Numerosi ricercatori hanno tentato per anni di reperire l’esatta località in cui si svolse il miracolo dell’Apertura del Mar Rosso. Per secoli, nessuno di essi fu in grado di spiegare dove fosse scomparso il possente esercito del faraone, finché alla fine del XX secolo, avvenne una notevole svolta in questo senso.
Il seguente approfondimento espone dati di notevole interesse riguardo ai risultati delle nuove ricerche.
L’itinerario dell’Esodo
All’epoca della schiavitù, gli ebrei vivevano nella regione del delta del Nilo, in una località denominata Ra’msès.
I figli di Israel partirono da Ra’msès verso Sukkòt, circa seicentomila uomini a piedi, oltre ai bambini. (Shemòt 12, 37)
Usciti dall’Egitto, gli ebrei sostarono nella località di Sukkòt, situata all’estremità settentrionale dello Stretto di Suez.
La localizzazione di Sukkòt
Esiste una località denominata “Tharu”, “T’aru” o “Takut” che corrisponde precisamente alla descrizione di Sukkòt. Da alcuni antichi manoscritti emerge che “Tharu era situata presso il delta” o Ra’msès, “dove gli ebrei avevano risieduto. Era anche il luogo dove l’esercito egizio si preparava per uscire verso il nord”.
Giuseppe Flavio, nella sua opera Antichità (libro II, cap. X) scrive: “In quanto guida militare, Moshè conosceva Tharu; fu lì che preparò il suo enorme esercito all’Esodo. Da lì partirono per Etàm”.
La tappa successiva: Etàm
Partirono da Sukkòt e si accamparono a Etàm, all’estremità del deserto (Shemòt 13, 20)
Etàm era situata all’estremità del deserto, presso il Mar Rosso (o Mare dei Giunchi): Dio fece quindi deviare il popolo attraverso il deserto, verso il Mare dei Giunchi; i figli di Israèl erano saliti armati dal paese d’Egitto (Shemòt 13, 18)
Dal deserto al mare
Mentre il popolo ebraico percorreva il deserto, in fuga dall’esercito egizio, Hashèm disse a Moshè di dirigersi verso sud e di raggiungere il mare. A quel punto gli ebrei dovettero percorrere un wadi che portava appunto alla costa:
«Parla a figli di Israèl, che tornino indietro e si accampino dinanzi Pi Hakiròt, tra Migdòl e il mare, dinanzi a Ba’al Tzefòn, di fronte a esso, accampatevi presso il mare. Par’ò dirà dei figli di Israèl: “Essi sono intrappolati, il deserto li ha serrati!” (Shemòt 14, 2-3).
Da un’attenta analisi delle descrizioni bibliche emerge che per giungere dal deserto del Mare dei Giunchi alla costa, gli ebrei avrebbero dovuto attraversare un wadi con le seguenti caratteristiche:
- che fosse circondato da alte montagne dalle quali non ci fosse possibilità di fuga o ritirata, affinché fossero intrappolati;
- che esso potesse accogliere alcuni milioni di persone, oltre al loro bestiame e ai loro averi;
- che li portasse a una spiaggia abbastanza grande da poterli contenere tutti.
L’unico wadi della regione che risponda a questi requisiti è quello denominato Wafi Watir. Esso è l’unico tratto che avrebbe potuto ospitare il numero ingente di ebrei usciti dall’Egitto e portarli dal deserto al mare.
Sempre nella sua opera Antichità (Libro II, cap. XV) Giuseppe Flavio aggiunge interessanti informazioni concernenti l’inseguimento del popolo ebraico da parte delle milizie del faraone: “Essi inoltre ostruirono i passaggi da cui ritenevano che gli ebrei potessero fuggire, rinchiudendoli fra i precipizi inaccessibili e il mare. Così bloccarono gli ebrei nel punto in cui le montagne si rinchiudevano presso il mare”.
La spiaggia presso la quale avvenne l’Apertura del Mare
Esaminando la piantina della regione si può trovare un’unica spiaggia abbastanza grande da contenere almeno due milioni di persone: Nuweiba.
Questa spiaggia si estende su un’area particolarmente vasta, nella quale gli ebrei poterono facilmente sostare, con il loro bestiame e i loro beni.
Giunti alla costa, gli ebrei si trovarono letteralmente intrappolati. Non potevano tornare indietro a causa delle milizie egiziane al loro inseguimento, né potevano dirigersi a nord, in quanto all’estremità settentrionale della spiaggia si ergeva una fortezza egizia, tutt’oggi esistente (in ristrutturazione).
Quanto all’estremità meridionale della spiaggia, come scrive Flavio (Antichità, Libro II, 3-15) era chiusa dalle montagne: “Là si ergeva infatti una catena montuosa impossibile da valicare, che impediva la loro fuga”.
Le colonne
Nel 1978 furono scoperte due colonne di granito uguali fra loro, che si ergevano ai due lati dello stretto del Mare dei Giunchi. Una di esse, rilevata nella spiaggia di Nuweiba, era in parte immersa nell’acqua e l’iscrizione che la caratterizzava era quasi del tutto cancellata. All’epoca Nuweiba era ancora in territorio israeliano. In seguito la colonna fu trasferita dall’altra parte della strada.
L’altra colonna, invece, fu ritrovata sull’altra sponda dello stretto, in territorio arabo-saudita. Su di essa le scritte, in ebraico, erano ancora leggibili: מצרים (Egitto); מתו (morirono); שלמה (Shelomò); אדום (idumea); פרעה (Par’ò); משה (Moshè); מים (acqua) e il Nome di Hashèm.
Si presume che re Shelomò avesse eretto queste colonne quattrocento anni dopo il miracolo dell’Apertura del Mar Rosso. Il suo porto si trovava all’estremità settentrionale dello stretto, ossia il Golfo di Aqaba, che corrisponde all’odierna Eilat. Egli conosceva bene il punto in cui gli ebrei attraversarono il Mare, in quanto si trovava proprio in prossimità.
Re Shelomò costruì una nave a ‘Etziyòn Ghèver, che si trovava presso Elòt, sulla costa del Mare dei Giunchi, in terra di Edòm (Melakhìm I, 9-26).
Inoltre, è probabile che il seguente versetto tratto da Yesha’yà si riferisca alla colonna di cui sopra: In quel giorno verrà eretto un altare per Hashèm in terra d’Egitto e una stele (o colonna) presso il suo confine, per Hashèm, e sarà un segno e una testimonianza per il Dio delle Schiere in terra d’Egitto (19, 19).
Le ruote dei carri
Da quanto esposto, emerge che gli ebrei attraversarono il Mar Rosso partendo dalla spiaggia di Nuweiba e raggiungendo quella che si trovava di fronte, nell’attuale Arabia Saudita, che all’epoca, in base a tutte le mappe antiche, corrispondeva alla terra di Midyàn.
I figli di Israel entrarono nel mare, all’asciutto, e l’acqua faceva loro da muro alla loro destra e alla loro sinistra. Gli egizi – tutti i cavalli di Par’ò, i suoi cocchi e i suoi cavalieri - [li] inseguirono andando loro dietro fin dentro il mare. E fu all’alba, che Hashèm scrutò l’accampamento egizio [per distruggerlo] con una colonna di fumo e una nube, scompigliando l’accampamento degli egizi. Staccò le ruote dei loro cocchi e lo trattò con durezza. Gli egizi dissero: «Fuggiamo da Israèl, poiché Hashèm combatte per loro contro gli egizi!» (Shemòt 14, 22-25).
Nel 1978, un ricercatore di nome Ron Wyatt (uno dei più noti nel campo) si immerse nell’area in cui, in base a quanto esposto sopra avvenne l’Apertura del Mare, ossia nella parte meridionale della spiaggia di Nuweiba. Vi trovò dei resti di carri ormai ricoperti da uno spesso strato di corallo, che ne aveva consentito la preservazione nel corso dei millenni.
Sul fondo del mare furono poi ritrovate ruote a quattro, sei e otto raggi. Wyatt riuscì a portare in superficie il perno di un carro a cui erano attaccati otto raggi di ruota. Lo portò al Cairo a farlo esaminare dal professor Nassif Muhammad Hassan, direttore del reparto di ricerca sulle antichità.
In seguito a un rapido esame, Hassan informò Wyatt del fatto che il reperto risaliva alla XVIII dinastia egizia, che corrisponde a quella che sottopose il popolo ebraico alla schiavitù.
E’ interessante notare che furono ritrovati residui di carri d’oro sulla sponda egiziana del golfo, ossia a Nuweiba, il punto cioè in cui ebbe inizio l’attraversamento del mare. Questo genere di carri veniva utilizzato nelle cerimonie e apparteneva alle caste più alte della società dell’antico Egitto. Non erano adatti alle battaglie come gli altri, fatto che rende comprensibile il luogo in cui furono ritrovati: infatti, è logico che in capo all’esercito, ossia i primi ad entrare nel mare, fossero i soldati addestrati alla guerra, mentre i nobili e i principi si tenessero sulla retrovia e fossero, quindi, gli ultimi a entrare. Per questo motivo, quando il mare si chiuse dietro di loro, essi erano ancora vicini alla costa, ossia a Nuweiba.
Wyatt inoltre ritrovò sul fondo marino ossa equine e umane.
Nel dicembre del 1998 i ricercatori Bill Frey e Ron Wyatt, accompagnati da altre otto persone, si recarono a Nuweiba per un’ulteriore immersione nelle acque in cui in passato lo stesso Wyatt aveva trovato i reperti di cui sopra. Frey e un collega si immersero e ben presto trovarono il perno di un carro a una profondità di circa sessanta centimetri sotto il fondo marino, a cui era ancora attaccata una ruota a sei raggi; entrambi erano ricoperti di coralli. Per accertarsi che si trattasse effettivamente di residui di carri e non di semplici coralli, utilizzarono un rilevatore di metalli che emise segnali positivi in tutti i casi, provando che i coralli coprivano materiali di questo genere.
Gli altri ricercatori rilevarono ulteriori ruote e persino telai di carri. Ciò che più li sorprese, tuttavia, fu il rilevamento di ossa umane, in parte sparpagliate qua e là e in parte raggruppate, racchiuse all’interno di coralli.
Nel maggio del 2000 furono effettuate ulteriori immersioni da gruppi di ricerca guidati dal norvegese Mark Krassberg e da altri noti ricercatori, fra i quali l’australiano Ron Peterson, la svedese Vioka Fonten, i britannici Michael Redman e Aron San e il norvegese Thor Larsen. Fra loro si trovava anche il dott. Lanert Mullar, che disponeva di una sofisticata macchina fotografica subacquea, dotata di un telecomando. Egli si unì al gruppo, insieme ad altri ricercatori che disponevano di altri apparecchi molto sofisticati per la ricerca sottomarina.
Con la loro imbarcazione, navigarono in direzione dell’Arabia Saudita (l’altra sponda del Mare dei Giunchi) e riuscirono a superare il segnale di “metà strada” (tra Nuweiba e l’Arabia Saudita); si immersero con l’Excalibur 1000, un apparecchio che consente di rilevare metalli che giacciono anche a grandissime profondità. Durante un’immersione a ventotto metri di profondità scoprirono dei reperti a forma circolare ricoperti di coralli, della stessa misura delle ruote di un carro. Il perno e i sei raggi della ruota erano chiaramente visibili. Con l’ausilio del rilevatore, furono ritrovati, inoltre, numerosi oggetti di metallo, anch’essi ricoperti dai coralli.
Anche sulla sponda saudita, infine, trovarono dei resti di carri, fatto che confermò l’ipotesi secondo cui l’itinerario dell’attraversamento del mare partisse da Nuweiba e raggiungesse l’Arabia Saudita.
Fonte: Khumash: Esodo – Shemòt, edizione gennaio 2010, Mamash (da pag. 819 a pag. 826).