Arafat: un bilancio politico

arafat

di Giovanni De Sio Cesari
(articolo scritto poco dopo la morte di Arafat)


Punto di vista e parametri di giudizio
La morte di Arafat è stata seguita da tutto il mondo con generale partecipazione umana per la fine di un uomo che nel bene e nel male aveva per tanto tempo rappresentato tutto un popolo. Come ben raramente è avvenuto nella storia tutto il mondo finiva con l’identificare l’intero popolo palestinese nella sua persona.

La sua vita si è spenta in una asettica clinica straniera: qualche gruppo ebraico mostrava un indecoroso spettacolo di giubilo ma tutto il suo popolo lo ha pianto sinceramente: una folla immensa si è impadronita del suo corpo e come nelle antiche usanze della sua gente, è stato seppellito fra le grida e gli spari come si addice a un eroe, a un grande capo. Per tanti anni è stato uno dei primi attori della scena internazionale (da più tempo di tutti, escluso Castro) ed ora non si sa chi prenderà il suo posto ma si sa pure che nessuno, qualunque sia il successore, riuscirà ad avere il suo carisma e il suo ruolo.

Al di la di ogni comprensibile partecipazione umana ed emotiva noi vogliamo tentare di tracciare un bilancio della sua azione politica: per un discorso rigoroso che non sia semplice effetto di impressioni emotive e preferenze personali, dobbiamo però fissare dei chiari parametri: porre un punto di vista e dei criteri di giudizio

Per il primo punto il discorso ci pare chiaro. La sua azione va vista al punto di vista dell’interesse del suo popolo: non possiamo cioè vedere la sua azione non solo dal punto di vista dei suoi nemici (gli Israeliani) ma nemmeno da quello degli Americani o dell’Unione Sovietica e nemmeno , si badi bene, della sinistra europea che gli è stata sempre favorevole e delle varie correnti e governi arabi con cui non sempre facili sono stati i rapporti. Il punto di vista, ribadiamo deve essere quello del popolo che egli rappresentava e che in lui si riconosceva, non di altri.

Per quanto riguarda i parametri dobbiamo tener presente che vogliamo valutare un uomo politico. non un profeta o un filosofo. La politica è l’arte del possibile, non del giusto in sé. Il politico persegue il miglior bene POSSIBILE (o almeno il minor male possibile) non il bene in sé. La sua azione si valuta “a posteriori” considerando se egli ha visto giusto in un momento in cui il popolo era incerto e confuso sull’andamento del reale processo storico e se quindi ha fatto le scelte giuste .

Possiamo dire che Augusto fu un grande politico perché comprese la giusta formula di governo poi durata per secoli in un momento in cui i Romani erano in disaccordo e incerti . Volendo fare un esempio più vicino quando la Francia si arrendeva e il governo di Vichy collaborava con i nazisti sicuro della loro vittoria, De Gaulle da Londra lanciò la lotta che poi si manifestò vittoriosa. 

Un gran politico non segue passivamente l’ opinione generale ma mostra il cammino da fare.

Pertanto nel caso di Arafat dobbiamo esaminare se, dal punto di vista dei palestinesi, la sua azione si è rivelata “con il senno di poi” utile e proficua.


Rapporto con i palestinesi
Innanzi tutto bisogna porsi il problema del rapporto tra la sua personale azione politica e quella in generale dei Palestinesi . Arafat in effetti si muove su un binario che risulta sempre ambiguo: le azioni spesso più significative furono operate da organizzazioni che agivano in modo autonomo : ciò avvenne nel terrorismo degli anni 70 e avviene ora nella seconda intifada. Tuttavia, pur formalmente dichiarandosi non responsabile, egli tuttavia, proprio perché veniva considerato il rappresentante dell’insieme del popolo palestinese , in realtà, fu sempre considerato responsabile. La sua politica può ricordare quella del nostro Cavour: ad esempio nel caso della spedizione dei Mille poté dirsi formalmente contrario ma poi la aiutò segretamente e potette, a un certo punto, essere tacitamente autorizzato dalla Francia ad accorrere nel sud per svuotare la spedizione garibaldina della sua carica rivoluzionaria. Ma tale particolare gioco diplomatico non riuscì mai ad Arafat che invece fu sempre imputato della responsabilità di tutto quello che facevano i Palestinesi. anche di quello che egli non aveva voluto o aveva contrastato: il fatto è che egli, per troppo tempo, è stato visto all’estero come l’unico interlocutore per tutto il suo popolo. Pertanto noi considereremo l’insieme delle azioni portate avanti dai palestinesi senza considerare analiticamente quanto di esse siano effettivamente riconducibili alla sua persona. Sarebbe questo una distinzione praticamente impossibile data la insormontabile difficoltà di discernere realmente i sottili e aggrovigliati fili che legano i complessi equilibri all’interno del mondo palestinese.

Noteremmo d’altra parte che questa è un po’ una costante della politica araba: credere di potersi muovere nei mille labirinti di sottili furbizie. Si è fatto il paragone a questo proposito fra il suk e il supermercato: l’arabo si muove abilmente nel suk dove ogni attore dice cose diverse da quelle che pensa , che chiede 100 per avere realmente 10. Ma l’Occidentale è abituato al supermercato dove il prezzo è ben chiaro e scritto sulla merce. Non comprende più il gusto e l’abilità della trattativa e getta facilmente all’aria tutta la trattativa se questa gli appare poco chiara, giudica imbroglio quello che per l’arabo è solo abilità negli affari.


Riconoscimento di Israele
Nel 1964 prende la guida del OLP con il fine dichiarato di distruggere lo stato di Israele. In effetti già in quell’anno il fine poteva sembrare irrealistico ma dopo la guerra dei Sei Giorni del 67 apparve a tutti, chiaro ed evidente , che Israele non avrebbe mai potuto essere distrutta. La OLP invece anche dopo il 67 non volle accettare un fatto ormai divenuto inevitabile. Ci sembra questo l’errore fondamentale politico di Arafat: non si tratta di affermare che gli Arabi fossero o meno nel loro diritto o che non avessero subito una storica ingiustizia ma semplicemente constatare che del punto di visto politico ( cioe del “bene possibile”) continuare la lotta per la distruzione di Israele fu un errore politico fatale: dopo tanti anni, tanti lutti, tante tragedie i Palestinesi possono aspirare al massimo a ciò che gia avevano prima del 67 e comunque avrebbero potuto avere, con non molta difficoltà, anche dopo il 67. Intere generazioni di Palestinesi invece sono state nutrite nella speranza (forse giusta ma vana, irrealistica) che un giorno sarebbero tornati nelle terre occupate da Israele la quale si sarebbe dissolta come un brutto sogno al sorgere del sole.


La collocazione politica internazionale
La causa palestinese divenne popolare e fu sempre sostenuta dalla sinistra europea. Fu assimilata alla causa del lotta di liberazione dal colonialismo, alla lotta sociale contro il capitalismo , fu avvicinato al comunismo. In realtà si tratta di assimilazioni del tutto illegittime e fuorvianti. La Palestina non può in nessun modo essere assimilata a una colonia europea come il Congo o l’Angola, la lotta dei feddayn non ha nessuna connotazione anticapitalista: gli arabi non sono il proletariato come gli Israeliani non sono la borghesia. Tanto meno fra i palestinesi hanno mai avuto fortuna correnti marxiste (anche se alcuni terroristi si dichiararono tali). La questione palestinese è del tutto atipica , praticamente non ha riscontro nel resto del mondo perché mai è accaduto nel mondo moderno che un popolo si trasferisse in massa in un territorio non proprio, fondando un proprio stato come hanno fatto gli ebrei di Israele.

Tuttora vedo campeggiare una strana scritta su un muro vicino all'università “W la Palestina Rossa” quasi che gli attentati fossero opera di rivoluzionari comunisti e non di integralisti religiosi che sognano una repubblica islamica in Palestina e non certo il comunismo.

Ma a prescindere ora dalla illegittimità della assimilazione questa scelta di campo è stata negativa per i palestinesi. Ha reso possibile agli Israeliani presentarsi come i rappresentati delle democrazie occidentali, la colonna avanzata della lotta al comunismo. D’altra parte l’Unione Sovietica si è mostrata poi incapace di sostenere realmente gli arabi nella loro lotta. Quindi la collocazione pure posta da Arafat si è rivelata alla prova dei fatti una collocazione nella parte sbagliata.


Il terrorismo
Dopo il 67 per più di un decennio le organizzazioni palestinesi praticarono ampiamente il terrorismo a livello internazionale colpendo in tutto il mondo interessi israeliani ma commisti con essi anche quelli europei e americani e soprattutto uccidendo anche civili del tutto estranei appartenenti a paesi neutrali .

E’ stato detto che comunque questi attentati posero all’attenzione del mondo il problema palestinese che altrimenti sarebbe stato dimenticato

Sarà pure vero che questi fatti misero in primo piano il problema palestinese ma, a nostro parere, in modo del tutto negativo allontanando ogni soluzione positiva per problema stesso. E’ vero che la causa palestinese divenne molto popolare presso i gruppi della sinistra cosi detta antagonista: ogni manifestazione studentesca, ogni contestazione inneggiava alla causa palestinese e i giovani mettevano la kafia palestinese che divenne quasi un simbolo di tutta una generazione. Ma valutiamo la cosa realisticamente da un punto della opportunità politica. La politica estera dei paesi occidentali non era certo guidata dai leaders della contestazione ma dai partiti al governo che si opponevano ad essi (e lo stesso dovevano fare i partiti all’opposizione se volevano candidarsi a partiti di governo). La causa palestinese diveniva quindi ,è vero, mondiale ma dalla parte sbagliata, dalla parte perdente. Si dice che le Brigate Rosse avessero rapporti con i palestinese: noi non crediamo che sia vero ma certamente il fatto che la cosa fosse creduta dimostra come l’opinione pubblica vedesse i Palestinesi nella stessa ottica del terrorismo interno, impopolare e soprattutto perdente. I Palestinese vennero visti come dei pericolosi rivoluzionari non solo in Occidente ma anche nello stesso mondo arabo: non ci sembra che il terrorismo del OLP abbia sortito effetti positivi per il popolo palestinese. D’altra parte lo stesso OLP abbandonò la pratica terrorista rendendosi conto della sua inutilità e dannosità.


Settembre Nero
Dopo il 1967 i è Palestinesi tentarono di fare della Giordania una base per la lotta contro Israele. Essi sottovalutarono la capacità di reazione e le forze del re Hussein. Sfidarono l’autorità costituita credendo di averne facilmente ragione. Ma la legione araba, formata da fedeli di origine beduina, non si lasciarono certo intimidire. Non esitarono un momento a sparare con l’artiglieria pesante contro i quartieri controllati dai palestinesi: nel settembre del 70 ( Settembre Nero) si fini in un bagno di sangue e, ironia della sorte, gli scampati all’eccidio dei Giordani si rifugiarono in Israele. Pure in questo l’azione del Olp fu imprudente, velleitaria e si risolse in un grande danno per la causa palestinese.


Il Libano

Cacciati sanguinosamente dalla Giordania i fedayn si riversarono nel Libano con l’intenzione di fare di essa la nuova base contro Israele. Pure in questo caso il Olp di Arafat commise un grave errore di valutazione. Il loro intervento infatti trascinò il Libano in una lunga e terribile guerra civile. I palestinesi dopo alterne vicende furono ancora una volta sanguinosamente sconfitti: i campi dei palestinesi furono espugnati a cannonate dai miliziani maroniti. Alla fine con l’intervento prima dei Siriani i e poi degli stessi Israeliani i combattenti palestinesi dovettero anche fuggire dal Libano.

Quando poi ci fu un orribile attentato contro il governo di unità nazionale di Geamyel, di cui furono accusati i palestinesi , i miliziani entrarono nei campi d Sabra e Chatila e compirono un terribile massacro. Di esso in qualche modo furono tenuti responsabili le forze israeliane perché non erano intervenute: tuttavia a parte ogni polemica sullo svolgersi degli avvenimenti , dobbiamo notare che, dolorosamente, i palestinesi in questo caso si affidavano proprio all’aiuto dei loro storici nemici contro i propri connazionali arabi. Ci sembra questo proprio un segno del fallimento della politica nel Libano che costò tante sofferenze ai Palestinesi : la maggior parte dei caduti palestinesi si ebbe proprio in questo settore mentre nel complesso gli israeliani riaffermarono la loro preponderanza ed ebbero modeste perdite e danni : In tutto si calcola che circa 150.000 persone persero la vita.

Da queste vicende soprattutto apparve chiaro ancora una volta la assoluta impossibilità di una vittoria militare su Israele.


La prima Intifada
Abbandonando la lotta propriamente militare i palestinesi passarono a quella che viene chiamata intifada (lotta delle pietre). il lancio di pietre contro l’esercito spesso finiva con la reazione violenta dell’esercito israeliano e un certo numero di ragazzi fu gravemente ferito o ucciso. Per la mentalità occidentale coinvolgere dei giovanissimi in questo tragico gioco appare inaccettabile: tuttavia la intifada ebbe dei risultati sull’opinione pubblica mondiale, anche moderata, perchè comunque appariva qualcosa di diverso dal terrorismo o dalla lotta armata. Anche la fine della guerra fredda apriva un clima più favorevole all’unica soluzione possibile della questione palestinesi: la coesistenza di due stati distinti


La prima guerra del Golfo
Allo scoppio della guerra seguita all’invasione del Queit, Arafat, quasi unico fra i leaders arabi si pronunciò a favore di Saddam Hussein. Anche questa fu una scelta del tutto errata e controproducente. I palestinesi esultarono al passaggio dei famosi missili SCUD che andavano a colpire Israele: e questo rafforzò comunque l’idea che degli arabi palestinesi non ci si potesse fidare. L’Iraq fu facilmente sconfitto dagli occidentali con la approvazione di quasi tutto i governi arabi e i palestinesi subirono una ulteriore scacco politico e diplomatico. Ancora una volta Arafat sceglieva la parte perdente: non si poteva certo credere che l’Iraq sarebbe stato in grado di respingere gli americani e in seguito affrontare anche Israele.


Le trattative
Tuttavia in seguito si aprirono le trattative che culminarono dopo infinite difficoltà negli incontri di Camp David di negli accordi di Oslo, nel premio Nobel per Arafat e Rabin che sembrarono aprire definitivamente alla soluzione il problema palestinese, alla pace generale.

Arafat ebbe l’indiscusso merito di far togliere dal programma palestinese la distruzione dello stato di Israele riconoscendo un dato di fatto ormai incontestabile. I dirigenti in esilio tornarono in Palestina. Ia Olp si trasformò in Autorità Nazionale Palestinese, si inizio una prima amministrazione autonoma, si posero le basi per il sorgere di uno stato Palestinese, per uno stato autonomo

Tuttavia purtroppo le cose sono andate diversamente e i Palestinesi hanno conosciuto i giorni più neri e dolorosi della loro pur sempre drammatica storia. Cosa è successo? Perché invece della pace è esploso la più sanguinosa delle lotte fra arabi e israeliani?


La seconda Intifada
E’ opinione corrente che alla fine Arafat non è stato in grado o non ha avuto il coraggio di firmare l’accordo con gli Israeliani. In verità noi riteniamo che, in effetti, dopo l’assassinio di Rabin, con l’avvento alla direzione di Israele di correnti politiche più oltranziste l’accordo presentato da Israele effettivamente non fosse equo, non presentava garanzie sufficienti: possiamo dire quindi che la “colpa” del fallimento sia imputabile più al governo israeliano che ad Arafat

La passeggiata-provocazione di Sharon poi sulla spianate delle moschee fece precipitare la situazione e deliberatamente. Attentati raccapriccianti si sono abbattuti sugli Israeliani che hanno risposto con la rioccupazione delle zone autonome, con la uccisione più o meno mirata di esponenti palestinesi e soprattutto con un controllo ferreo sul tutto il popolo palestinese che ha reso la vita simile a un lungo e terribile incubo. Attualmente i Palestinesi si trovano nel momento più buio della sua loro storia. Disastrati economicamente, praticamente prigionieri nelle loro città, con il terrore di una morte improvvisa che può venire in qualunque momento e inaspettata per le esecuzioni mirate o per azioni di rappresaglia. 

In tutto questi ultimi tre terribili anni Arafat, praticamente prigioniero degli israeliani, ha contemporaneamente condannato gli attentati terroristici e non ha fatto mai niente in concreto per evitarli. In questo modo non è stato inteso ne dagli arabi ne dagli israeliani: qualunque cosa Arafat volesse intendere, le sue affermazioni sono state considerate dagli uni e dagli altri solo come dei discorsi diplomatici, di circostanza. Gli arabi hanno continuato a fare attentati pur riconoscendo la autorità Arafat e d’altra parte gli israeliani hanno considerato Arafat responsabili degli attentati stessi. Arafat ha mantenuto il suo ruolo di leader indiscusso, è vero: ma questo è stato rovinoso per il suo popolo. Sarebbe stato necessario prendere una posizione chiara: poteva essere a favore del terrorismo o contro di esso ma la sua ambiguità ha alimentata la tragedia.


Politica interna
IL LAICISMO. Arafat aveva portato i Palestinesi su un terreno propriamente laico. La lotta dei palestinesi non aveva mai assunto la caratteristica di guerra islamica: ad essa partecipavano anche i cristiani di Palestina e d’altra parte trovava sostenitori in Occidente nella sinistra laica e nel mondo del comunismo reale. Ma negli ultimi anni anche questa scelta originaria del partito di Arafat si è andata perdendo: la iniziativa politica è passata a correnti integraliste islamiche quali soprattutto HAMAS . Fortunatamente queste hanno sempre preso ampiamente le distanze del terrorismo del tipo di al-qaeda. Tuttavia la ispirazione laica di Arafat si è andata perdendo senza che egli facesse veramente qualcosa per contrastare un tale evoluzione.

LA CORRUZIONE: sono insistenti le voci su un tesoro personale che Arafat avrebbe accumulate all’estero e certi “strani” avvenimenti avvenuti intorno al momento della sua morte potrebbero esserne una conferma. Ma forse sono solo voci malevoli: pero è di pubblico dominio che molti esponenti della Anp si sono arricchiti. E’ vero che in tutto il mondo nelle classi dirigenti molti prendono tangenti e certo in Italia non dobbiamo meravigliarci della cosa. Tuttavia trattandosi di classe rivoluzionaria, di condizioni particolarmente tragiche la corruzione assume aspetti e caratteristiche ben più gravi . Anche se personalmente Arafat non avesse preso nulla per sé, è tuttavia sua responsabilità politica oggettiva avere permesso la corruzione.


In conclusione
Possiamo abbozzare un giudizio complessivo che non ci sembra possa essere positivo Arafat è stato il simbolo del suo popolo ma solo perchè si è mantenuto in bilico con grandissima abilità fra le varie fazioni, contentando un pò tutti senza prendere mai una posizione netta. Ma cosi non ha saputo ne vincere la guerra ne fare la pace.

Sotto con la sua guida i palestinesi sono passati da un disastro all’altro. I palestinesi chiamano "al-Nakba" (la catastrofe) la formazione dello stato di Israele ma dopo di essi a quanti altri "al-Nakba". sono stati condotti dalla guida di Arafat. in Giordania, in Libano, nella West Bank e a Gaza. Dopo quaranta anni di lutti e tragedie i Palestinesi possono ottenere al massimo la creazione di un loro stato ACCANTO a quello israeliano cosa che avrebbero potuto ottenere pacificamente e facilmente già 40 anni fa se fossero stati guidati in modo più realistico. Inoltre anche a causa anche della corruzione del gruppo dirigente le conquiste di un moderno laicismo sono andate perdute per dare spazio a un estremismo religioso che certo non promette nulla di buono anche se e quando ottenessero una loro autonomia politica.

Naturalmente questo giudizio riguarda non l’uomo nella sua totalità ma solo la sua politica, intesa come arte del possibile nei limiti e nel senso che abbiamo prima indicato:soprattutto con il “senno di poi”

Ne tanto meno con questo si vuole affermare che gli altri attori della tragedia (Israeliani, europei americani, paesi arabi, paesi comunisti ) abbiano avuto una politica felice. Ma si tratta di altri argomenti che qui non trattiamo 


Tratto da: Storiologia.it