Gandhi sulla questione palestinese: un pensiero attuale?

Gandhi1

Questo è il pensiero di Gandhi sulla questione arabo-ebraica. Dico “arabo-ebraica” perché nell’anno in cui è stato da lui espresso, il 1938, ancora non esisteva Israele. Leggiamolo insieme.

Ho ricevuto numerose lettere in cui mi si chiede di esprimere il mio parere sulla controversia tra arabi ed ebrei in Palestina e sulla persecuzione degli ebrei in Germania. Non è senza esitazione che mi arrischio a dare un giudizio su problemi tanto spinosi.

Le mie simpatie vanno tutte agli ebrei. In Sud Africa sono stato in stretti rapporti con molti ebrei. Alcuni di questi sono divenuti miei intimi amici. Attraverso questi amici ho appreso molte cose sulla multisecolare persecuzione di cui gli ebrei sono stati oggetto.

[...]

Ma la simpatia che nutro per gli ebrei non mi chiude gli occhi alla giustizia. La rivendicazione degli ebrei di un territorio nazionale non mi pare giusta. A sostegno di tale rivendicazione viene invocata la Bibbia e la tenacia con cui gli ebrei hanno sempre agognato il ritorno in Palestina. Perché, come gli altri popoli della terra, gli ebrei non dovrebbero fare la loro patria del Paese dove sono nati e dove si guadagnano da vivere?

La Palestina appartiene agli arabi come l'Inghilterra appartiene agli inglesi e la Francia appartiene ai francesi. È ingiusto e disumano imporre agli arabi la presenza degli ebrei. Ciò che sta avvenendo oggi in Palestina non può esser giustificato da nessun principio morale. I mandati non hanno alcun valore, tranne quello conferito loro dall'ultima guerra. Sarebbe chiaramente un crimine contro l'umanità costringere gli orgogliosi arabi a restituire in parte o interamente la Palestina agli ebrei come loro territorio nazionale. La cosa corretta è di pretendere un trattamento giusto per gli ebrei, dovunque siano nati o si trovino. Gli ebrei nati in Francia sono francesi esattamente come sono francesi i cristiani nati in Francia. Se gli ebrei sostengono di non avere altra patria che la Palestina, sono disposti ad essere cacciati dalle altre parti del mondo in cui risiedono? Oppure vogliono una doppia patria in cui stabilirsi a loro piacimento?

[...]

Sono convinto che gli ebrei stanno agendo ingiustamente. La Palestina biblica non è un'entità geografica. Essa deve trovarsi nei loro cuori. Ma ammesso anche che essi considerino la terra di Palestina come loro patria, è ingiusto entrare in essa facendosi scudo dei fucili. Un'azione religiosa non puo' essere compiuta con l'aiuto delle baionette e delle bombe (oltre tutto altrui). Gli ebrei possono stabilirsi in Palestina soltanto col consenso degli arabi.

[...]

Non intendo difendere gli eccessi commessi dagli arabi. Vorrei che essi avessero scelto il metodo della nonviolenza per resistere contro quella che giustamente considerano un'aggressione del loro Paese. Ma in base ai canoni universalmente accettati del giusto e dell'ingiusto, non può essere detto niente contro la resistenza degli arabi di fronte alle preponderanti forze avversarie.

Gandhi antisionista? Sicuramente. Antisemita? Non esageriamo. Innanzitutto bisogna contestualizzare il suo pensiero.

Nel 1938 la situazione era ovviamente ben diversa da quella attuale: non era ancora avvenuta la Shoah (seppur le violenze antisemite in Germania fossero in corso), era un periodo in cui gli arabi si stavano mobilitando contro l’immigrazione ebraica in Palestina ed era stata da loro rifiutata due anni prima la prima proposta di spartizione della regione. A tutto ciò dobbiamo aggiungere uno sguardo alla situazione indiana in cui Gandhi stesso era direttamente coinvolto all’epoca: la sua “guerra” non-violenta agli inglesi per l’indipendenza della sua nazione era in corso e considerando che fino ad allora l’Inghilterra non aveva mai fatto nulla per impedire agli ebrei di migrare in Palestina (situazione che sarebbe cambiata ben presto), è abbastanza chiaro che la sua critica alle rivendicazioni nazionali ebraiche siano da leggersi anche in chiave anti-inglese.

Il leader indiano dice: A sostegno di tale rivendicazione [di un territorio nazionale ebraico] viene invocata la Bibbia e la tenacia con cui gli ebrei hanno sempre agognato il ritorno in Palestina. Questo è sbagliato, non è esattamente così se vediamo bene. Seppur spinto anche dal desiderio ultramillenario di rifondare l’antica Israele, il Sionismo non ha mai fatto della Bibbia la sua ragione di essere; piuttosto il movimento fondato da Herzl nasceva dalla costatazione che gli ebrei non avrebbero mai potuto vivere in piena sicurezza, al riparo da rigurgiti di antisemitismo, nelle nazioni che li ospitavano. Lo si può leggere chiaramente nell’opera principale del fondatore del movimento sionista, il Der Judenstaat (consultabile integralmente qui), che è la risposta migliore alla domanda posta da Gandhi: perche', come gli altri popoli della terra, gli ebrei non dovrebbero fare la loro patria del Paese dove sono nati e dove si guadagnano da vivere? Ulteriore conferma del realismo della teoria sionista sarebbe arrivata qualche anno dopo, con la Shoah.

La cosa corretta è di pretendere un trattamento giusto per gli ebrei, dovunque siano nati o si trovino. Gli ebrei nati in Francia sono francesi esattamente come sono francesi i cristiani nati in Francia. Ma che scoperta! Magari fosse così, in tal caso allora veramente non ci sarebbe bisogno di uno Stato ebraico. Ma purtroppo non è così e lo si sarebbe capito chiaramente da lì a qualche anno.

Se dunque gli ebrei erano spinti soprattutto da necessità pratiche di sopravvivenza, prima che da speranze meramente religiose, ecco che il discorso di Gandhi decade sin dal principio: dire ciò che sta avvenendo oggi in Palestina non puo' esser giustificato da nessun principio morale è semplicemente fuori luogo; affermare poi che sarebbe chiaramente un crimine contro l'umanita' costringere gli orgogliosi arabi a restituire in parte […] la Palestina agli ebrei come loro territorio nazionale si sarebbe rivelato ben presto infondato, dato che la spartizione della regione in due Stati separati e indipendenti era, ed è ancora oggi, l’unica soluzione possibile per la soluzione del conflitto (che se fosse stata accettata all’epoca dagli arabi, come lo fu dagli ebrei, oggi la cosiddetta “questione palestinese” non esisterebbe).

Il leader indiano aggiunge: ma ammesso anche che essi [gli ebrei] considerino la terra di Palestina come loro patria, e' ingiusto entrare in essa facendosi scudo dei fucili. […] Non intendo difendere gli eccessi commessi dagli arabi. Vorrei che essi avessero scelto il metodo della nonviolenza per resistere contro quella che giustamente considerano un'aggressione del loro Paese. Un passaggio comprensibile, considerando i metodi utilizzati da Gandhi stesso nel contesto indiano. Ma appare altrettanto comprensibile ed evidente che dalle sommosse arabe, fomentate dal Mufti di Gerusalemme Amin Husseini, contro l’immigrazione ebraica degli anni ‘20 e ‘30, non ci si sarebbe mai potuti difendere senza armi, considerando che esse non utilizzavano certo il metodo della non-violenza.

L’ultima frase ad effetto del suo pensiero è: in base ai canoni universalmente accettati del giusto e dell'ingiusto, non puo' essere detto niente contro la resistenza degli arabi di fronte alle preponderanti forze avversarie. Questi “canoni universalmente accettati del giusto e dell’ingiusto” si sarebbero ben presto rivelati infondati: si considerava ancora, all’epoca di questo pensiero, l’appoggio degli inglesi all’immigrazione ebraica come un punto di forza degli ebrei nei confronti degli arabi, ma nell’anno successivo tutto questo sarebbe stato annullato. Nel 1939 infatti gli inglesi, come già accennato, imposero delle restrizioni agli ingressi e agli acquisti di terre da parte degli ebrei nella regione ed avvenne proprio nel momento di maggiore necessità, cioè sei mesi dopo la notte dei cristalli. Gli inglesi di fatto voltarono la faccia al sionismo, dopo la promessa di aiuto nel fondare una National Home ebraica in Palestina (che, lo ricordo, all’epoca come in passato non era uno Stato ma una regione) e di fatto queste “preponderanti forze avversarie”, intese come forze ebraiche ed inglesi, non erano più così nette non essendo più alleate ma nemiche. Una situazione che sicuramente era ben diversa da quella attuale, che vede una superiorità tecnologica e militare israeliana (seppur questa superiorità non trovi riscontri sul campo, dato che i metodi utilizzati dai guerriglieri arabi riescono in qualche modo a sopperire alla loro inferiorità di mezzi).

Questo pensiero di Gandhi ancora oggi viene spesso citato dai “critici” di Israele per rafforzare la teoria di una illegittimità dell’esistenza di uno Stato ebraico e per sottolineare la superiorità militare israeliana che in qualche modo giustificherebbe i metodi palestinesi, sfruttando l’immagine del suo autore, che ovviamente non può essere considerato un antisemita o un guerrafondaio, come se potesse riferirsi alla situazione mediorientale attuale. Ci si dimentica, appunto, che questo pensiero è stato espresso prima della Shoah, prima della risoluzione ONU del 1947, in un contesto ben diverso da quello odierno, da un personaggio che, per quanto illustre, era pur sempre uno spettatore estraneo della vicenda (ma comunque in qualche modo interessato in chiave anti-inglese). Mi sono già espresso su chi oggi nega il diritto all’esistenza di uno Stato ebraico nonostante le persecuzioni subìte nei secoli; la fattispecie di come poi sono andati i fatti dimostrano la necessità dell’esistenza di uno Stato ebraico, per quanto Gandhi avesse potuto pensarla diversamente in passato e per quanto i “critici” e i “pacifisti” di oggi possano ancora esserne contrari, nonostante tutto.

Probabilmente oggi anche Gandhi stesso, che era meno duro di comprendonio di molti “critici” di Israele attuali, lo avrebbe capito, considerando come poi sarebbero andate le cose nella storia.