Il Talmud non è un’opera unitaria ma è una raccolta di detti di molti Maestri diversi, esposti nel corso di varie generazioni, quasi sempre in contrasto l’uno con l’altro. E' un testo religioso, giuridico, scientifico, filosofico, letterario, esegetico, omiletico. E’ talmente vasto che non a caso viene chiamato il “mare”
Cos’è il Talmud? E’ l’anima del popolo ebraico. E’ la sua essenza, è il fondamento della sua esistenza. Gli ebrei sono ebrei grazie al Talmud. Sono nati con la Torà (e il resto della bibbia), ma sono cresciuti e sono diventati quello che sono con il Talmud. Eppure, il Talmud non è un’entità separata e avulsa dalla Torà, tutt’altro. Il Talmud, una parola che significa “studio”, è infatti lo studio della Torà. Il testo scritto, come è per definizione la Torà, deve necessariamente essere accompagnato da una tradizione orale che indirizzi e determini come il testo va capito, interpretato, applicato. E poiché gli ebrei sono tanti, e notoriamente hanno opinioni diverse gli uni dagli altri, hanno da sempre discusso su quale debba essere l’interpretazione esatta di una norma o di un verso della Torà. Il Talmud è l’elaborazione della “registrazione” di queste discussioni nelle yeshivòt (accademie), protrattesi per circa cinque secoli e messe infine per scritto in due fasi: la prima con la Mishnà, che rabbi Yehudà Hanasì redasse alla fine del II secolo; la seconda, due-tre secoli più tardi, con la Ghemarà (un termine aramaico che significa anch’esso studio), che raccoglie le discussioni dei maestri sulla Mishnà, diventata essa stessa oggetto di studio. Il Talmud è l’insieme della Mishnà e della Ghemarà e se ne hanno due redazioni distinte, una proveniente dalla terra d’Israele (il Talmud Yerushalmì), l’altra dalla Babilonia (il Talmud Bavlì). Uniti, i due Talmudim ammontano a quasi 30 volumi di dimensioni enciclopediche.
Il Talmud Bavlì è quello più ampio e considerato più autorevole ed è quello maggiormente studiato nelle yeshivoth di tutto il mondo. Il Talmud è un testo religioso, giuridico, scientifico, filosofico, letterario, esegetico, omiletico, ecc. è talmente vasto che non a caso viene chiamato il “mare del Talmud”. E’ difficile trovare un argomento, attuale o meno, che non vi sia affrontato estesamente o almeno per allusioni. Il Talmud è anche un gigantesco inno all’uso della ragione. Moni Ovadia, in L’ebreo che ride (Einaudi), fa un esempio (inventato) di disquisizione talmudica, ripreso recentemente anche da Daniel Vogelman in Le mie migliori barzellette ebraiche (Giuntina) e da Donatella Di Cesare su L’Unione informa del 22 novembre: si tratta dei due spazzacamini che escono dal camino, uno sporco e uno pulito, e ci si domanda quale dei due si andrà a lavare. La banalità dell’esempio non deve trarre in inganno: è la logica, estremamente sottile, quella che conta, ed è illuminante per farci capire cos’è un tipico ragionamento talmudico. Quella che a prima vista sembra essere la conclusione più ragionevole, può venire completamente ribaltata e portarci a conclusioni opposte. L’espressione aramaica è ipcha mistabra (i. m.), “è più ragionevole il contrario”. In un testo sull’evoluzione degli organismi viventi scritto recentemente da due autrici, una delle quali israeliana di origine polacche, presumibilmente erede di una tradizione di studi talmudici nei secoli passati, il termine i. m. è usato nei dialoghi alla fine di ogni capitolo per indicare le opposte argomentazioni che si possono portare a certe conclusioni (Eva Jablonka e Marion Lamb, L’evoluzione in quattro dimensioni, a cura di M. Buiatti, Utet).
Il Talmud è un affresco della vita del popolo ebraico nella terra d’Israele e in Babilonia di 15-20 secoli fa. Una delle storie più famose del Talmud, che è stata recentemente oggetto di un approfondito studio da parte di J. Bali, V. Franzinetti e S. Levi Della Torre (Il forno di Akhnai, Una discussione talmudica sulla catastrofe, Giuntina), ci racconta di una discussione intercorsa fra due grandi maestri, Rabbi Eliezer e Rabbi Yehoshua, su una certa questione rituale. Il primo, per dimostrare la validità della propria tesi, invita un torrente a invertire il proprio corso, e poi un albero di carrube a sradicarsi, spostandosi di centinaia di passi più in là, e le mura della casa di studio a inclinarsi. E tutto ciò miracolosamente accade, a riprova che in alto, nella Yeshivà celeste, sono d’accordo con Rabbi Eliezer. Ma ogni volta che uno di questi miracoli avviene, Rabbi Yehoshua, appoggiato dalla maggioranza degli altri maestri, si alza in piedi e afferma veementemente che fiumi, alberi e mura non hanno niente a che vedere con le discussioni fra studiosi della legge. Alla fine si ode una voce dal cielo che dà esplicitamente e definitivamente ragione a Rabbi Eliezer: allora, con un colpo di scena, Rabbi Yehoshua grida, citando la Torà stessa, “la Torà non sta in cielo” (Deut. 30, 12), ma è stata data agli uomini, i quali non hanno altro mezzo per dirimere una discussione se non il principio di maggioranza. Al che, conclude il Talmud, il Santo Benedetto avrebbe detto, sorridendo: “i miei figli mi hanno sconfitto, i miei figli mi hanno sconfitto” (tb, Bavà Metzi‘à 59b).
Il Talmud non è un’opera unitaria ma è una raccolta di detti di molti maestri diversi, esposti nel corso di varie generazioni, quasi sempre in contrasto l’uno con l’altro. Il modo con cui la discussione procede è quello delle domande e delle risposte, delle obiezioni e dei tentativi di risolvere le difficoltà, a volte riusciti a volte no. Spesso le domande non hanno una risposta conclusiva: le risposte sono meno importanti delle domande. Scrive Rav Adin Steinsaltz, il più grande divulgatore del Talmud dei nostri giorni: “dopo che ha assimilato il testo talmudico, lo studente è tenuto a formulare – a se stesso o ad altri – domande sul materiale studiato, a sollevare dubbi, ad avanzare riserve: e questo è il metodo di studio. Da questo punto di vista il Talmud è forse l’unico libro sacro in qualsiasi cultura al mondo che consente e perfino incoraggia domande e contestazioni da parte di quegli stessi che gli attribuiscono il carattere di santità” (Cos’è il Talmùd, Giuntina, p. 22).
In un famoso racconto, si narra di Rabbi Yochanan, il massimo studioso della sua generazione, che un giorno faceva il bagno nel Giordano e Resh Laqish, il capo (ebreo) della locale banda di briganti, si tuffò con grande vigoria per assalirlo. Rabbi Yochanan, per nulla intimorito, si rivolse a Resh Laqish con queste parole: “dedica la tua forza allo studio della Torà, invece che a depredare le persone!”. E l’altro, cui non mancava la risposta pronta, disse a rabbi Yochanan, noto per la sua bellezza: “e tu concedi la tua bellezza alle donne!” (in altro brano del Talmud si racconta che le donne, all’uscita dal Miqwè, il bagno rituale, si spintonavano per ammirare il bel rabbino, con la speranza di generare figli altrettanto belli.) Il Talmud prosegue con un altro colpo di teatro: Rabbi Yochanan dice a Resh Laqish, evidentemente sensibile al fascino femminile, che se sarà disposto a studiare Torà gli farà conoscere sua sorella, più bella di lui stesso. Resh Laqish accetta, diventando in breve tempo, oltre che cognato, l’allievo e il compagno di studio prediletto di Rabbi Yochanan. Ma la storia non si conclude qui. Anni dopo, quando Resh Laqish morì a causa dell’angoscia per un’offesa ricevuta da Rabbi Yochanan, questi si disperava per aver perso il compagno di studio. Gli altri allievi allora gli mandarono il più brillante fra loro, il quale, a ogni affermazione che Rabbi Yochanan faceva, gli portava a sostegno un insegnamento della Mishnà. Al che rabbi Yochanan sbottò e disse: “credi che io non sappia di aver ragione, che tu debba portare prove a mio favore? E tu vorresti forse essere come Resh Laqish? Quando studiavo con lui, a ogni mia affermazione lui mi replicava con 24 obiezioni e io gliele smontavo tutte! E così la conoscenza aumentava” (tb, Bavà Metzi‘à 84a). E’ la discussione, è la critica che sviluppa la conoscenza. Questo è il Talmud!
DAVID GIANFRANCO DI SEGNI
collegio rabbinico italiano
consiglio nazionale delle ricerche
Fonte: Shalom