Antisionismo e antisemitismo: la sottile linea rossa

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"Io sono antisionista, non antisemita". Quante volte vi sarà capitato di sentire o leggere questa frase in una discussione, o magari la avete pronunciata voi stessi, sul web o dal vivo. "Io non sono antisemita, io semplicemente critico la politica israeliana nei confronti dei palestinesi", ecco un'altra frase ricorrente.

Il diritto di critica ovviamente, non c'è bisogno neppure di precisarlo, è sacrosanto: nella stessa Israele, come in qualsiasi altro paese democratico, i governi sono da sempre appoggiati o criticati in ciò che fanno in base alle opinioni dei singoli, eppure non sempre chi critica si autodefinisce antisionista. La domanda allora sorge spontanea: qual è la differenza tra critica e antisionismo? Ma soprattutto, è lecito autodefinirsi antisionisti pretendendo di non essere tacciati per questo di antisemitismo? Per spiegarlo non basteranno quattro parole, ma occorre fare un ragionamento articolato. Vediamo di fare un po' di chiarezza.


Essere antisionista
Per arrivare ad una risposta a queste domande ovviamente dobbiamo sapere cosa sia il Sionismo. Probabilmente la maggior parte di voi già lo sa, ma molti si definiscono antisionisti ignorando il vero senso della parola. Il Sionismo (da "Sion", l'antico nome di Gerusalemme) è il movimento fondato da Theodore Herzl che si prefiggeva l'obiettivo di fondare uno Stato per gli ebrei. Questo movimento nacque intorno alla fine del XIX secolo con l'aumento dell'antisemitismo in Europa in seguito all'Affaire Dreyfus, che diede la convinzione ad Herzl che gli ebrei non avrebbero mai potuto vivere in sicurezza senza un proprio Stato. Questa convinzione, oltre che ad essere basata sull'appena citato aumento dell'antisemitismo in Europa, poteva trovare ulteriori conferme dalle tante persecuzioni e leggi discriminatorie di cui gli ebrei erano stati da sempre vittime nei secoli passati. Quale modo migliore, dunque, per tutelarli in maniera definitiva se non con uno Stato appositamente per loro?

Con la nascita di Israele, avvenuta nel 1948, il Sionismo di fatto è diventato il movimento ideologico a difesa del diritto all'esistenza dello Stato ebraico.

L’antisionista è dunque la persona critica contro il governo israeliano? Assolutamente no. Chi si autodefinisce antisionista di fatto è contrario al riconoscimento di una nazione per gli ebrei. Non ci sono mezze misure, perché essere antisionisti significa essere contro il Sionismo. Chi si definisce antisionista solo per rivendicare il proprio diritto di critica alla politica israeliana significa che non ha capito il vero significato del termine.

Occorre comunque fare qualche precisazione. Perché si dovrebbe essere contrari? Perché gli ebrei non dovrebbero avere uno Stato loro? Le risposte possono essere principalmente tre: 1) perché sono loro in particolare a non dovere avere uno Stato per una qualche ragione ignota (solitamente basata sul pregiudizio e, dunque, su un odio nei loro confronti, ma a volte motivata addirittura da una interpretazione “estrema” dell’ebraismo, ma questo è tutto un altro discorso che meriterebbe uno studio a parte); 2) perché hanno fondato Israele su un territorio non loro, ma sulla terra di altri; 3) perché, in senso ideale, non dovrebbe esistere uno Stato "dedicato" ai fedeli di una sola religione.

Nella prima ipotesi il discorso è semplicemente discriminatorio e facilmente riconoscibile; nella seconda si basa su un presupposto quantomeno semplicistico, superficiale e discutibile (che merita un approfondimento a parte); nella terza ipotesi invece occorre un ragionamento più profondo per capire cosa effettivamente significhi. Ed è questa che andiamo ora ad approfondire.


Ebrei: religione o popolo?
Gli ebrei sono innanzitutto una religione, ma di fatto sono anche un popolo, una nazione. Essere una nazione significa avere un'identità comune e una lingua comune: cosa accomuna un ebreo etiope ad uno russo? Un ebreo italiano ad uno americano? Niente, se non la fede nello stesso D-o e, dunque, le stesse regole, le stesse usanze religiose da seguire e lo stesso testo sacro fondamentale come riferimento (che è in ebraico).

Dunque gli ebrei sono sì un popolo, ma la loro identità comune è la religione. Una condizione che non ha eguali, che non può essere paragonata a nessun'altra. Creare uno Stato che sia "ebraico" allora cosa significa? Significa creare uno Stato che sia, per principio, "dedicato" ai fedeli di una sola religione. Uno Stato un po' atipico dunque, senza eguali nel mondo, come l’ebraismo appunto.


Israele, Stato atipico
Qualcuno potrebbe fare l'errore di paragonare Israele ad altri Stati del mondo con maggioranze religiose diverse: come a dire "l'Italia è uno Stato a maggioranza cattolica, l'Iran a maggioranza mussulmana e così via, perché uno Stato a maggioranza ebraica non avrebbe diritto ad esistere?"

In realtà qualsiasi paragone non è proprio attinente, perché Israele non è un paese semplicemente "a maggioranza ebraica" ma uno Stato che fa della sua "ebraicità" la propria ragione di vita, appunto perché nato per dare una patria agli ebrei di tutto il mondo che potesse "tutelarli" in qualche modo da rigurgiti di antisemitismo. Lo si capisce dalla dichiarazione di indipendenza pronunciata da David Ben Gurion il 14 maggio 1948: Israele è nato innanzitutto come Stato ebraico (come lo definisce più volte), dunque in teoria come Stato degli ebrei di tutto il mondo ancor prima che dei suoi cittadini che lo abitano. Una sorta di paradosso dunque. Non per fare un paragone improprio, ma nemmeno uno Stato teocratico come l'Iran "nasce" per una religione in particolare, ma è semplicemente un paese a maggioranza islamica con al potere un regime integralista.

Ecco, dunque, a cosa sono contrarie alcune delle persone che si autodefiniscono "antisioniste" e che non accettano l’esistenza di Israele: sono contrarie ad uno Stato che ha questi presupposti, perché li trovano per principio antidemocratici, in quanto non mettono tutti i cittadini sullo stesso piano.

Alla luce di tutte queste considerazioni, essere antisionisti, dunque, può essere considerato accettabile? Israele può essere messo alla stregua di paesi come l'Iran? Procediamo con calma.


Israele, Stato di tutti i suoi cittadini nei fatti
La domanda a questo punto sorge spontanea: in termini di pura teoria, allora è vero che Israele è uno Stato che sarebbe giusto che "sparisse"? Non in senso "fisico", ma che "sparisse" nel senso di cambiare radicalmente forma e diventare uno Stato non ebraico per principio?

La risposta non può che essere negativa. Perché alcuni semplici motivi: innanzitutto perché nella fattispecie Israele, pur essendo lo Stato ebraico, fino a prova contraria è lo Stato dei suoi cittadini, che siano ebrei, cristiani, arabi, drusi e via discorrendo.

Anche formalmente è lo stesso Ben Gurion che nel suo discorso di proclamazione dell’indipendenza ha detto chiaramente:

Lo Stato d’Israele […] assicurerà completa uguaglianza di diritti sociali e politici a tutti i suoi abitanti senza distinzione di religione, razza o sesso, garantirà libertà di religione, di coscienza, di lingua, di istruzione e di cultura, preserverà i luoghi santi di tutte le religioni […]

Quindi si può dire che in linea di principio non esiste alcuna differenza tra ebrei e minoranze religiose all’interno di Israele. Anche se è uno Stato ebraico.

Ma allora come si traduce l’ebraicità di Israele in atti pratici? Semplice, attraverso la nazionalizzazione delle feste e di alcune usanze dettate dalla Torah e attraverso l’incitamento continuo all’immigrazione di altri ebrei dal resto del mondo. Giusto per una questione di identità ebraica, ma non per mettere gli ebrei su un gradino superiore rispetto alle minoranze.

Con questo tuttavia non si intende dire che poi nella “pratica” i cittadini israeliani siano tutti perfettamente uguali sotto il punto di vista delle opportunità, nonostante le parole di Ben Gurion: sarebbe sciocco negare l’evidenza. Per esempio, gli arabi israeliani sono spesso economicamente più disagiati e per loro è molto più difficile (se non impossibile) accedere ad alcuni ranghi o unità dell’esercito. Però niente di scandaloso se pensiamo che non si tratta di differenze in qualche modo “legalizzate” o riconducibili all’ebraicità di Israele: basti pensare che anche qui in Italia, come più o meno in tutti i paesi, le differenze sociali tra etnie esistono e ci sono i medesimi problemi. Si tratta semplicemente di combattere il pregiudizio insito tra cittadini: un po’ come accade anche da noi ancora oggi, figuriamoci lì, dove la guerra non è praticamente mai cessata da più di 60 anni. Occorrerà del tempo per ottenere maggiore equità sociale, da noi come in Israele.

Eppure nessuno si sogna di mettere in dubbio “l'esistenza” dell’Italia, ma di Israele sì. Solo perché Stato ebraico? Ovvio poi che se si considera razzista lo stesso ebraismo allora è un altro discorso: considerarlo tale significa averne una conoscenza errata o basata su pregiudizi; basta studiarlo a fondo per rendersene conto (approfondiremo gli stereotipi contro l’ebraismo in una sezione apposita), ma un simile punto di vista già si commenta da solo per il suo essere discriminatorio.

Perché allora essere contrari al principio di ”ebraicità” di israele se questa non pregiudica l’uguaglianza tra i cittadini in senso assoluto, ma serve solo come garanzia per salvaguardare gli ebrei dall’antisemitismo? Di fatto non c'è nessun motivo valido.


Se non fosse uno Stato ebraico… Israele a che servirebbe?
Proviamo per assurdo ad immaginare che Israele si “trasformi” naturalmente in uno Stato “normale”, alla stregua di Francia e Inghilterra. Si otterrebbe uno Stato qualsiasi, che come gli altri non garantirebbe un “rifugio” agli ebrei dall’antisemitismo. In pratica non farebbe alcuna differenza per gli ebrei vivere in Israele o vivere in Italia, Inghilterra o Francia. Di conseguenza la sua fondazione sarebbe stata praticamente inutile per i fini stessi che si proponeva il Sionismo.

E non si può neppure considerare campata in aria la pretesa di difendersi dall’antisemitismo: alcuni antisionisti arrivano addirittura a negare che questo effettivamente esista, imputandolo ad una specie di “psicosi” da persecuzione collettiva degli ebrei. A prescindere dal fatto che questa è una generalizzazione bella e buona (e la generalizzazione è tipica della gente razzista), ma poi non prendiamoci in giro: non solo è sempre esistito e la storia lo dimostra, ma esiste ancora oggi e negarlo significa negare l’evidenza! Basta leggere i fatti di cronaca recente per capirlo, ma anche capire che se nella storia è sempre esistito non c’è motivo per pensare che un giorno possa sparire del tutto.

Senza un loro Stato gli ebrei non avrebbero alcuna garanzia di sicurezza: può bastare qualsiasi pretesto per dare alla gente la motivazione di discriminare gli ebrei. La storia purtroppo insegna.

Negare il diritto all’esistenza di Israele, di fatto, significa negare il diritto degli ebrei alla garanzia di una convivenza “alla pari” con gli altri popoli. Oltre che negare il loro diritto all’autodeterminazione, che dovrebbe essere sacrosanto per qualsiasi popolo sulla Terra: curioso che per garantirlo agli arabi palestinesi si tenti di negarlo ad un altro popolo, quello ebraico. Non si chiama discriminazione questa?

Alla luce di tutto ciò, è chiaro che una persona che nega il diritto all’esistenza di uno Stato ebraico nega anche, nei fatti, il diritto alla sicurezza e alla tranquillità degli ebrei: e una persona che di fatto nega loro questi diritti fondamentali non può essere considerata di fatto antisemita, anche inconsapevole? Il confine è molto sottile.

In questo senso, le parole pronunciate da Giorgio Napolitano in occasione del Giorno della memoria di qualche anno fa risultano le più efficaci in assoluto:

Dobbiamo combattere [...] ogni rigurgito di antisemitismo. Anche quando esso si travesta da antisionismo: perché antisionismo significa negazione della fonte ispiratrice dello stato ebraico, delle ragioni della sua nascita ieri, e della sua sicurezza oggi, al di là dei governi che si alternano nella guida di Israele.

Criticare è lecito: ma fino a che punto?
Proprio le parole di Napolitano ci danno lo spunto per un altra riflessione: se il diritto di critica, come già detto, è sacrosanto fino a che punto questa può spingersi per non essere tacciata di antisionismo?

La risposta è semplice: basta che questa non metta in dubbio in qualche modo il diritto all’esistenza dello Stato di Israele. Per i motivi esposti in precedenza, ma anche perché una simile critica non potrebbe mai pretendere di essere costruttiva per il raggiungimento di una pace ed un benessere veri in Medioriente: muoviamo critiche, motivandole, alle decisioni del governo, alla politica interna, a quella estera, denunciamo le diseguaglianze e le ingiustizie sociali, un po’ come facciamo con il nostro paese. Ma non pretendiamo di criticare l’essenza stessa di Israele, perché quella non si può cambiare con una semplice decisione. Non può esserci un governo che decida di punto in bianco di “smantellare” lo Stato ebraico: non esiste una cosa del genere, anche volendola.

Se una persona pretende la scomparsa di Israele oggi deve mettersi in testa che questo oggi non è ragionevolmente possibile, dunque a cosa serve muovere critiche in tal senso?

L’unico modo reale per far sparire lo Stato ebraico? Forse con una guerra. Ma se è questo che si vuole non si può pretendere certo che le “critiche” vengano accettate a cuor leggero da parte israeliana, né di avere la presunzione di stare perseguendo la pace. Chiamiamo le cose con il loro nome allora: l’antisionismo è una discriminazione bella e buona. Ai limiti dell’antisemitismo, se non antisemitismo ben camuffato.