Perché l’Occidente deve fermare l’Iran

Gerusalemme. Invece di trincerarsi dietro vuote frasi, come la lapalissiana costatazione del ministro degli Esteri francese, Alain Juppé – “Un attacco all’Iran destabilizzerebbe l’intera regione” (sic) – Stati Uniti e ciò che resta dell’Unione Europea dovrebbero fare fronte comune con Israele e accompagnare nuove draconiane sanzioni economiche con la minaccia tangibile e certa di un intervento militare se l’Iran non rinuncerà al suo programma nucleare. Solo così, forse, si scongiurerebbe il peggio: un attacco preventivo e solitario di Israele, che a Gerusalemme è visto ancora come un’estrema, pericolosa spiaggia, ma che il premier Benjamin Netanyahu e il ministro degli Esteri Ehud Barak considerano la loro missione storica per scongiurare un secondo olocausto.

Goldstone: “Ingiusta e infondata l’accusa di apartheid a Israele”

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Innanzitutto bisogna ricordare, semmai vi fosse bisogno, chi è Richard Goldstone: il giudice che in seguito all’operazione israeliana “Piombo Fuso”, volta a sradicare l’organizzazione Hamas dalla Striscia di Gaza, ha redatto un dettagliato rapporto con cui ha criticato duramente l’operato dell’esercito israeliano.

Lo stesso Goldstone in seguito ha ritrattato il suo stesso rapporto, ecco infatti le sue parole pubblicate in un articolo sul Washington Post: «Oggi sappiamo molto di più su quanto avvenne nella guerra di Gaza del 2008-2009 rispetto al periodo nel quale condussi l’inchiesta per conto del Consiglio Onu sui Diritti umani; se avessi saputo allora ciò che sappiamo oggi, il Rapporto Goldstone sarebbe stato differente».

Oggi è lo stesso Goldstone che sfata l’ennesima voce discriminatoria nei confronti dello Stato di Israele, anche se la situazione era già fin troppo chiara a chi in Israele ci vive o ci va abitualmente: definire l’unico Stato democratico del Medioriente “Stato di apartheid” era palesemente infondato.

Di seguito l’articolo dettagliato, tratto da FocusOnIsrael.

Goldstone: “Ingiusta e infondata l’accusa di apartheid a Israele”

“Quella mossa a Israele di essere unostato da apartheid è un’accusa falsa e malevola che preclude, anziché promuovere, la pace e l’armonia”. Lo scrive il giudice Richard Goldstone in un editoriale pubblicato sul New York Times. Goldstone, il cui rapporto Onu sull’operazione anti-Hamas a Gaza del gennaio 2009 divenne in tutto il mondo un emblema della polemica anti-israeliana, ha pubblicato un secondo editoriale a difesa di Israele dopo quello firmato in aprile sul Washington Post in cui sembrava ritrattare il suo stesso rapporto dicendo che avrebbe redatto un documento assai differente “se avessi saputo allora quello che so adesso”.

Goldstone, che è stato giudice nella Corte Suprema del Sudafrica negli anni in cui era in vigore il sistema di discriminazione razziale dell’apartheid, scrive: “Sebbene la parola apartheid possa avere un significato più ampio, la si usa per indicare la situazione che c’era in Sudafrica prima del 1994. Contro Israele, costituisce una calunnia ingiusta e infondata, studiata per ritardare anziché far avanzare i negoziati di pace. In Israele – continua Goldstone – non c’è apartheid. Nulla, in Israele, si avvicina alla definizione di apartheid in base allo Statuto di Roma [sulla Corte Penale Internazionale] del 1998”.

Nell’articolo, Goldstone distingue fra arabi israeliani e palestinesi dei territori. “Gli arabi israeliani votano, hanno partiti politici e rappresentanti alla Knesset, e ricoprono posizioni di prestigio, anche nella Corte Suprema. I pazienti arabi sono ricoverati insieme ai pazienti ebrei negli ospedali israeliani e ricevono identico trattamento”.

Goldstone non ignora i problemi ed anche le situazioni di discriminazione denunciate dai cittadini arabi d’Israele. “Ma – sottolinea – tutto questo non è apartheid, che invece consiste nel sancire consapevolmente la separazione come ideale”.
Circa la Cisgiordania, Goldstone afferma che la situazione naturalmente è più complessa. “Ma anche qui – scrive – non vi è alcuna intenzione di mantenere un sistema istituzionalizzato di sistematica oppressione e dominazione da parte di un gruppo razziale. Si tratta di una distinzione che rimane fondamentale anche quando Israele agisce in modo repressivo verso i palestinesi”.

Goldstone si schiera persino a difesa delle misure anti-terrorismo israeliane. “Finché i cittadini israeliani rimangono sotto la minaccia di attentati originati in Cisgiordania e striscia di Gaza – osserva – Israele considererà necessari per la propria auto-difesa i posti di blocco e altre misure analoghe, anche se i palestinesi si sentono oppressi da tali misure”. E quello che tanti anti-israeliani hanno definito “il muro dell’apartheid” è in realtà, ammette Goldstone, “una barriera di sicurezza costruita per fermare inesorabili attentati terroristici, mentre la stessa Corte Suprema israeliana in parecchi casi ha ordinato allo stato di ritracciarne il percorso per minimizzare disagi eccessivi”.

(Fonte: YnetNews, 1.11.11)
Israele.net
Nella foto in alto: Richard Goldstone

Croce Rossa: Israele, nessun uso improprio di bombe al fosforo nell’operazione “Piombo Fuso”

Riporto di seguito la traduzione di questo vecchio ma sempre utile articolo del Jerusalem Post, da mostrare a chi accusa troppo semplicisticamente Israele di violazioni del diritto internazionale. Peccato che la notizia non abbia avuto grande risalto sui media nostrani, come ha scritto anche Informazione Corretta.

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IDF, nessun uso improprio di bombe al fosforo

La Croce Rossa Internazionale dice che l’arma incendiaria è stata utilizzata solo per creare fumo o illuminare gli obiettivi.

Martedì la Croce Rossa Internazionale ha dichiarato che Israele ha utilizzato bombe al fosforo bianco nella sua offensiva nella Striscia di Gaza, ma che non esiste alcuna prova che siano state utilizzate impropriamente o illegalmente. La dichiarazione è arrivata dopo l’accusa di un’organizzazione umanitaria rivolta allo Stato ebraico di aver fatto uso dell’arma incendiaria, che si accende quando colpisce la pelle e continua a bruciare fino a quando non viene interrotto con l’ossigeno. Può causare ferite spaventose.

Il Comitato Internazionale della Croce Rossa aveva avvisato Israele di esercitare “estrema attenzione” nell’utilizzo dell’arma incendiaria, che viene usata per illuminare gli obiettivi militari nella notte o creare una cortina di fumo negli attacchi diurni, stando alle dichiarazioni di Peter Herby, a capo della sezione armi e mine dell’organizzazione. “In alcuni degli attacchi a Gaza è abbastanza evidente che il fosforo è stato usato” Herby ha dichiarato all’Associated Press. “Ma non è insolito utilizzarlo per creare fumo o illuminare obiettivi. Non abbiamo nessuna prova che ci dimostri che sia stato utilizzato in altro modo”.

In risposta, l’IDF martedì ha dichiarato di “augurarsi che sia riconosciuto da tutti che l’utilizzo delle armi era in linea con la legge internazionale, osservando che erano utilizzate in base al tipo di combattimento e alle loro caratteristiche”. Herby ha dichiarato che utilizzare il fosforo per illuminare un obiettivo o creare fumo è consentito dal diritto internazionale, e non c’è alcuna prova del fatto che lo Stato ebraico abbia intenzionalmente usato l’arma in modi illeciti, ad esempio incendiando edifici o mettendo consapevolmente a rischio.

Tuttavia Herby ha aggiunto che le certezze sono ancora limitate a causa delle difficoltà di accedere a Gaza, dove le fonti mediche palestinesi hanno parlato di oltre 900 morti e 4250 feriti da quando Israele ha lanciato la sua offensiva alla fine del mese scorso. L’operazione mira ad interrompere il lancio di razzi palestinesi oltre il loro confine. L’associazione Human RightsWatch ha accusato Israele di sparare bombe al fosforo e ha avvisato circa il pericolo di gravi ustioni sui feriti. Vi sono 10 casi sospetti di vittime bruciate che avevano la pelle che si staccava dal viso e dal corpo. Il fosforo bianco non è considerato un’arma chimica.

Articolo del 13/01/2009
Fonte: JPost

La verità sulla West Bank

Il West Bank, in precedenza Giudea e Samaria

Questo video molto interessante è stato pubblicato sulla pagina YouTube di Danny Ayalon, vice-ministro degli esteri israeliano. Vi consiglio caldamente di vederlo perché è veramente molto interessante e ben fatto. I sottotitoli si possono tradurre in italiano, tuttavia riporto qui sotto il testo integrale del video. E’ dedicato a chi troppo semplicisticamente giudica Israele colpevole di occupare una terra (anche se ad ogni modo ribadisco di essere a favore di uno Stato palestinese, ovviamente ottenuto attraverso il negoziato tra Israele ed arabi e non unilateralmente).

Per tradurre automaticamente i sottotitoli del video in italiano: cliccate su Play e mettete il video in pausa. Cliccate sull’icona CC posta in basso nel riquadro, selezionate “Traduci sottotitoli” e nell’elenco trovate “italiano”; cliccateci sopra e poi confermate con OK. La traduzione non sarà perfetta perché è effettuata automaticamente da Google, però il video sarà molto più comprensibile. Per una traduzione più accurata leggete sotto il riquadro.

Spesso nelle notizie si sente parlare di “territori occupati”, “confini del 1967” e “insediamenti illegali”; inoltre, spesso la storia che si sente raccontare risulta essere molto semplice da riassumere: “durante la guerra dei Sei Giorni Israele ha rubato la West Bank ai palestinesi, rifiutando la richiesta dell’ONU di restituirlo e costruendoci insediamenti illegali”. Ma le cose andarono veramente così? Cerchiamo di comprendere meglio la situazione.

Iniziamo con una questione semplice ma fondamentale: da chi Israele conquistò la West Bank? Dai palestinesi? No… nel 1967 non esisteva nessuno Stato che si chiamasse Palestina. Israele strappò la West Bank dalla Giordania in un atto di auto-difesa, dopo che la questa si era alleata con Egitto e Siria in una guerra con lo scopo di distruggere Israele. Ah, a proposito… distruggere paesi è piuttosto illegale.

Le Nazioni Unite nel 1967 respinsero le ripetute richieste arabe e sovietiche di considerare Israele come aggressore. La risoluzione 242 del consiglio di sicurezza dell’ONU non chiese il disimpegno unilaterale dello Stato ebraico dai territori conquistati; piuttosto, pretese la negoziazione di una soluzione che prevedesse “confini sicuri e riconosciuti ad Israele”, insomma “confini difendibili”.

Ma aspettiamo un attimo, perché la West Bank prima della guerra era territorio giordano? Qual era la giustificazione legale di ciò? Bene, la Giodania aveva… sapete cosa? Non aveva una giustificazione legale! La Giordania semplicemente occupò la regione nel 1948 con lo scopo di distruggere il neonato Stato di Israele, modificandone il nome comunemente accettato (che era Giudea e Samaria) in West Bank (o Cisgiordania). Ma nessuno fu veramente convinto di questa occupazione; infatti nessuno ne riconobbe la legalità, nemmeno gli Stati arabi.

Allora, se la Giordania non aveva alcun diritto legale sulla zona e uno Stato chiamato “Palestina” non esisteva, di chi era quel territorio? Torniamo ancora più indietro nel tempo. Tranquilli, non arriviamo ai tempi della Bibbia, ma solo a circa 100 anni fa.

Fino al 1917 l’intera regione apparteneva all’impero Ottomano. Dopo aver perso la prima guerra mondiale questo perse il controllo della regione, che andò agli Stati Alleati (Francia e Inghilterra), che decisero di dividere il vecchio impero in Stati. Il ministro degli esteri inglese, Lord Balfour, riconobbe il diritto storico degli ebrei ad una loro patria. Una piccola zona, equivalente a metà dell’1% dell’intero Medio Oriente, fu designata per questo scopo. La Gran Bretagna ricevette il mandato dalla Società delle Nazioni per promuovere la fondazione di una patria ebraica.

Ma aspettate un secondo: avete capito cosa è accaduto? La patria ebraica inizialmente non comprendeva solo la zona ad ovest del fiume Giordano, ma anche la zona ad est (l’attuale Giordania, ndt). Credo che non si possa dire che il popolo ebraico non abbia accettato alcuni compromessi dolorosi già all’epoca.

Ad ogni modo, il riconoscimento della patria ebraica – anche sulla West Bank – da parte della Società delle Nazioni fu ribadito dalle Nazioni Unite dopo la seconda guerra mondiale. Con la fine del mandato britannico la risoluzione 181 dell’Assemblea Generale dell’ONU raccomandava la fondazione di due Stati: uno ebraico e l’altro arabo. Gli ebrei accettarono il compromesso e dichiararono la loro indipendenza, mentre gli arabi lo rifiutarono e iniziarono una guerra per distruggere il nuovo Stato ebraico. La risoluzione 181 – una raccomandazione di primo grado non vincolante – rimase senza alcuna base legale.

Alla fine della guerra fu creata una linea armistiziale laddove le forze arabe ed israeliane interruppero i combattimenti. Ad insistenza dei leader arabi a questa linea non fu attribuito alcun significato politico. Così, anche se questa linea è comunemente indicata come “confini del '67” questa non era del '67 e non fu mai riconosciuta come un confine internazionale.

Ecco perché la definizione più esatta per la West Bank secondo la legge internazionale è in realtà la stessa che si usa in molte altre zone del mondo dove vi sono (o vi erano) dispute territoriali, ma che NON sono definite “occupate”. Per esempio: Zubarah, Isole Tumbs, Sahara Occidentale, Isola Abu Musa, Kashmir, ecc. che non sono “territori occupati” bensì “territori contesi”.

Allora, torniamo per un attimo alla nostra illustrazione ed esaminiamo la catena completa degli eventi. La presenza di Israele nella West Bank è il risultato di una guerra di difesa. La West Bank non si può considerare territorio “occupato” perché non vi era un precedente sovrano legale e quindi la vera definizione dovrebbe essere “territorio conteso”. Il piano di spartizione del 1947 non ha oramai alcun valore giuridico, mentre la pretesa di Israele ad una sua terra è stata chiaramente riconosciuta dalla comunità internazionale durante il 20° secolo. Ecco perché la presenza e la costruzione di insediamenti israeliani in Cisgiordania non dovrebbe essere considerata illegale.

Queste non sono solo mie opinioni; sono basate sulle conclusioni fatte dai giuristi rinomati nel mondo, come il Professore Eugene Rostow, i giudici Arthur Goldberg e Stephen Schwebel che presenziarono la Corte di Giustizia Internazionale.

Allora, qual è la soluzione per la disputa sul West Bank? Sfortunatamente non esiste una risposta assoluta. Ma l’unica via con cui una soluzione può essere trovata è basando i negoziati su fatti storici e giuridici. Allora, basta di usare i termini “territori occupati” e “confini del 1967”… semplicemente non sono “politically correct”.


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Ulteriori approfondimenti selezionati dal sito Storia di Israele:
La dichiarazione di Balfour
Conflitto tra arabi ed ebrei e risoluzione ONU n. 181
Nascita di Israele
Gerusalemme sotto assedio
Guerra del 1948 e armistizio del 1949
Guerra dei Sei Giorni
Dopo la guerra dei Sei Giorni

Il concetto di ebrei popolo eletto: razzismo o no?

Il Monte Sinai, dove gli ebrei ricevettero i Dieci Comandamenti e la Torah 

“Voi avete visto ciò che ho fatto all’Egitto: portandovi [come] su ali d’aquila, vi ho condotti a me. E ora, se ascolterete la Mia voce e osserverete il Mio patto, sarete per Me il tesoro [più amato] tra tutti i popoli, poiché tutta la terra Mi appartiene. E voi sarete per me un regno di prìncipi e una nazione santa!” (Esodo 19, 4-6)

La definizione di “popolo eletto” pesa sugli ebrei, da secoli. Molta gente considera questa definizione un chiaro segno del razzismo ebraico: “un popolo che si sente superiore agli altri, ma chi si crede di essere?”; questo potrebbe essere, in linea di massima, il pensiero diffuso in molte persone a riguardo.

Una definizione, quella di “popolo eletto”, che talvolta arriva a riguardare persino la questione mediorientale tra israeliani e palestinesi: capita frequentemente che le operazioni militari israeliane atte a prevenire il terrorismo o a replicare ad un attacco subìto, vengano commentate da qualcuno con parole del tipo: “beh, loro sono il popolo eletto quindi si sentono giustificati a fare qualsiasi cosa”. Quasi come a volere, in un certo senso, depistare (forse involontariamente o forse no) dalle reali motivazioni dietro a queste operazioni (che sono evidentemente tutto tranne che a fini religiosi).

Iniziamo a togliere i libri

In Scozia vengono banditi i libri stampati in Israele, una decisione che ricorda i roghi dei libri durante il periodo nazista. Sarà per l’islamofobia?

Fahrenheit 451

Come in una sorta di romanzo orwelliano, se da domani uno studente scozzese si recherà nella locale biblioteca pubblica per chiedere i romanzi di Agnon e Appelfeld si vedrebbe rispondere che quei libri sono stati banditi.

E’ successo che un consiglio provinciale in Scozia, il West Dunbartonshire (centomila abitanti), con una semplice ordinanza è diventata la prima regione in Europa a bandire libri israeliani dalle biblioteche pubbliche. Un portavoce del West Dunbartonshire ha spiegato che non verranno fatti sparire “i libri israeliani stampati in Gran Bretagna, ma solo quelli stampati in Israele”. Ha poi ammesso che soltanto lo stato ebraico è stato colpito dal provvedimento, mancando qualunque limitazione per i testi stampati in Iran o Siria. Lo scrittore israeliano Amos Oz parla di decisione “vergognosa”.

“Dove oggi si boicottano libri – ha commentato l’ambasciatore israeliano a Londra, Ron Prosor – in futuro potremmo assistere anche al loro rogo”, richiamando alla memoria il falò di libri ordinato da Joseph Goebbels. Altri hanno ricordato le parole del poeta Heinrich Heine: “Là dove si bruciano i libri si finisce per bruciare anche gli uomini”. Circola uno strano veleno antiebraico nelle classi abbienti e pensanti europee. La settimana scorsa il famoso regista Lars von Trier aveva definito Israele “un dito nel culo”.

In questa fase critica per la sopravvivenza d’Israele, sotto minaccia e disagio prenucleare, torna ad agitarsi una vecchia conoscenza dell’Europa. Il disprezzo per gli ebrei. Ne sono espressione queste nuove biblioteche judenrein.

IL FOGLIO 26/05/2011
Fonte: Kolòt

Le esigenze di sicurezza di Israele per la pace

Perché Israele oggi come oggi non può tornare ai confini del 1967? Quali sono i presupposti necessari perché Israele possa accettare di cedere i territori conquistati nella guerra dei Sei Giorni? Questo video cerca di fare chiarezza in merito.

Non dimenticate di vedere, a completamento di questo video, anche quest’altro filmato (se non lo avete già fatto).

Si consiglia di diffondere questi video, per far capire alla gente che le pretese di Israele non sono campate in aria ma sono strategicamente vitali per la sua sopravvivenza. Troppo facile gridare “pace” invocando la cessione di porzioni di territorio senza valutare la conformazione geografica e la nuova situazione geopolitica della regione, ben diversa da quella del 1967.