Il Gran Muftì e Hitler (e Netanyahu)



Muḥammad Amīn al-Ḥusaynī ebbe un ruolo importante nell’Olocausto, incitando i vertici del Terzo Reich a sterminare gli ebrei per scongiurarne l’esodo in Palestina. Gli incontri con il Führer. Il ruolo di Prüfer e von Oppenheim. Per Bibi il passato non passa.


di Wolfgang G. SCHWANITZ - Tratto da Limes (ottobre 2015)

1. A metà del 1943 il diplomatico nazista Curt M. Prüfer annotò nel suo diario di essersi incontrato con Max von Oppenheim, riferendosi a lui, ottantatreenne, come allo «Zio Max». Prüfer aveva incontrato la notte prima il gran mufti Muḥammad Amīn al-Ḥusaynī. L’ambasciatore, che nel 1915 aveva spiato gli arabi per lo «Zio Max» e il sovrano ottomano di Siria e Palestina Cemal Paşa, fungeva da ponte tra Oppenheim e al-Ḥusaynī. I due giocavano un ruolo chiave nei legami tra la Germania e il Medio Oriente.
Prüfer parlava un arabo eccellente. Discuteva apertamente con il clero musulmano di politica e delle chance di Hitler di battere la Russia. Tutti concordavano che il Führer poteva ancora raggiungere il Medio Oriente con le sue truppe in un batter d’occhio attraverso il canale di Suez e/o il Caucaso sovietico e, una volta lì, sterminare definitivamente gli ebrei, come del resto concordato tra lo stesso Hitler e il gran mufti nel loro incontro sul finire del 1941. Di quel colloquio abbiamo tre resoconti: quello ufficiale dell’interprete dal francese Paul Schmidt, quello dell’inviato in Medio Oriente Fritz Grobba e gli appunti in arabo scritti di suo pugno dal quarantaseienne al-Ḥusaynī.
Intanto, i britannici osservavano discretamente Max von Oppenheim pianificare il jihād, come aveva già fatto durante la prima guerra mondiale. Questa volta non con gli ottomani dentro e fuori il loro impero, ma con gli arabi nell’Iraq del mandato britannico e nel resto del Medio Oriente. Il risultato fu il colpo di Stato antibritannico del primo ministro Rašīd ‘Ālī al-Ğīlānī il 1° aprile a Baghdad e il pogrom di al-Farhūd da questi scatenato tre mesi dopo insieme ad al-Ḥusaynī. Per contrastarli, Londra suggerì che gli arabi fossero informati del fatto che von Oppenheim era ebreo. Sorvolando sulla discutibile natura del consiglio, era difficile dire cosa fosse von Oppenheim: suo padre era un ebreo convertito al cristianesimo e sua madre una cattolica. Egli era un cosiddetto «ebreo del Kaiser»: patrioti di ascendenza ebraica assimilati che si sentivano in primo luogo tedeschi e poi, semmai, ebrei. Alcuni si comportavano da atei, come lo «Zio Max», e desideravano scordare le loro origini.
«Ariano onorario», durante la seconda guerra mondiale von Oppenheim (alias Abū Jihād) suggerì ai nazisti di fomentare nuovamente il jihād, come aveva fatto nel 1914 con l’aiuto di attivisti, tra cui Prüfer, mentre l’ufficiale arabo al-Ḥusaynī (il terzo del trio) ricopriva la carica di Cemal Paşa nella Quarta armata ottomana. I tre assistettero al genocidio armeno e al tentato genocidio contro gli ebrei di Palestina tra il 1915 e il 19171, che ho documentato in due libri2. Vi era un’affinità ideologica tra la destra tedesca e gli islamo-nazionalisti mediorientali: essi crebbero in parallelo e si usarono a vicenda per i rispettivi interessi.

2. Nei tre decenni dopo il 1884 la Germania aveva raggiunto una posizione dominante nell’impero ottomano, emarginando inglesi e francesi. Il Kaiser e il califfo erano compatibili: Guglielmo II voleva materie prime e mercati per le sue industrie, mentre il sultano-califfo necessitava di macchinari per modernizzare il suo Stato e il suo esercito3. Abdülhamid guardava all’Europa, mentre il Kaiser non aveva colonie nell’area e non ambiva a conquistare le terre ottomane. Dopo la nascita dell’impero tedesco, nel 1871, era un po’ tardi per costruire delle colonie d’insediamento: la torta in Nordafrica e nel Vicino Oriente era stata già spartita tra le grandi potenze tradizionali.
Il boom iniziò nel 1884, con i tre decenni fondamentali della Germania in Medio Oriente. I primi dieci anni, gli Ottanta del XIX secolo, furono quelli formativi di Guglielmo II: l’allora ventenne Kaiser assistette alla spartizione del Medio Oriente da parte delle potenze europee. Non solo nei Balcani: il califfo perse due quinti dei suoi possedimenti e un quinto della sua popolazione dopo il Trattato di Berlino del 1878. Dopo venne l’onda lunga del colonialismo francese, britannico e italiano: nel 1883 Guglielmo fu scioccato dalla vittoria del Sudan sugli ottomila soldati del generale William Hicks e temette che la regione nordafricano-mediorientale fosse sull’orlo di una rivolta islamista. Vide come il Sudan fu ripreso nel 1898, ma si sentiva a disagio a presiedere uno Stato schiacciato tra le aggressive potenze coloniali europee.
Ciò instillò nel monarca la convinzione di doversi preparare a un’azione preventiva, sfoderando la spada dell’islamismo per epurare il Medio Oriente dalle appendici britanniche, francesi e russe. Tuttavia, Guglielmo II rifuggiva l’idea di una guerra coloniale classica; piuttosto, intendeva civilizzare la regione attraverso la sua politica estera e la penetrazione pacifica. Ciò gli avrebbe permesso anche di risolvere la questione ebraica: Berlino vedeva ondate di odio contro il mezzo milione di ebrei di Palestina e tra i critici del Kaiser vi erano anche ebrei. Guglielmo voleva aprire loro le porte di questa terra ancestrale e a tal fine cercava il sostegno ottomano. Non si trattava di un grande disegno, bensì di una postura difensiva, antiespansionista e mutuamente vantaggiosa contro l’aggressività delle grandi potenze.
Dopo il massacro degli armeni nel 1896 e il clamore da questo suscitato in Europa, il califfo voleva conquistarsi il favore del Kaiser per scongiurare ulteriori condanne europee della sua condotta verso gli armeni e della sua nuova politica panislamista, mirante a unire tutti i musulmani sotto il califfato ottomano. Dopo le perdite subite sul campo di battaglia, Abdülhamid intraprese le riforme. Si rivolse ai britannici per l’Aviazione, ai francesi per la Marina e ai tedeschi per l’Esercito: dal 1882 le armate tedesche erano infatti divenute note e il loro capo, generale Colmar von der Goltz, era un eroe a Istanbul. I quadri formatisi in Germania, come Amīn al-Ḥusaynī, guidarono le truppe durante la prima guerra mondiale (e dopo, nei neonati Stati arabi vicini a Berlino, con consiglieri tedeschi). Durante la guerra usavano armi tedesche e si spostavano su ferrovie e navi uscite dagli stabilimenti Krupp, Krause, Loewe, Mauser e Maffei.
Nel 1898 il Kaiser inaugurò ufficialmente la sua politica islamica con un viaggio nell’impero ottomano dove, a Damasco, promise alla sua controparte – il sultano-califfo – di essere per sempre amico suo e dei suoi 300 milioni di sudditi musulmani4. Per la prima volta questo visitatore cristiano colmò il divario tra cristianità e islam e insieme al sovrano ottomano pose le basi per un’alleanza in caso di guerra aperta in Europa. Dieci anni dopo, lo studioso dell’islam Carl Heinrich Becker stilò i sette princìpi di una «politica islamica pratica»: conoscere i princìpi dell’islam e delle sue declinazioni locali; essere preparati alla guerra islamica; usare i popoli pacifici; evitare i fanatici; ostacolare l’islam politico, anche accentuandone le divisioni interne; aiutare i governanti e i leader islamici influenzandoli; pagarli per contrastare le rivolte islamiste, come quella del Sudan.

3. Non stupisce che nei circoli di von Oppenheim e Prüfer sorgesse un nuovo spirito di rivalsa contro i nemici mediorientali. Il calcolo di Guglielmo II era semplice e spietato: i suoi vicini – britannici, francesi e russi – avevano creato colonie e ne estraevano soldati e materie prime. In caso di guerra contro la Germania, egli avrebbe potuto ricattarli con la minaccia o l’inizio di una rivolta islamista nel loro retroterra coloniale. Li avrebbe tenuti impegnati scatenandogli contro il furor islamiticus e rendendo loro arduo dispiegare truppe coloniali contro la Germania in Europa centrale.
Dal 1894 il Kaiser cominciò a prepararsi a tale eventualità, spedendo due anni dopo von Oppenheim al Cairo, dove sarebbe rimasto oltre dieci anni in qualità di suo inviato per gli affari islamici. Abū Jihād osservò l’islam e gli islamisti dall’Egitto, inviando 467 rapporti; incontrò il sultano-califfo, governatori, mufti, mullah e imam, tessendo una rete per le rivolte jihadiste dall’Arabia all’India.
Prima che il Kaiser si recasse in visita dal sultano-califfo nel 1898, il barone von Oppenheim inviò il rapporto numero 48. «Il movimento panislamico», datato 5 luglio, era una ricetta per traghettare gli ottomani dal jihād difensivo a quello offensivo. Von Oppenheim guidava una pattuglia di circa cento tedeschi tra fautori del jihād, studiosi dell’islam e funzionari, tutti in ottime posizioni. In base al suo grande piano per il jihād, Berlino avrebbe fornito il know-how, le armi e gli esperti, Istanbul i soldati e i capi jihadisti. Questo piano del 1914 in 136 pagine si rivolgeva direttamente al Kaiser e disegnava la rete islamista con tanto di nomi delle confraternite affiliate: al-Sanūsiyya, al-Naqšbandiyya, al-Šištiyya, al-Suhrawardiyya, al-Qādiriyya, al-Mahdiyya, al-Iḫwāniyya e studiosi dalle Università al-Azhar e Dār al-‘Ulūm al Cairo (e dall’indiana Dār al-‘Ulūm, di Deoband).
Von Oppenheim si avvaleva di uomini come ‘Abd al-‘Azīz Ğāwiš, che svolse il doppio ruolo di membro dello squadrone della morte teshkilat-i mahsusa (Organizzazione speciale) di Enver Paşa e di suo delegato in Egitto e India per mettere in piedi confraternite come Ḫuddām al-Ka‘ba (Servi di al-Kaaba). Ğāwiš figurò anche come giornalista o sotto copertura come membro della Mezzaluna rossa ottomana. Lui e al-Ḥusaynī influenzarono la Fratellanza musulmana di Ḥasan al-Bannā, che divenne l’organizzazione islamista numero nove nel 19285.
L’egiziano ‘Abd al-Malik Ḥamza scrisse una «teoria dell’islamismo» letta nei circoli di von Oppenheim, del ministro della Guerra Enver e del libanese Šakīb Arslān, figura chiave dell’islamismo d’inizio Novecento. Ğāwiš fondò il mensile Mondo islamico – edito in tedesco a Berlino e in arabo a Istanbul – insieme al suo amico Ḥamza, che nel 1917 vi pubblicò la sua teoria dell’islamismo in cui faceva appello alla umma e dichiarava Francia, Russia e Inghilterra nemici e oppressori6. La fratellanza musulmana universale avrebbe sconfitto i nemici, incluse le minoranze ebrea e cristiana.
Questa jihadizzazione dell’islam divenne il centro della politica mediorientale di Guglielmo II, un jihād tedesco-ottomano tricontinentale che abbracciava Africa, Asia ed Europa. Enver Paşa chiese allo šayḫ tunisino Ṣāliḥ al-Šarīf al-Tūnūsi di cambiare la dottrina del jihād, onde farne una guerra combattuta con alcuni cristiani (le potenze centrali) contro altri cristiani (gli alleati). La sua fatwā7 non si limitò a rendere legale il jihād per i musulmani, ma lo rese un dovere individuale in una guerra di coalizione con e contro gli «infedeli». Nel caso in cui i musulmani fossero inquadrati nelle truppe nemiche, essi avrebbero dovuto rivolgere le armi contro i loro padroni, essendogli proibito combattere contro gli ottomani e i loro alleati.
Il piano del jihād messo a punto da Berlino prevedeva che Enver prendesse in ostaggio famiglie armene, si impadronisse del canale di Suez, impiegasse otto confraternite per jihadizzare l’islam, desse fuoco ai pozzi petroliferi di Baku, uccidesse i britannici e costituisse una rete di propaganda (fino a 75 sale di lettura) per fomentare i musulmani. Il politico Gustav Stresemann visitò due di queste sale, più tardi chiamate anche centri di agitazione da’wa, a Pera e a Istanbul. Ne concluse che la mano tedesca non era apparente: «Agli illetterati piacciono le mappe, i disegni e le foto che spiegano la guerra». I fedeli assorbirono il fervore jihadista per il sultano-califfo, il quale divenne anche una comoda ideologia atta a motivare i soldati ottomani.
Al principio, la politica estera del Kaiser voleva fomentare le rivolte islamiste nei territori coloniali per indebolire i rivali. Ma l’oscuro furor islamiticus si manifestò soprattutto dopo la fine della guerra, paese per paese: i mediorientali cacciarono i governatori britannici, francesi e italiani con le rivolte di cui il jihād in Tripolitania del 1912 avrebbe fatto da apripista. I complotti tedesco-ottomani si materializzarono dopo la Grande guerra, ma l’ideologia islamista e i suoi propositi di genocidio avrebbero avuto un’influenza ben più duratura.

4. Gli attori continuarono a operare dopo il 1918. Tra le due guerre, molti abbracciarono idee antisemite in odio agli ebrei per «la guerra persa», cui era associato un profondo senso di vendetta. Tale visione non ne compromise le carriere, né impedì loro di teorizzare le vie nazionali al socialismo. Dal momento che nel 1921 il mandatario britannico aveva concesso il titolo di Gran mufti ad al-Ḥağğ Amīn al-Ḥusaynī, i tedeschi coltivarono i rapporti con questo partner, che aveva guadagnato potere e influenza in qualità di massima carica religiosa8.
Un punto focale divenne l’Istituto islamico di Berlino, fondato nel 1927 con l’aiuto di alcuni vecchi camerati, tra cui Franz von Papen ed Erich Ludendorff. Von Papen promosse «Indiani per il jihād» nella sua veste di attaché militare a Washington fino al 1915. Dopo divenne un «combattente in Asia» con gli ottomani in Palestina e a metà del 1932 cancelliere tedesco, spianando la strada all’avvento di Hitler. Ludendorff, d’altro canto, un antisemita altrettanto noto, militò nella prima guerra mondiale come responsabile degli approvvigionamenti. In questa veste, svolse un ruolo determinante negli sforzi bellici. Nel 1931 consentì all’islamista ‘Abd al-Nāfi‘ Šalabī, direttore dell’Istituto islamico, di pubblicare nel suo giornale Ludendorff Volkswarte un appello tedesco-musulmano al boicottaggio comune degli ebrei a Berlino e a Gerusalemme e alla lotta congiunta non solo contro i sionisti, ma «contro gli ebrei nel mondo intero».
Intanto, l’eroe di guerra turco Mustafa Kemal si scagliava contro gli ebrei con il suo appello alla formazione di una Lega islamica o Unione degli Stati islamici nel 19239. Un anno dopo però, lo shock: il Gazi Kemal poneva fine non solo al sultanato, ma anche al califfato. Oltre cinquecento anni di panislamismo si dissolvevano. Certo, il califfato ottomano era stato oggetto di molte critiche; in teoria, il sultano-califfo doveva discendere dalla nobile stirpe del profeta, essere uno šarīf, sicché un turco non era considerato adeguato al ruolo. Eppure, molti musulmani comuni consideravano i sovrani ottomani come la più alta autorità islamica, i protettori delle città sante di Mecca e Medina. Siccome tutti i tentativi degli arabi di ripristinare un loro califfato erano naufragati, si creò un vuoto enorme, specialmente per gli islamisti, i quali consideravano la separazione in Stati nazionali un grave errore e propendevano invece per l’unità di tutti i musulmani.
Al-Ḥusaynī fondò il Congresso mondiale islamico nel 1931 a Gerusalemme, con una succursale a Berlino. A metà del 1937, dopo un anno di rivolte, rifiutò l’offerta proveniente da Londra di una Palestina binazionale, fece appello a tutti i musulmani affinché liberassero le loro terre dagli ebrei, si rifugiò a Beirut e chiese a Hitler di stringere un patto. Così, in ottobre Adolf Eichmann si recò ad Haifa e al Cairo per incontrarlo: invano, perché al-Ḥusaynī era andato in Libano. Gli inglesi misero sulla sua testa una taglia di 25 mila sterline: il nemico numero uno dell’impero britannico, come lo definì Anthony Eden.
Il 24 novembre 1937, al-Ḥusaynī propose un accordo a Berlino10: chiedeva armi e supporto nella lotta «con ogni mezzo» contro il focolare nazionale ebraico in Palestina, offrendo in cambio «terrore costante» e centri di agitazione da’wa contro i colonialisti nelle terre arabe e nel resto dell’islam, come durante la prima guerra mondiale. Fu così che l’Ufficio centrale di sicurezza delle SS, a Berlino, si legò a questo individuo che predicava anche il boicottaggio degli ebrei, la requisizione dei loro beni e la diffusione del nazismo nelle aree islamiche, in modo da «creare un clima simpatetico» in caso di guerra.
Tre i fattori che incitarono al-Ḥusaynī: il suo profondo odio antiebraico, la linea filosionista del Kaiser – che portò, a metà del 1918, alla «Dichiarazione Balfour ottomana»11 per un focolare nazionale ebraico in Palestina – e la politica favorevole all’emigrazione ebraica di Hitler anche dopo il 1933. L’accordo di Haavara (trasferimento) con l’Agenzia ebraica consentiva a 60 mila ebrei di lasciare la Germania fino al 1939 per trasferirsi in Palestina. Per i nazisti era un accordo di promozione dell’export: ogni emigrante pagava almeno mille sterline e comprava merci tedesche al suo arrivo. Gli islamisti come al-Ḥusaynī, viceversa, vedevano l’accordo come il fumo negli occhi: il loro scopo principale divenne bloccare l’immigrazione ebraica dalla Germania e dall’Europa.

5. Dall’Iraq, dove viveva dall’ottobre del 1939, al-Ḥusaynī seguì lo svolgimento della seconda guerra mondiale. Nel 1940 pianificò di bloccare le vie di fuga degli ebrei dall’Europa: voleva chiudere le ultime porte della casa ora in fiamme. In una lettera a Hitler del 20 gennaio 1941, offrì gli arabi e altri musulmani come soldati e come base per un patto. Un mese più tardi, Berlino ricevette da al-Ḥusaynī una bozza di dichiarazione congiunta tedesco-italiana per il riconoscimento dell’indipendenza agli arabi. Allora, la maggior parte dei territori islamici era ancora sotto il regime mandatario o coloniale. Il paragrafo 7 stabiliva che le potenze dell’Asse dichiarassero illegale il focolare ebraico in Palestina e concedessero agli arabi il diritto di trattare gli ebrei e le loro terre come i paesi dell’Asse facevano in Europa. Il paragrafo terminava così: «Non sarà più consentita alcuna immigrazione ebraica nelle terre arabe». La bozza fu affidata a fine febbraio 1941 all’inviato tedesco in Medio Oriente Fritz Grobba12, che riferiva direttamente al ministro degli Esteri Joachim von Ribbentrop. Le potenze dell’Asse vennero dunque a conoscenza della priorità di al-Ḥusaynī, che se accolta avrebbe sovvertito la politica adottata da Berlino fin dal 1914, volta a favorire la creazione di un focolare nazionale ebraico in Palestina; politica del resto avallata da 51 Stati della Lega delle Nazioni nel 1922. Ma Berlino, Roma e Parigi, in mani naziste, non potevano risolvere il problema ebraico in modo tradizionale, promuovendo l’emigrazione di massa degli ebrei in Medio Oriente. Essendo quella regione (e i popoli che l’abitavano) d’importanza strategica, andava escogitata un’altra soluzione alla cosiddetta «questione ebraica».
Dato che la suddetta bozza di dichiarazione italo-tedesca riguardava anche gli arabi, gli ebrei d’Europa non avrebbero più avuto nel Medio Oriente un rifugio. Se la dichiarazione avesse avuto effetto, sugli ebrei sarebbe calata una scure inesorabile, dato che per Hitler Europa e Medio Oriente erano intimamente connessi. Lo dimostrava la guerra contro la Gran Bretagna, che era anche una guerra contro i suoi possedimenti mediorientali.
Il 18 dicembre 1940 Hitler ordinò di preparare l’attacco alla Russia per metà maggio, attacco poi posticipato due volte, fino al 22 giugno; intanto, diede luce verde al colpo di Stato di al-Ğīlānī e al-Ḥusaynī a Baghdad il primo aprile. In caso di successo, i due si impegnavano «ad affrontare anche il problema degli ebrei» nel Vicino Oriente. Il Führer rispose alla lettera di al-Ḥusaynī l’11 marzo 1941: concedeva aiuto militare solo se gli arabi avessero combattuto i britannici. Il paragrafo 7 parlava chiaro: nessuna espulsione di massa degli ebrei in Medio Oriente, malgrado il precedente accordo di Haavara. La seconda guerra mondiale limitò l’emigrazione ebraica, ma questa era ancora legale: nel settembre 1940, molti ebrei di Danzica andarono in Palestina. Sicché lo scopo di al-Ḥusaynī era di bloccare qualsiasi canale migratorio dall’Europa nazista al Medio Oriente.
Nell’aprile 1941, con l’avanzata dei nazisti in Jugoslavia e in Grecia, dopo aver compiuto con il premier al-Ğīlānī e l’assenso di Hitler il colpo di Stato e il pogrom Farhūd a Baghdad, al-Ḥusaynī si rifugiò in Iran. Da Teheran, il 3 giugno 1941 chiese di incontrare Hitler a Berlino. Hitler acconsentì, sapendo che ciò significava bloccare definitivamente l’emigrazione ebraica dall’Europa. Da studiosi dei massacri armeni, i due non erano estranei al genocidio.
Nel suo libro del 192513, Hitler ipotizzava che se all’inizio della prima guerra mondiale 12-15 mila «corruttori ebrei» fossero stati uccisi dal gas, com’era successo a centinaia di migliaia di tedeschi sul campo, il sacrificio di milioni al fronte non sarebbe stato vano. Al contrario, sosteneva, eliminare per tempo 12 mila ebrei avrebbe risparmiato la vita di migliaia di «veri tedeschi», patrimonio inestimabile per il futuro. Hitler aveva dunque il gas in mente fin dall’inizio per «salvare i tedeschi».
Il 23 maggio e l’11 giugno 1941, Hitler emanò ordini relativi al Medio Oriente. Primo: aiutare il colpo di Stato in Iraq, per distrarre dai preparativi di guerra contro la Russia. Secondo: undici giorni prima dell’invasione e in previsione di una vittoria rapida (questione di mesi), preparare i piani per il Medio Oriente, successivo teatro bellico. Entrambi gli ordini facevano affidamento sugli arabi e sui musulmani come «nostri alleati naturali», in quanto sollevati in armi contro le potenze coloniali. Hitler aveva bisogno di aiuto per governare la regione e trattare mezzo milione di ebrei come in Europa (si ricordi il paragrafo 7). Aveva dunque bisogno di al-Ḥusaynī e dei suoi islamisti. Se voleva averli dalla sua parte, il Führer doveva pertanto pianificare una soluzione finale anche in Medio Oriente, risolvendo la questione prima di incontrare il gran mufti a Berlino: un secondo genocidio incombeva sugli ebrei nel 1941.
Dopo aver acconsentito a incontrare al-Ḥusaynī a inizio giugno, Hitler mise in moto attraverso Hermann Göring – il suo vice e comandante in capo della Luftwaffe – il processo per preparare la soluzione finale alla questione ebraica in Europa. Göring, a sua volta, il 31 luglio 1941 affidò a Reinhard Heydrich il compito di portare a termine il genocidio. Poco prima di essere ricevuto dal Führer, al-Ḥusaynī mantenne fede al suo impegno del 1937 e fece «appello a tutti i musulmani del mondo» affinché liberassero le loro terre dagli ebrei; poi richiamò espressamente il paragrafo 7 della dichiarazione italo-tedesca sull’indipendenza araba. Hitler ordinò pertanto di sigillare entro il 31 ottobre 1941 i residui canali legali di emigrazione per gli ebrei. Fino a quel venerdì, 537 mila «ricchi ebrei stranieri» avevano lasciato l’Europa, pagando un totale di 9,5 milioni di dollari, come notava il protocollo di Wannsee. Ora nessun ebreo avrebbe più potuto lasciare legalmente il Vecchio Continente: questo si trasformò in una trappola e all’agognato Medio Oriente si sostituirono i campi di sterminio in Europa orientale e quelli altrettanto letali in Urss.
Nell’ottobre 1941 al-Ḥusaynī e al-Ğīlānī si recarono separatamente a Berlino. All’andata il gran mufti incontrò Benito Mussolini a Roma, il 4 novembre. Giunto a Berlino il 9 novembre, al-Ḥusaynī si sistemò al castello di Bellevue, vicino ai principali uffici del regime nazista.

6. Al suono di una banda d’onore di duecento elementi, Hitler ricevette al-Ḥusaynī nel suo ufficio alla cancelleria il 28 novembre. L’incontro iniziò alle quattro del pomeriggio con una calorosa stretta di mano a favore di telecamere e fotografi; i colloqui riservati, alla presenza di von Ribbentrop, Grobba e dell’interprete Schmidt terminarono poco dopo le 17.30. A porte chiuse, Hitler promise ad al-Ḥusaynī che i desideri arabi sarebbero stati esauditi: una volta vinta la battaglia contro l’ebraismo mondiale, la Germania avrebbe eliminato gli ebrei anche dal Medio Oriente. Non vi era spazio per compromessi. La guerra comprendeva ovviamente anche una fiera opposizione al focolare nazionale ebraico in Palestina, centro d’irradiamento della distruttiva influenza ebraica.
La Germania era altresì impegnata in cruente battaglie per penetrare il Nord del Caucaso: in un momento imprecisato ma non lontano, aggiunse il Führer, le armate tedesche avrebbero conquistato l’accesso meridionale alle montagne caucasiche. Allora la dichiarazione italo-tedesca sull’indipendenza araba richiesta dal gran mufti sarebbe stata resa nota al mondo arabo: Hitler avrebbe annunciato agli arabi che l’ora della liberazione era infine giunta e avrebbe demandato al gran mufti, come loro leader, il compito già predisposto in segreto di liquidare gli ebrei nei loro territori. Nel suo resoconto della conversazione, al-Ḥusaynī pone l’accento su questo punto, richiamando le parole di Hitler: «La strada da Rostov [nella Russia meridionale] all’Iran e all’Iraq è più breve della distanza tra Rostov e Berlino. Quando arriveremo nel Caucaso meridionale, sarà giunto il momento della liberazione per gli arabi. E lei può contare sulla mia parola». Chiese poi ad al-Ḥusaynī di mantenere segreta la dichiarazione, di custodirla gelosamente nel suo cuore finché i tempi non fossero stati maturi.
Le tappe del genocidio ebraico erano dunque fissate: prima l’Europa, poi il Medio Oriente e infine il mondo intero. Seguì una fitta corrispondenza, dal 28 aprile al 15 maggio 1942, tra Roma, Berlino, al-Ḥusaynī e al-Ğīlānī, in cui le parti ribadirono il proposito di «liquidare il focolare nazionale ebraico in Palestina», ovvero gli ebrei stessi.
Il giorno dopo l’incontro tra Hitler e al-Ḥusaynī, Heydrich invitò tredici alti ufficiali nazisti alla conferenza di Wannsee per discutere i dettagli della soluzione finale. Il legame tra il colloquio a due e la decisione di preparare l’Olocausto appare evidente. L’alternativa sarebbe stata un’emigrazione di massa degli ebrei in Medio Oriente, com’era inizialmente nelle intenzioni dei nazisti14 e del Kaiser prima di loro.
Alcuni sostengono che la tesi della «decisione chiave» da parte di Hitler abbia perso forza nel tempo. Ma vi è un collegamento tra il colloqui del Führer con al-Ḥusaynī, la convocazione della conferenza di Wannsee il giorno successivo e le parole dello stesso Hitler a Galeazzo Ciano sulla vittoria bellica. Il capo del nazismo disse al ministro degli Esteri italiano che la guerra contro la Russia poteva considerarsi vinta e che subito dopo le truppe tedesche avrebbero marciato attraverso il Caucaso alla conquista di Iraq e Iran, seguiti da Siria e Palestina.
Vi sono diversi punti non ancora adeguatamente analizzati: perché l’invito alla conferenza fu mandato proprio quel giorno? Chi diede l’input? Perché la conferenza stessa, originariamente prevista per l’8 dicembre del 1941, fu spostata all’ultimo momento al 20 gennaio 1942? Chi degli invitati non poteva partecipare l’8 dicembre e perché? Lo spostamento fu deciso dopo il colloquio tra Hitler e al-Ḥusaynī? E se sì, cosa fu deciso in quel frangente? Ho dimostrato come il genocidio abbia subìto forti impulsi tra il 1941 e il 1942 e che vi sono indizi di un «ordine speciale da parte del Führer». L’Olocausto «decollò» dopo l’arrivo, il 22 giugno, delle squadre della morte di Himmler sulla scia dell’avanzata tedesca nella Polonia occupata e in Russia, attraverso deportazioni di massa dalla Germania e dalle terre occupate verso i campi di sterminio dell’Europa orientale, dove il numero di uccisioni subì un’impennata dalla fine del 1941.
Sebbene la soluzione finale fosse oggetto di pianificazione fin dall’inizio del 1941, Hitler prese decisioni chiave nel marzo 1941 (acconsentendo alla richiesta di al-Ḥusaynī di eliminare gli ebrei dal Medio Oriente); a giugno (accettando di ricevere il gran mufti); a luglio (inizio dei preparativi attraverso Göring, Heydrich e Himmler); a novembre (subito dopo il colloqui con al-Ḥusaynī convocando l’incontro di Wannsee); a inizio aprile 1942 (decretando «la distruzione di tutti gli ebrei» per ordine speciale «del Führer», come appurato in un’interrogazione nella primavera del 1945)15.

7. Simon Wiesenthal ha sostenuto che Hitler e al-Ḥusaynī si incontrarono diverse volte. Circostanza confermata dal libanese Walīd Ğunblāṭ16, nipote dell’assistente di al-Ḥusaynī, Šakīb Arslān.
Quello stesso anno Hitler espresse il proposito di fomentare il jihād tra i molti prigionieri di guerra musulmani dei sovietici, per sobillarne la rivolta. La proposta giunse al Führer da due generali turchi veterani della Grande guerra, Ali Fuat Erden e Hünsü Erkilet, in visita a Berlino. Il consenso di Hitler rafforzò i fautori del jihād dentro il regime, a scapito dei contrari. Gli ordini del Führer relativi al Medio Oriente facevano affidamento sul «movimento rivoluzionario arabo» contro inglesi e francesi, in quanto il jihadismo funzionava solo declinato come guerra santa contro gli «infedeli».
Per nascondere di aver fatto da traduttore per Himmler e Hitler, Prüfer contaffece i suoi diari. Nel suo diario originale, scrive che al-Ḥusaynī tornò a Berlino da Roma il 5 luglio 1943. Come riportato da fonti tedesche, arabe e sovietiche, l’islamista si incontrò con Himmler nel suo quartier generale di Hochwald, nella Prussia orientale, il 4 luglio. Prüfer specifica che al-Ḥusaynī tornò a Berlino su richiesta di Himmler, ma nella versione rivista del diario sposta le annotazioni all’ottobre del 1942.
Di certo, l’annotazione del diario originale secondo cui il 5 luglio 1943 «il mufti è tornato da Roma [a Berlino] su richiesta di H.H. [Himmler], che vuole discutere con lui la divisione della Bosnia e le connesse problematiche religiose», è inattendibile, perché il giorno prima al-Ḥusaynī era con lo stesso Himmler nei pressi del confine ucraino. La circostanza è attestata da Himmler con un’annotazione nel suo diario, datata 4 luglio 1943, in cui afferma di aver ricevuto il gran mufti nel suo quartier generale di Hochwald, ubicato vicino alla ferrovia di Großgarten nei pressi di Possessern, odierna Pozezdrze, nel Nord della Polonia e a venti chilometri dalla «tana del lupo».
Lì al-Ḥusaynī incontrò sicuramente Hitler il 17, 18 o 19 luglio, come annotato da Prüfer il 17: «Il mufti mi ha raggiunto per pranzo e ha insistito nel voler liquidare gli ebrei in Palestina». L’altra prova del colloquio tra Himmler e al-Ḥusaynī è contenuta nelle memorie di Damasco (p. 413) scritte da quest’ultimo, in cui afferma di aver incontrato «il ministro tedesco Heinrich Himmler nel suo quartier generale militare in Prussia orientale».
I colloqui del luglio 1943 non furono dunque a Berlino, come Prüfer afferma. Del resto, questi non avrebbe mai immaginato che qualcuno potesse incrociare il suo resoconto con le memorie di al-Ḥusaynī e di Himmler. Se le notizie di fonte sovietica relative a un incontro informale dei tre tra l’8 e il 20 novembre 1941 sono vere, quello del 1943 sarebbe stato il terzo vertice, dopo la conferenza di Wannsee. Prüfer aveva comunque buone ragioni per mentire, essendo a conoscenza di numerosi particolari sulla pianificazione dell’Olocausto. Simon Wiesenthal aveva dunque ragione quando, nel 1988, ipotizzò diversi incontri tra Hitler e al-Ḥusaynī; è anzi probabile che questi abbia visitato anche i campi di sterminio, come Auschwitz.
In forse è anche il resoconto del vivido ritratto che il Führer fece di al-Ḥusaynī, definendolo «il principale attore mediorientale, un realista e non un sognatore, una vecchia volpe scaltra», che «si fa tradurre prima in francese e poi in arabo». Nelle Conversazioni di Hitler a tavola le frasi sono riportate con un’annotazione del 1° luglio 1942, ma è più probabile che si trattasse del 1° luglio 1943, ovvero di un altro incontro segreto tra i due, dal momento che in quello ufficiale del 1941 non vi era alcun traduttore dall’arabo.
D’altro canto, il 15 luglio 1942 Hitler ricevette l’ex premier al-Ğīlānī nella «tana del lupo». Siccome l’iracheno chiese di visitare un campo di sterminio per vedere se il modello fosse applicabile al suo paese, non è escluso che la visita si sia ripetuta con al-Ḥusaynī. In ogni caso, Hitler ricevette visitatori nel suo rifugio prussiano tra il 1941 e il 1943, compresi dei turchi. Il 6 luglio vi accolse un veterano della prima guerra mondiale, il generale turco Cemit Zahit Toydemir. Lo stesso Himmler fece nei campi di sterminio: da Ankara, il 1° febbraio 1943 giunsero in visita a Sachsenhausen i funzionari della sicurezza Haluk Nihad Pepy e Selahddin Korkut.
Himmler inviò alla moglie Margarete diverse lettere, in cui non nascose mai gli intenti di genocidio. «Da sabato a martedì sarò in un campo di sterminio per testare nuovi e interessanti metodi di esecuzione», scrive. Dopo una visita sul fronte orientale nel luglio 1941, appena dopo l’invasione tedesca della Russia, si scusò con lei per aver dimenticato il loro anniversario. Alla vista di soldati che giustiziavano ebrei, scrisse che non riusciva a smettere di vomitare. Poco prima dell’avvio della soluzione finale, scrisse alla moglie: «Vado ad Auschwitz. Baci, tuo Heini». In una lettera del luglio 1942, prima di un giro nei campi di sterminio, augura alla moglie buone vacanze: «Nei prossimi giorni sarò a Lublino, Auschwitz e Leopoli»17.
La vivida descrizione di al-Ḥusaynī fatta da Hitler potrebbe anche indicare che Himmler e il mufti si recarono insieme nei campi di sterminio in quel luglio 1942. Quando il Führer incontrò l’islamista intorno al 1° luglio, era almeno la terza volta che si vedevano: ottobre 1941, novembre 1941, luglio 1942, cui sarebbe seguito l’incontro del luglio 1943. Wiesenthal disse che nel giugno o nel luglio 1943 al-Ḥusaynī andò con Adolf Eichmann e il suo assistente Alois Brunner a visitare il campo di Auschwitz. Ciò appare probabile, dato che il gran mufti viaggiò avanti e indietro tra Berlino e la Prussia orientale attraverso la Polonia occupata. Nel luglio 194218, insieme a Rašīd ‘Ālī al-Ğīlānī e a due assistenti, visitò il campo di Sachsenhausen, vicino a Berlino. Il successivo incontro di al-Ḥusaynī con le antisemite SS avvenne l’8 maggio 1944 tra Berlino e la Sassonia, un anno prima della caduta del nazismo. La sconfitta del regime non arrecò tuttavia grande danno al mufti, cui gli alleati permisero di proseguire le sue attività criminali fino alla morte, nel 197419.
L’Olocausto fu il prodotto di un’ideologia fanatica, più che dell’interesse nazionale tedesco. Certo, l’antisemitismo virulento di Hitler data agli anni Venti e vi sono prove che al-Ḥusaynī incitò il Führer a sterminare gli ebrei. Se il sodale islamista non fosse esistito, lo sterminio sarebbe stato compiuto ugualmente; tuttavia, l’influenza del mufti, del nazionalista al-Ğīlānī e dei loro movimenti rafforzò e accelerò i propositi di genocidio in Europa, con la prospettiva di una loro estensione al Medio Oriente. La vittoria alleata ha dunque scongiurato un Olocausto mediorientale, ma il rischio in questo senso è sempre presente, se non sappiamo imparare dalla storia.
Oggigiorno però, dopo oltre un secolo20 di jihād, vi è chi nega l’Olocausto21 e vorrebbe annichilire Israele e altre minoranze non musulmane in Medio Oriente con le armi nucleari22, in ciò sostenuto da regimi autoritari come quello russo, quello cinese e quello nordcoreano. Non riconoscere gli intenti di genocidio presenti nell’islam, come i leader in Europa e Nordamerica fanno con alcune eccezioni23, non fa che propiziare nuove tragedie nell’attuale contesto di guerra globale.

8. Lo scorso 20 ottobre il primo ministro israeliano Binyamin Netanyahu è stato ampiamente criticato per aver accusato il gran mufti al-Ḥusaynī di complicità nell’Olocausto. Parlando a Gerusalemme, il premier ha riferito dell’incontro tra Hitler e al-Ḥusaynī del 1941, come abbiamo visto ben documentato, affermando che «al tempo Hitler non voleva sterminare gli ebrei, voleva espellerli. Al-Ḥusaynī disse allora al Führer: «Se li espelle, verranno tutti qui [in Palestina]». Secondo Netanyahu, Hitler avrebbe allora chiesto al mufti cosa avrebbe dovuto fare degli ebrei. Questi avrebbe risposto: «Bruciarli». Netanyahu ha poi chiarito che egli «non intendeva in alcun modo assolvere Hitler per la sua diabolica responsabilità nello sterminio degli ebrei d’Europa»; voleva solo mettere in risalto l’importante ruolo di al-Ḥusaynī come complice.
Non ho trovato riscontro documentale delle affermazioni attribuite da Netanyahu ad al-Ḥusaynī, ma come ho ampiamente esposto qui vi sono molte prove del ruolo di spicco svolto dal mufti nel genocidio perpetrato ai danni degli ebrei nell’Europa occupata dai nazisti, nonché nella pianificazione di un analogo crimine in Medio Oriente.
Adolf Eichmann e i suoi sottoposti aggiornavano costantemente al-Ḥusaynī sull’andamento del genocidio, come a rassicurarlo del fatto che Hitler non aveva cambiato idea. L’assistente di Eichmann Dieter Wisliceny testimoniò al processo di Norimberga che «il mufti fu uno degli ispiratori dello sterminio sistematico degli ebrei d’Europa e collaborò con Eichmann e Himmler nell’esecuzione del piano. (…) Egli era uno dei migliori amici di Eichmann e lo incitò costantemente ad accelerare il ritmo dello sterminio. L’ho sentito dire che, accompagnato da Eichmann, aveva visitato in incognito le camere a gas di Auschwitz».
L’incoraggiamento di al-Ḥusaynī e di altri ad annientare gli ebrei europei fu decisivo ai fini dello sterminio? Il mufti lo credeva. Nelle sue memorie, scrisse che «il giudaismo mondiale voleva portare gli ebrei dell’Europa orientale in Palestina. (…) La Germania era d’accordo. Ma noi ci opponemmo a questo disegno e scrivemmo a von Ribbentrop, a Himmler e a Hitler e poi ai governi di Italia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Turchia e altri. Alla fine, riuscimmo a sventare il piano». Ovviamente, Netanyahu ha voluto condensare questi «risultati» nel dialogo del 1941 tra al-Ḥusaynī e il Führer.
Lo stesso mufti aggiunse: «Gli ebrei mi hanno accusato di essere responsabile della morte di 400 mila ebrei che non poterono recarsi in Palestina. Gli ebrei chiesero che fossi processato a Norimberga come criminale di guerra» e allega fotocopia di queste richieste alle sue memorie. La cifra di 400 mila si riferisce al numero noto di ebrei ungheresi, metà dei quali perirono ad Auschwitz.
Al-Ḥusaynī svolse anche un ruolo nel reclutamento e nell’indottrinamento di SS musulmane nei Balcani e nell’Asia sovietica, il che lo rende responsabile di ulteriori vittime. Netanyahu non ha inteso identificare al-Ḥusaynī con tutti i palestinesi; piuttosto, ha voluto sottolineare che l’incitamento all’eliminazione degli ebrei iniziato dal mufti continua a tutt’oggi in campo palestinese e che esso è figlio della stessa ideologia islamista che animava al-Ḥusaynī. Tant’è che usa in gran parte gli stessi simboli e la stessa retorica, centrata sulla necessità di «proteggere» i luoghi santi dagli ebrei.
«Affinché cessino i crimini, deve cessare l’incitamento a compierli», ha detto Netanyahu nel suo discorso. La figura di al-Ḥusaynī dimostra che questo legame tra parole e fatti è reale.

(traduzione di Fabrizio Maronta)



1 «Genocide and Attempted Genocide Taner Akçam’s History of the Armenian Genocide», Scholars for Peace in the Middle East, 12/8/2013.
2 B. RUBIN, W.G. SCHWANITZ, Nazis, Islamists, and the Making of the Modern Middle East, New Haven 2014, Yale University Press; W.G. SCHWANITZ, Islam in Europa, Revolten in Mittelost, Berlin 2013, Trafo Verlag.
3 N. YORULMAZ, «Arming the Sultan: German Arms Trade and Personal Diplomacy in the Ottoman Empire before World War I», London 2014, I.B. TAURIS, 2014.
4 W.G. SCHWANITZ, «Germany’s Middle East Policy», MERIA Journal, 9, 2007.
5 C.R. WICKHAM, The Muslim Brotherhood, Evolution of an Islamist Movement, Princeton 2013, Princeton University Press.
6 «Hamzas Theorie des Islamismus – Wie geriet diese Ideologie extrem, finden Mittelostler damit zur Moderne?», Explizit.Net, 3/11/2014.
7 W.G. SCHWANITZ, «Euro-Islam by Jihad “Made in Germany”», in G. NORDBRUCH (a cura di), Transnational Islam in Interwar Europe, London 2014, Palgrave Macmillan.
8 W.G. SCHWANITZ, «First Global Grand Mufti: Essays of al-Hajj Amin al-Husaini», Scholars for Peace, 29/2/2012.
9 I. FRIEDMAN, British Miscalculations. The Rise of Muslim Nationalism, Piscataway, NJ 2012, Transaction Publishers.
10 W.G. SCHWANITZ, «Blaupausen des “Islamstaats”», Gatestone Institute, 4/5/2015.
11 W. LAQUEUR, B. RUBIN (a cura di), The Israel-Arab Reader, London 2008, Penguin Books.
12 W.G. SCHWANITZ, Germany and the Middle East, 1871-1945, Princeton 2004, Marcus Wiener Publishers.
13 W.G. SCHWANITZ, «Nazism in Syria and Lebanon. The Ambivalence of the German Option, 1933-1945», Jewish Political Studies Review, 19/10/2009.
14 W.G. SCHWANITZ, «Amin al-Husaini und das Dritte Reich. Neues vom und zum Jerusalemer Großmufti», Kritiknetz, 4, 2008.
15 B. RUBIN, W.G. SCHWANITZ, op. cit.; W.G. SCHWANITZ, Islam in Europa, cit.
16 W.G. SCHWANITZ, «Walid Jumblatt and the Holocaust», Middle East Forum, 17/8/2014.
17 Y. SHOHAT, E. ZERET, «Himmler’s Letters Revealed: “I’m Going to Auschwitz. Kisses”», Ynet – Israel News, 1/26/2014; «Blast from the Past: Heinrich Himmler’s Love Letters Found in Tel Aviv», Ynet – Israel News, 25/1/2014.
18 B. RUBIN, W.G. SCHWANITZ, op. cit.
19 W.G. SCHWANITZ, «Arab Responses to the Holocaust: From Empathy to Denial in an Early Discourse», Israel Journal for Foreign Affairs, 6, 2010.
20 W.G. SCHWANITZ, «101 Jahre globaler Jihad. Ideologie des endlosen Glaubenskriegs, riskanter Atompakt mit Iran», Explizit.Net, 20/7/2015.
21 W.G. SCHWANITZ, «The Obscenity of Blaming Zionism for the Holocaust», Tablet Magazine, 6/3/2014.
22 W.G. SCHWANITZ, «Germans, Nukes, and Mullahs Axis of Nazis and Islamists, Germans and Iranians», Jewish Political Studies Review, 5, 2010.
23 Discorso del primo ministro britannico David Cameron alla Ninestiles School di Birmingham, 20/7/2015.