrive: “In quanto guida militare, Moshè conosceva Tharu; fu lì che preparò il suo enorme esercito all’Esodo. Da lì partirono per Etàm”.

Gandhi sulla questione palestinese: un pensiero attuale?

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Questo è il pensiero di Gandhi sulla questione arabo-ebraica. Dico “arabo-ebraica” perché nell’anno in cui è stato da lui espresso, il 1938, ancora non esisteva Israele. Leggiamolo insieme.

Ho ricevuto numerose lettere in cui mi si chiede di esprimere il mio parere sulla controversia tra arabi ed ebrei in Palestina e sulla persecuzione degli ebrei in Germania. Non è senza esitazione che mi arrischio a dare un giudizio su problemi tanto spinosi.

Le mie simpatie vanno tutte agli ebrei. In Sud Africa sono stato in stretti rapporti con molti ebrei. Alcuni di questi sono divenuti miei intimi amici. Attraverso questi amici ho appreso molte cose sulla multisecolare persecuzione di cui gli ebrei sono stati oggetto.

[...]

Ma la simpatia che nutro per gli ebrei non mi chiude gli occhi alla giustizia. La rivendicazione degli ebrei di un territorio nazionale non mi pare giusta. A sostegno di tale rivendicazione viene invocata la Bibbia e la tenacia con cui gli ebrei hanno sempre agognato il ritorno in Palestina. Perché, come gli altri popoli della terra, gli ebrei non dovrebbero fare la loro patria del Paese dove sono nati e dove si guadagnano da vivere?

La Palestina appartiene agli arabi come l'Inghilterra appartiene agli inglesi e la Francia appartiene ai francesi. È ingiusto e disumano imporre agli arabi la presenza degli ebrei. Ciò che sta avvenendo oggi in Palestina non può esser giustificato da nessun principio morale. I mandati non hanno alcun valore, tranne quello conferito loro dall'ultima guerra. Sarebbe chiaramente un crimine contro l'umanità costringere gli orgogliosi arabi a restituire in parte o interamente la Palestina agli ebrei come loro territorio nazionale. La cosa corretta è di pretendere un trattamento giusto per gli ebrei, dovunque siano nati o si trovino. Gli ebrei nati in Francia sono francesi esattamente come sono francesi i cristiani nati in Francia. Se gli ebrei sostengono di non avere altra patria che la Palestina, sono disposti ad essere cacciati dalle altre parti del mondo in cui risiedono? Oppure vogliono una doppia patria in cui stabilirsi a loro piacimento?

[...]

Sono convinto che gli ebrei stanno agendo ingiustamente. La Palestina biblica non è un'entità geografica. Essa deve trovarsi nei loro cuori. Ma ammesso anche che essi considerino la terra di Palestina come loro patria, è ingiusto entrare in essa facendosi scudo dei fucili. Un'azione religiosa non puo' essere compiuta con l'aiuto delle baionette e delle bombe (oltre tutto altrui). Gli ebrei possono stabilirsi in Palestina soltanto col consenso degli arabi.

[...]

Non intendo difendere gli eccessi commessi dagli arabi. Vorrei che essi avessero scelto il metodo della nonviolenza per resistere contro quella che giustamente considerano un'aggressione del loro Paese. Ma in base ai canoni universalmente accettati del giusto e dell'ingiusto, non può essere detto niente contro la resistenza degli arabi di fronte alle preponderanti forze avversarie.

Gandhi antisionista? Sicuramente. Antisemita? Non esageriamo. Innanzitutto bisogna contestualizzare il suo pensiero.