Flee Market Gaza

Di seguito un reportage di TV7 a cura di Claudio Pagliara, andato in onda il 4 giugno 2010.

Israele, 60 anni mille storie – Speciale Sky TG24

Reportage di Sky TG24 a cura di Renato Coen. Un viaggio tra la popolazione israeliana, tra integrazione e fanatismo, tra modernità e tradizioni religiose. Il servizio è andato in onda il 20 luglio 2008 in occasione dell'anniversario dei 60 anni dalla nascita dello Stato d'Israele.

Il servizio è composto da due video, visualizzabili in successione nel riquadro qui sotto.

I volti di Israele - TG2 Dossier

Ecco a voi un interessantissimo reportage del TG2 Dossier, a cura di Claudio Pagliara. E’ andato in onda il 4 ottobre 2008 ma è ancora molto attuale: vi consiglio caldamente di vederlo, è veramente ben fatto.

Il dossier è suddiviso in cinque video, visualizzabili in successione nel riquadro qui sotto.

Un velo tra noi – Speciale Sky TG24

Viaggio nell'islam italiano. Un'inchiesta condotta dalla trasmissione Controcorrente di Corrado Formigli, approfondimento di SKY TG24, dal titolo "Un velo di noi" ci svela cosa realmente pensano gli italiani sul velo islamico e cosa consigliano gli iman di alcune tra le più importanti moschee italiane. Per scoprirlo due inviati di SKY, lei somala, lui iracheno, si sono finti marito e moglie e con una telecamera nascosta si sono introdotti in alcune moschee "calde" di tre città Italiane, quella di Centocelle a Roma, di Varese e di viale Jenner a Milano. Lo hanno fatto camuffandosi da coppia che rispetta integralmente le leggi coraniche, lei con il niqab, il velo integrale islamico, lui con la barba incolta da integralista ortodosso.

Il servizio, andato in onda nel febbraio del 2007, è suddiviso in due video, visualizzabili in successione nel riquadro qui sotto.

Si spengono le luci del Colosseo per Gilad Shalit

Bandiere israeliane davanti al Colosseo in occasione della manifestazione

Ieri sera a Roma, tra il Colosseo e l’arco di Costantino si è tenuta la manifestazione a favore del rilascio del soldato israeliano Gilad Shalit, rapito quattro anni fa dal braccio armato di Hamas.

Circa cinquemila presenze, almeno stando a quanto riportato su Repubblica (anche se personalmente non mi sembravano così tanti). Sul palco si sono presentate personalità istituzionali come il sindaco di Roma Gianni Alemanno, il presidente della provincia Nicola Zingaretti e il presidente della regione Lazio Renata Polverini. Presenti all’evento, tra gli altri, anche Giuliano Ferrara (del quotidiano Il Foglio), Andrea Ronchi e Lorenzo Cesa (UDC), oltre alle personalità della comunità ebraica di Roma come Riccardo Pacifici e il rabbino capo Riccardo Di Segni.

Perché è sbagliato paragonare il rapimento di Shalit con gli arresti effettuati dalle autorità israeliane

Gilad Shalit

Le associazioni dei pacifisti, a quanto pare, non parteciperanno alla manifestazione di sostegno alla liberazione di Gilad Shalit. Il motivo? Anche Israele detiene tanti palestinesi: se Hamas deve liberare il suo prigioniero anche lo Stato ebraico deve fare altrettanto con i palestinesi nelle carceri israeliane, perché non ci sono prigionieri di serie A e di serie B. Un ragionamento che fila… almeno fino a quando andiamo ad analizzare le differenti modalità di arresto e di detenzione. Fa specie dover spiegare ancora una volta le caratteristiche che differenziano il modus operandi di un paese civile come Israele da quello di una organizzazione terroristica come Hamas, ma dato che anche le cose ovvie vengono ancora messe in dubbio da qualcuno facciamo un po’ di chiarezza.

In realtà è inappropriato mettere sullo stesso piano Israele e Hamas sotto questo punto di vista: un conto infatti è detenere prigionieri in carceri situate in locazioni specifiche e conosciute, nel rispetto delle leggi; un altro è rapire una persona e detenerla in un luogo segreto senza che nessuno, nemmeno la Croce Rossa Internazionale, possa visitarla.

Gilad Shalit: ostaggio di Hamas dal 2006

Gilad Shalit

Domani saranno esattamente quattro anni che il caporale israeliano Gilad Shalit, allora diciottenne e oggi ventiduenne, è tenuto in ostaggio dai militanti di Hamas in un luogo non ben precisato della Striscia di Gaza.

Chiarimento dell’IDF su uno dei video della Freedom Flotilla

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E’ sempre più difficile districarsi tra la marea di informazioni che circolano su internet. Spesso si possono scoprire dettagli e retroscena molto importanti su un avvenimento non cercando nei soliti siti di notizie ma conversando nei forum o nei gruppi dei social network (come Facebook) con altra gente. E’ proprio leggendo una conversazione su internet tra due persone che sono giunti alla mia attenzione questi interessanti dettagli che vado a raccontarvi.

Il video rilasciato dall’IDF su YouTube che riportava la comunicazione via radio tra l’equipaggio della Mavi Marmara e le autorità israeliane, alle quali era stato risposto “zitti, tornatevene ad Auschwitz” effettivamente poteva destare qualche perplessità. Era facile avere dubbi sulla veridicità della registrazione, dato che non era integrale ma che, al contrario, si trattava di un montaggio.

Il giorno successivo la diffusione del video, il 5 giugno, l’IDF ha pubblicato un chiarimento attraverso il suo blog oltre che la versione integrale della comunicazione tra le navi. Leggiamolo insieme.

Volantini “pacifisti” distribuiti a Torino contro Israele

Questo è uno dei volantini propagandistici che sono stati distribuiti per le strade di Torino da pacifisti pro-palestinesi. Leggiamolo insieme.

volantino pacifista

Andiamo ad analizzare punto per punto quanto scritto.

La protesta degli ebrei ortodossi a Gerusalemme

La rivolta degli ashkenaziti:

'Prima la Torah, poi lo Stato'

Gerusalemme, 17 giugno 2010. Manifestazione di ebrei ultraortodossi (Uriel Sinai, Getty Images)

Di Aldo Baquis

Al grido di «No alla Corte Suprema, il Signore è il nostro Re», oltre centomila zeloti trascinati dai più importanti rabbini ortodossi fra cui il centenario e carismatico Shalom Yossef Elyashiv hanno inscenato ieri una gigantesca prova di forza a Gerusalemme e a Bené Braq (Tel Aviv) per chiarire che in casi estremi essi non sono disposti a sottostare alle strutture laiche di Israele. In prospettiva, hanno posto sul tavolo la richiesta di una autonomia rabbinica all’interno dello Stato per i loro fedeli, quasi il 10% della popolazione.

Sentenza Ue, contributo per l'acquisto del decoder DTT fu aiuto di stato

Una conferma, semmai ce ne fosse il bisogno, del fatto che in Italia c’è un conflitto di interessi enorme per quanto riguarda la televisione. Terremo spesso d’occhio questo argomento, a cui solitamente viene data meno importanza di quanto meriti.

Corte Ue, contributo italiano per l'acquisto del decoder DTT fu aiuto di stato

Secondo il Tribunale dell'Unione europea il contributo italiano concesso per l'acquisto o la locazione di decoder digitali terrestri costituisce un aiuto di Stato e deve essere recuperato.

La misura, spiega una nota, "non è neutra dal punto di vista tecnologico e attribuisce alle emittenti digitali terrestri un vantaggio diretto a danno delle emittenti satellitari".

Nella sentenza pronunciata oggi il Tribunale ha respinto in toto il ricorso presentato da Mediaset per ottenere l'annullamento della decisione della Commissione europea che - qualificando il contributo come aiuto di Stato a favore delle emittenti digitali terrestri che offrivano servizi di televisione a pagamento, in particolare servizi "pay per view", nonché di operatori via cavo fornitori di servizi televisivi digitali a pagamento - imponeva all'Italia di procedere al recupero, nei confronti dei beneficiari, dell'aiuto e dei relativi interessi.

Antisionismo e antisemitismo: la sottile linea rossa

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"Io sono antisionista, non antisemita". Quante volte vi sarà capitato di sentire o leggere questa frase in una discussione, o magari la avete pronunciata voi stessi, sul web o dal vivo. "Io non sono antisemita, io semplicemente critico la politica israeliana nei confronti dei palestinesi", ecco un'altra frase ricorrente.

Il diritto di critica ovviamente, non c'è bisogno neppure di precisarlo, è sacrosanto: nella stessa Israele, come in qualsiasi altro paese democratico, i governi sono da sempre appoggiati o criticati in ciò che fanno in base alle opinioni dei singoli, eppure non sempre chi critica si autodefinisce antisionista. La domanda allora sorge spontanea: qual è la differenza tra critica e antisionismo? Ma soprattutto, è lecito autodefinirsi antisionisti pretendendo di non essere tacciati per questo di antisemitismo? Per spiegarlo non basteranno quattro parole, ma occorre fare un ragionamento articolato. Vediamo di fare un po' di chiarezza.

La guerra dei Sei Giorni

Il 5 giugno del 1967 ebbe inizio la cosiddetta Guerra dei Sei Giorni, che portò Israele a conquistare Gerusalemme est, le alture del Golan, la penisola del Sinai, la Striscia di Gaza e la Cisgiordania.

Questo documentario della BBC parla del conflitto in maniera estremamente approfondita raccontandolo in tutte le sue fasi, dalle scintille che lo hanno provocato alla conquista di Gerusalemme da parte di Israele.

Di seguito la cronologia degli avvenimenti della Guerra dei Sei Giorni attraverso i flash dell'agenzia ANSA, tratti dal sito Cronologia.it.

Questo è uno degli eventi chiave, per comprendere a fondo le cause del conflitto in corso.

Tarocchi giornalistici


Se avete un minimo di esperienza su internet e vi è capitato qualche volta di volervi informare da soli circa un avvenimento o una notizia, anche solo per approfondire un argomento, sicuramente avrete notato quanta monnezza giri in rete. Basta inserire una parola chiave (un esempio a caso: "Israele") e cercare su Google: centinaia di pagine, in varie lingue, tra enciclopedie online, siti di news, blog...

Ecco, di solito sono proprio i blog - che contengono news fai-da-te (come anche il presente) e dove spesso si segue un ben preciso orientamento politico (non è il caso di questo blog, anche se il punto di vista dell'autore traspare) - che nascondono al loro interno la quantità maggiore di informazioni "spazzatura". Di solito per portare avanti la propria ideologia o la propria opinione si sceglie di pubblicare notizie parziali, tratte a loro volta da altri blog, spesso senza precisare chiaramente la fonte da cui le notizie sono tratte. Un consiglio che mi sento di darvi, anche quando leggete questo blog (perché no), è di confutare sempre le notizie che trovate su internet in altri siti: guardate bene chi ha pubblicato la notizia, guardate se la stessa informazione si trova in più di un sito; solo se la fonte è affidabile merita la vostra attenzione, altrimenti molto probabilmente si tratta di bufale o di informazioni scorrette.

Purtroppo la vita per la gente che ha voglia di informarsi diventa ogni giorno più difficile, perché è sempre più complicato districarsi tra le informazioni spazzatura e quelle veritiere. Oggi giorno purtroppo non basta cercare informazioni nei siti apparentemente più affermati perché anche le fonti più affidabili potrebbero nascondere dei tarocchi.

Un esempio lampante è l'agenzia di stampa Reuters.

La vera pulizia etnica perpetrata in Medioriente



Probabilmente Israele è il meno efficiente artefice di “pulizia etnica” della storia dell’umanità, nonostante quel che dice la propaganda avversaria.

Nel 1947 vivevano nella Palestina sotto Mandato Britannico circa 740.000 arabi palestinesi. Oggi gli arabi che vivono in Cisgiordania e striscia di Gaza più gli arabi che sono cittadini israeliani ammontano a più di cinque milioni (in tutto, nel mondo,sono più di nove milioni le persone che si definiscono palestinesi). Da un semplice calcolo emerge che il tasso di crescita della popolazione palestinese è stato quasi il doppio di quello in Africa e in Asia in un analogo lasso di tempo.

Il croato Drazen Petrovic definiva la “pulizia etnica” come “una ben precisa politica di un particolare gruppo di persone intesa ad eliminare sistematicamente la presenza di un altro gruppo da un dato territorio”. Sulla base di questa definizione, il lungo conflitto arabo-israeliano ha visto la realizzazione di una sola, vera pulizia etnica: quella degli ebrei che vivevano da secoli in Asia e nord Africa. Mentre, prima del 1948, c’erano quasi 900.000 ebrei che vivevano in terre a maggioranza araba, nel 2001 ne rimanevano non più di 6.500.

Coloro che sostengono che Israele avrebbe perpetrato una pulizia etnica a danno degli arabi non sono in grado di citare una sola ordinanza o disposizione in questo senso. La pulizia etnica degli ebrei dalle terre arabe, invece, fu una politica ufficiale di stato.

Voglia di emulare la Freedom Flotilla


Se c'è qualcosa in cui la missione Freedom Flotilla è riuscita, oltre a isolare Israele nello scenario internazionale, sicuramente è nel dare lo spunto ai nemici, storici e non, di minacciare in modo differente e "originale" lo Stato ebraico.

Il primo è stato Erdogan, il Presidente turco.

Freedom Flotilla: proviamo a capire cosa è successo veramente

A distanza di giorni continua il martellamento incrociato di media e politica nei confronti dello Stato di Israele per la nota questione dell'abbordaggio della Mavi Marmara, la nave di attivisti pro-palestinesi che voleva forzare il blocco navale su Gaza attraverso la missione Freedom Flotilla. In particolare i media italiani insistono nel ritrarre la vicenda come un errore madornale e inspiegabile dell'esercito israeliano che ha provocato l'isolamento dello Stato ebraico dalla Comunità Internazionale. Quasi ad intendere che sia normale una simile reazione degli altri paesi.

Anche se tutti sembrano concordare nel pretendere maggiore chiarezza e, come è giusto, un'inchiesta obiettiva da parte di una commissione indipendente per far comprendere a tutti cosa effettivamente sia successo a bordo della Mavi Marmara, in realtà cosa sia accaduto sembra già abbastanza chiaro. Questo grazie soprattutto ai video rilasciati dall'IDF attraverso il suo canale YouTube.

Ma andiamo con ordine. Cerchiamo di non fermarci alle apparenze e di indagare a fondo, non lo si potrà fare in due parole ma è necessario per avere un quadro veramente chiaro della vicenda. Cerchiamo innanzitutto di ricostruire i vari fatti antecedenti la tragedia.


La missione
In cosa consisteva l'operazione Freedom Flotilla? Il suo scopo, riconosciuto dagli stessi suoi promotori e sostenitori, era rompere il blocco del traffico marittimo verso Gaza, imposto da Israele, importando via mare degli aiuti umanitari destinati alla popolazione palestinese "ridotta allo stremo". Non dimentichiamo che questo blocco navale, sostenuto peraltro anche dall'Egitto, non solo è come una sorta di sanzione economica per tentare di indurre l'organizzazione di Hamas a scendere a patti con il governo di Gerusalemme (che tutt'ora non riconosce), ma ha anche l'obiettivo di rafforzare i controlli sulle merci che giungono nei territori palestinesi, dietro le quali spesso si nascondono anche armi.

Principale promotrice della missione era l'organizzazione non governativa turca IHH, che secondo alcune fonti affidabili avrebbe anche dei legami con la stessa organizzazione di Hamas. Per capire più nel dettaglio chi fosse a bordo della nave guardate questo interessante servizio andato in onda sulla TV pubblica tedesca dopo i tragici eventi. Il video è sottotitolato in italiano.

Al minuto 3:01 di questo video si faceva riferimento al leader dell’IHH Bulent Yildrim. Ecco a voi il suo discorso all’equipaggio della Mavi Marmara registrato il 30 maggio 2010, cioè il giorno precedente all’intervento dell’esercito israeliano. Il video è stato diffuso dal ministero degli affari esteri israeliano. Credo che ogni commento sia superfluo.

Dunque, i sospetti e la pretesa delle autorità israeliane di controllare il carico contenuto dalle navi della Freedom Flotilla non erano campati in aria, anzi. Si trattava semplicemente di far rispettare le regole: la nave, anziché arrivare direttamente a Gaza sarebbe dovuta prima passare al porto di Ashdod dove sarebbe stata sottoposta ad un controllo; in seguito, il carico di viveri e medicinali contenuto nelle navi sarebbe stato trasportato via terra a Gaza e consegnato alle autorità locali per darle alla popolazione. Come d’altra parte già avviene da tempo.

Ma evidentemente lo scopo degli attivisti sin da principio non era semplicemente quello di aiutare la popolazione di Gaza. Il senso della loro "missione" era più che altro politico. Ulteriore prova di ciò è il fatto che anche dopo la partenza delle navi il governo di Israele ha provato ad intavolare delle trattative, proponendo dei compromessi, invano: d'altronde si trattava semplicemente di controllare il carico trasportato dalla nave, per una semplice questione di garanzia. Ma la missione avrebbe in questo modo perso il suo senso, dato che il suo reale obiettivo principale era proprio quello di rompere il blocco marittimo: non interessavano le motivazioni fornite dalle autorità israeliane per giustificarlo, il blocco era considerato illegale ed illegittimo, senza se e senza ma. L’intera missione dunque era una provocazione, che in molti già si domandavano in quale modo sarebbe stata affrontata dalle autorità israeliane.


Gilad Shalit
C’è un’ulteriore prova del carattere più politico che umanitario della missione Freedom Flotilla: i genitori di Gilad Shalit, il caporale israeliano rapito e tuttora tenuto in ostaggio da Hamas da circa quattro anni, hanno chiesto ai partecipanti della missione, in quanto “pacifisti”, di consegnare una lettera e un pacchetto al figlio (che non può neppure ricevere le visite della Croce Rossa). Gli "umanitari" hanno respinto la richiesta. Il che dovrebbe rendere ben chiaro quanto questi “pacifisti” avevano a cuore il rispetto per i diritti umani, malgrado l'operazione che si accingevano a compiere.


L'abbordaggio
Il 31 maggio accade l'irreparabile. Le sei navi della "Freedom Flotilla" vengono intercettate in acque internazionali e l'esercito israeliano intima loro di fermarsi e di dirigersi verso il porto di Ashdod, come da prassi. Il video riportato qui sotto, rilasciato dall'IDF, ne è la prova.

Dopo diversi tentativi di avvertimento è stata registrata una risposta dell’equipaggio della Mavi Marmara che si commenta da sola: “zitti, tornatevene ad Auschwitz”. Almeno stando a quanto riportato da questa registrazione audio, rilasciata sempre dall'IDF.


Il video qui sopra riporta solo un riassunto della comunicazione via radio tra l’IDF e l’equipaggio delle navi. Per completezza, qui di seguito trovate la registrazione audio integrale. Per ulteriori chiarimenti a riguardo cliccate qui.
A quanto pare, a questo punto l'equipaggio della Mavi Marmara, una delle sei navi degli attivisti, spara dei colpi di arma da fuoco verso l'esercito israeliano. E’ da tener conto che per le altre navi della Freedom Flotilla non è accaduto nulla di simile, solo per la Mavi Marmara. Il video che abbiamo a disposizione, rilasciato dall’IDF su YouTube, non mostra evidentemente gli spari, ma i soldati che danno l'allarme.

Quando una barca dell'esercito israeliano prova ad avvicinarsi alla Mavi Marmara questi reagiscono lanciando una granata stordente e altri oggetti contundenti. Alla faccia del pacifismo e del dialogo! Per chi non lo sapesse, il diritto marittimo internazionale prevede anche la possibilità per una nave di un paese di ispezionare altre navi di altre nazionalità in acque internazionali, ovviamente se sussistono alcune condizioni ben precise.
In particolare, su Wikipedia leggiamo:

Ogni Stato esercita in via esclusiva la giurisdizione sulle proprie navi, ma in alcuni casi uno Stato può esercitare la propria giurisdizione su navi straniere in navigazione nelle acque internazionali:

  • lo Stato può fermare e abbordare navi straniere al fine di accertarne la nazionalità, o per verificare che la nave non compia atti di pirateria, di commercio di schiavi o altre attività illecite stabilite dall'articolo 110 Convenzione di Montego Bay; tuttavia, se il sospetto sull'attività svolta dalla nave o sulla sua nazionalità si rivela infondato, lo Stato che ha proceduto all'abbordaggio deve risarcire i danni e le perdite provocate;
  • ogni Stato può catturare qualsiasi nave, mercantile o da guerra, impegnata in atti di pirateria o di commercio di schiavi, ed esercitare la propria giurisdizione penale sull'equipaggio;
  • ogni Stato può inseguire e catturare navi sospettate di aver violato le proprie leggi nelle sue acque interne, nel suo mare territoriale o nella sua zona contigua, nei modi stabiliti dall'articolo 111 Convenzione di Montego Bay
A parte queste ipotesi, uno Stato non può fermare o abbordare navi battenti bandiera straniera; inoltre, ogni qual volta si esercitano operazioni coercitive su navi straniere, l'uso della forza può avvenire solo in ultima istanza e in misura ragionevole sulla base delle circostanze del caso.
Dunque la pretesa dei soldati israeliani di salire a bordo delle navi di Freedom Flotilla non sembra affatto campata in aria, ma basata sulla normativa internazionale, almeno stando a quanto scritto su Wikipedia. Poi ovviamente starà a chi di dovere giudicare il caso specifico in base al codice marittimo, però non si può nemmeno dire che la marina israeliana abbia fatto una cosa fuori dal mondo. Il video qui sotto invece testimonia l'accoglienza dei cosiddetti "pacifisti" appena gli israeliani si avvicinano alla nave con le loro imbarcazioni.

Nel frattempo, altri manifestanti si preparano ad accogliere a bordo della nave i soldati israeliani con bastoni e bottiglie rotte. Guardate cosa accade attraverso l’occhio delle telecamere interne alla Mavi Marmara.


A questo punto i soldati dell'IDF (Israeli Defence Force) si calano dagli elicotteri a bordo della nave: non appena toccano il pavimento vengono letteralmente assaliti dai "pacifisti" con spranghe, ma anche coltelli. Il video riportato qui sotto riprende la scena dall’alto.


Ecco più o meno la stessa scena ripresa da un'altra angolazione (più ravvicinata). Si vede anche un soldato scaraventato oltre la ringhiera verso il piano di sotto della nave. La furia con cui i "pacifisti" picchiano i soldati è assurda: considerando poi che erano quasi 600 persone è chiaro che, nonostante i soldati fossero meglio addestrati ed equipaggiati (anche se da queste immagini sembra che i primi a mettere piede sulla nave fossero disarmati, a quanto pare avevano solo fucili con proiettili di gomma) erano stati comunque colti di sorpresa e hanno rischiato grosso per la loro vita.

Il risultato di tutto ciò è quello che tutti conosciamo: 9 attivisti pro-palestinesi morti. Inizialmente se ne vociferavano circa venti, ma poi il bilancio fu confermato.

Certo, da questi video appare veramente difficile credere che i soldati israeliani abbiano deliberatamente ucciso i militanti di Freedom Flotilla come i media sembrano voler suggerire: anzi, pare più che i disordini siano avvenuti a causa della violenza premeditata degli attivisti a bordo della nave, ma anche da una grave sottovalutazione del pericolo da parte dei soldati dell'IDF: possibile che questi non si aspettassero una simile reazione da parte dell’equipaggio? Possibile che si siano calati come polli sulla nave e si siano fatti prendere a legnate in faccia? Ecco tutto l'armamentario ritrovato sulle navi di Freedom Flotilla una volta trasportate ad Ashdod.


Osservazioni finali
Violenze degli attivisti a parte, non si può negare che l'esercito israeliano abbia gestito male la situazione: come ha potuto farsi cogliere impreparato, a tal punto da mandare i soldati a bordo delle navi completamente disarmati o, nella migliore delle ipotesi, armati insufficientemente? Nei video si vedono chiaramente i soldati salire sulle imbarcazioni praticamente all’avanscoperta, per essere subito presi a sprangate dai cosiddetti “pacifisti”: ok, ci sono le leggi internazionali che prevedono un certo comportamento, ma è possibile che non fossero preparati all'agguato? Probabilmente è stato un difetto di intelligence: normalmente è possibile prevedere certe cose.

Ad ogni modo comunque, non bisogna escludere nemmeno l'ipotesi secondo cui in realtà tutti questi video potrebbero benissimo anche essere dei falsi: appare alquanto improbabile, essendo rilasciati direttamente dall'Israeli Defence Force, che comunque è un ente ufficiale di Stato ed è, di conseguenza, nell'occhio del ciclone; se si scoprisse che anche uno solo di questi documenti è stato taroccato ne nascerebbe uno scandalo senza fine e lo stesso ufficio stampa dell'esercito perderebbe qualsiasi credibilità.
Più plausibile pensare che le autorità israeliane siano in possesso anche di altri video più compromettenti per i soldati che non sono mai stati rilasciati. Ovviamente, se ci sarà una inchiesta tutti gli elementi saranno supervisionati, si spera, da una commissione indipendente e imparziale. Solo il tempo potrà darci risposte certe su questo.

Ma nonostante tutto ciò, da tutti questi video e dalle informazioni trapelate già finora si capisce benissimo che per giudicare correttamente questo episodio non ci si deve ridurre a guardare con occhi miopi il bilancio delle vittime. “L’esercito israeliano attacca una nave di pacifisti: nove morti tra gli attivisti e nessuno tra i soldati”: la notizia, data in questo modo, non spiega affatto come sono andate le cose, benché guardando la tv o leggendo i giornali i torti sembrino tutti da parte israeliana.

In realtà bisogna tenere conto di tutto il contesto: della necessità dell'esercito di controllare ciò che entra a Gaza, per l'incolumità della sua popolazione (il passato purtroppo insegna); che lo scopo, nemmeno troppo celato, degli attivisti consisteva proprio nel provocare; che i “pacifisti” (o presunti tali), benchè predichino la pace a parole, sulla Mavi Marmara non si sono affatto risparmiati in quanto a violenza; ma soprattutto, che quelli a bordo della Mavi Marmara non erano semplici “pacifisti” ma veri e propri attivisti estremisti. Ovviamente i dettagli sulla vicenda non finiranno di arrivare: sicuramente ci saranno nuove testimonianze (vere o presunte tali) che si succederanno, nuovi sviluppi che andranno verificati e che potranno forse fornirci dettagli più significativi riguardo l'accaduto.

Ad ogni modo pare difficile che gli stessi attivisti della nave non si aspettassero un epilogo così tragico considerando lo scopo che si erano prefissati. Non a voler giustificare l'accaduto (i morti non si giustificano mai), ma non potevano non prevederlo, anche considerando l'accoglienza che avevano preparato.
Ma alla fine, forse, bilancio delle vittime a parte, hanno ottenuto proprio ciò che volevano: oggi Israele infatti sembra uno Stato ancora più solo.

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