di Valeria Pannuti
Una nave libica per Gaza in nome dei ”valori umanitari e morali”. Proprio di recente l’ultimo rapporto di Amnesty International ha tracciato un quadro assai fosco dei diritti umani in Libia. E la Libia e’ anche nella lista nera di Human Rights Watch, tra i paesi che compiono abusi e sopraffazioni.
Roma, 10 Luglio 2010 – Non ha firmato la Convenzione di Ginevra per i rifugiati, ma vuole mandare una nave di aiuti a Gaza. E’ ancora forte l’eco delle condanne per il trattamento disumano riservato a oltre 200 rifugiati eritrei, maltrattati e torturati in un centro di detenzione, e la Libia di Gheddafi annuncia una missione ”umanitaria”. Una iniziativa con “intenti provocatori”, quella libica, aveva commentato l’ambasciatrice di Israele Gabriela Shalev, in un incontro con il Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon.
L’annuncio dell’intenzione di far partire la nave con aiuti dalla Grecia, un cargo battente bandiera moldava, era stato dato dalla fondazione guidata da Seif Al-Islam Gheddafi, il figlio del leader libico Muhammar Gheddafi. Israele aveva chiesto alle Nazioni Unite di intervenire. Secondo quanto riporta il sito web del quotidiano Haaretz, l’ambasciatrice di Israele al Palazzo di Vetro, Gabriela Shalev, aveva inviato una lettera al segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, per chiedere “alla comunità internazionale di esercitare la sua influenza sul governo libico, affinché’ questo dimostri la sua responsabilità”, impedendo e impedisca la partenza della nave verso la Striscia di Gaza.
Qualora l’impegno diplomatico di bloccare la nave non avesse avuto effetto, l'unità d’elite della marina militare avrebbe intercettato l’imbarcazione, per condurla verso il porto israeliano di Ashdod, a sud di Tel Aviv. Secondo Israele, gli aiuti possono essere inoltrati a Gaza via terra, senza forzare il blocco marino. Un blocco che, ribadisce Israele, resta necessario per impedire possibili forniture di armi ad Hamas, che controlla la Striscia di Gaza, ed e’ elencata nelle organizzazioni terroristiche da vari stati, compresa l’Unione Europea.
L’iniziativa della nave libica, spiega in una nota la Fondazione Gheddafi, e’ “puramente umanitaria, espressione di solidarieta’ e di rifiuto delle pratiche di occupazione, della politica di sottomissione delle persone alla fame, dell’ignoranza del diritto internazionale e di tutti i valori umanitari e morali, pratiche frutto di politiche basate sull’ostilità”‘. Un afflato umanitario che però la Libia non si sente di promuovere ne’ per i suoi stessi cittadini, ne’ per i rifugliati.
L’iniziativa libica arriva infatti a pochi giorni dalla violazione dei più elementari diritti umani perpetrata dalle autorità libiche nei confronti degli oltre 200 rifugiati eritrei. Ancora e’ viva la disperazione delle voci dall’inferno dal deserto libico: “Ci torturano, ci insultano, ci picchiano”. Sms e telefonate che documentano l’orrore. Donne e bambini tenuti peggio in container infuocati. “Posso dire che la maggioranza delle donne ha raccontato di essere stata fatta oggetto di violenza”, aveva detto ai microfoni di CNRmedia Massimo Barra, presidente della Commissione Permanente della Croce Rossa e Mezzaluna Rossa Internazionale.
Anche secondo i numerosi rapporti ricevuti dal commissario ai diritti umani del Consiglio d’Europa Hammarberg , “il gruppo sarebbe stato sottoposto a maltrattamenti da parte della polizia libica, e molte delle persone detenute sarebbero rimaste gravemente ferite”. Dopo le forti pressioni internazionali, è arrivato un “Accordo di liberazione e residenza in cambio di lavoro”.
Ma rischierebbero i lavori forzati i rifugiati eritrei secondo l’opinione del giurista Fulvio Vassallo Paleologo dell’università di Palermo. ”L’accordo di liberazione e residenza in cambio di lavoro” annunciato dal ministro della Pubblica Sicurezza libico, il generale Younis Al Obedi, che prevede ” lavoro socialmente utile in diverse shabie (comuni) della Libia” nasconde, secondo Paleologo, una forma diversa di detenzione nei campi di lavoro libici. Paleologo denuncia che ” una parte soltanto dei detenuti di Sebha ha accettato” e che questa condizione ”non permettera’ loro alcuna libertà di circolazione, come spetterebbe a qualunque titolare del diritto di asilo, e li consegnerà ad una rigida catena gerarchica che esigera’ da loro un vero e proprio lavoro forzato”.
Un episodio, quello degli eritrei, che si e’ verificato in un consolidato contesto di violazione dei diritti umani. Proprio di recente l’ultimo rapporto di Amnesty International, ha tracciato un quadro assai fosco dei diritti umani in Libia.
E la Libia, e’ anche nella lista nera di Human Rights Watch, tra i paesi che compiono abusi e sopraffazioni. E’ alla luce di questa latitanza sul rispetto dei diritti umani più elementari all’interno dei propri confini, che l’organizzazione di una nave ”umanitaria” libica assume il tono di una provocazione.
“La libertà di espressione, di associazione e di riunione ha continuato a essere gravemente limitata”, dice il rapporto di Amnesty International. Che denuncia punizioni nei confronti di coloro che hanno criticato l’atteggiamento del governo in materia di diritti umani. dissidenti detenuti che non hanno diritto ad un avvocato. Per non parlare delle centinaia di casi di sparizioni irrisolte. In un regime dove, oltretutto, regna l'impunità per i responsabili degli abusi.
“Cittadini stranieri sospettati di soggiornare illegalmente nel paese, compresi rifugiati e richiedenti asilo, sono stati detenuti e maltrattati”, continua il rapporto. La repressione del dissenso è all’ordine del giorno, così come la discriminazione contro le donne. Molti i reati, infine, per cui si prevede la pena di morte, “compreso il pacifico esercizio del diritto alla libertà di espressione e di associazione”.
Fonte: Rai News